Abuso edilizio e acquisizione al patrimonio comunale: garanzie e responsabilità del proprietario

Published On: 8 Febbraio 2023Categories: Edilizia, Urbanistica ed Espropriazioni, Enti locali, Normativa

La Sezione Seconda del Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 gennaio 2023 numero 714, ha colto l’occasione per chiarire la portata delle conseguenze sanzionatorie privative della proprietà per abusi edilizi inerenti alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione da parte del proprietario, fornendo una lettura del dato normativo maggiormente “garantista”.

Il caso concreto

Due privati avevano realizzato un piccolo manufatto in assenza dei necessari titoli abilitativi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e il Comune gli notificava l’ingiunzione alla demolizione.

Impugnavano tale provvedimento, ma soccombevano in primo e secondo grado.

Intanto, nelle more dell’intera definizione della controversia, il controinteressato – avendo diffidato il Comune ad eseguire le sanzioni edilizie repressive connesse all’abuso – appurato il silenzio dell’Ente, otteneva una sentenza che obbligava il Comune a pronunciarsi, di cui, successivamente, chiedeva pure l’ottemperanza.

I privati proponevano reclamo avverso l’attività del commissario ad acta – preposta alla verifica dell’inottemperanza e alle conseguenti attività, subendo il rigetto in primo grado, ma ottenendo l’accoglimento in appello avendo l’attività del Commissario nominato esorbitato il mandato conferitogli.

La decisione del Consiglio di Stato

Nell’accogliere il reclamo in appello, il Consiglio di Stato, si è soffermato sull’importante distinzione fra la sanzione acquisitiva e quelle più strettamente reali o ripristinatorie, tracciandone una concreta e reciproca autonomia, specie in ordine alla ricerca, nella condotta di abuso, dell’elemento psicologico del proprietario dell’immobile.

Sulla responsabilità del proprietario

In particolare, da un lato, ha osservato che “…la sanzione acquisitiva al patrimonio dell’ente non può essere comminata nei confronti del proprietario del fondo incolpevole dell’abuso edilizio, estraneo al medesimo…”, dall’altro, ha evidenziato che “…diverso è il caso della sanzione demolitoria, la cui natura “reale” e ripristinatoria dello stato dei luoghi per come preesistente all’illecito, la rende impermeabile al necessario previo accertamento di profili di responsabilità colpevole del proprietario, anche ove subentrato all’autore dell’abuso…”.

Sottolineando la conseguenza che “…per l’applicazione delle sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, non meramente ripristinatorie dell’abuso perpetrato, è necessaria la sussistenza di un elemento soggettivo almeno di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che le subisce…”.

Sull’acquisizione ex lege al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime oggetto di abuso

Anche in relazione a tale assai grave conseguenza sanzionatoria dell’abuso, che incide il diritto di proprietà, il Comune, perché possa correttamente irrogarla, deve accertare l’elemento psicologico della condotta abusiva del proprietario.

Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in rassegna, ha infatti ribadito che “…L’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede, quale conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, un’automatica fattispecie acquisitiva al patrimonio del comune dell’opera abusiva e della relativa area di sedime…”, osservando che “…L’acquisizione “di diritto” qualifica il provvedimento come obbligatorio e vincolato nel contenuto e la fa derivare dal mero mancato adempimento dell’ordine demolitorio, che peraltro potrebbe avere destinatari diversi (con la necessità di renderne comunque edotta la proprietà)…”.

Ai fini della sua applicazione, ha quindi evidenziato che “…il Comune non è esonerato dall’accertamento dei presupposti che la rendono applicabile (elemento soggettivo)…” e che “…Il mancato adempimento infatti deve pur essere “accertato”, così come deve essere accertata la sussistenza dell’elemento psicologico che giustifichi l’irrogazione della sanzione…”.

Più in dettaglio, “…deve pur sempre essere accertato che il mancato adempimento sia frutto della volontà del destinatario del provvedimento e non sia legato, per esempio, a cause di forza maggiore o altre ragioni ostative, che non si sia dato luogo ad un adempimento parziale e in specifici casi quale sia l’estensione dell’area acquisita che per espresso disposto normativo «non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita»…”.

Sul rispetto delle necessarie garanzie procedimentali e sugli interessi coinvolti: occorre l’accertamento concreto dell’inottemperanza alla demolizione

Il Giudice d’Appello ha inoltre sottolineato che “…l’art. 31 del Testo unico in materia edilizia prevede chiaramente tali fasi procedimentali, a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, non surrogabili dal fatto noto che l’abuso non è stato demolito, ovvero dalle indicazioni testimoniali in tal senso dei controinteressati…”, rilevando che “…Non risulterebbe peraltro conforme ai princìpi nazionali e multilivello una lettura dell’articolo che finisse per considerare legittima l’applicazione di una sanzione amministrativa particolarmente afflittiva prescindendo dal suo accertamento, oltre che dalla sua formale irrogazione…”.

Ancora, “…Il rispetto di tali scansioni procedurali, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati dal legislatore, da un lato il rispetto dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, dall’altro la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi, sicuramente da preferire per intuibili ragioni di risparmio, anche economico…”.

In conclusione

Il Consiglio di Stato – per ricalcare una lettura liberale del dato normativo sanzionatorio e senza svalutare il valore istruttorio o endoprocedimentale del verbale di sopralluogo (spesso condotto dalla Polizia municipale ed utile a constatare l’omessa demolizione del manufatto abusivo) – avvalora la centralità del provvedimento amministrativo comunale di accertamento dell’inottemperanza alla demolizione, quale atto vero e proprio costituente titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari.

Rimanendo ovvio – come osserva il Consiglio di Stato nella pronuncia in rassegna – che il mero verbale di sopralluogo, quale atto meramente istruttorio, ha lo stesso valore del verbale di contestazione dell’illecito ex articolo 14 della legge numero 689 del 1981 e, quindi, che “…è solo a far data dallo stesso che il proprietario, astrattamente finanche ignaro della vicenda fino a tale momento, viene messo in condizione di chiarire la propria posizione, scongiurando l’effetto acquisitivo (ma non, ovviamente, quello demolitorio)…”.

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Abuso edilizio e acquisizione al patrimonio comunale: garanzie e responsabilità del proprietario

Published On: 8 Febbraio 2023

La Sezione Seconda del Consiglio di Stato, con la sentenza del 20 gennaio 2023 numero 714, ha colto l’occasione per chiarire la portata delle conseguenze sanzionatorie privative della proprietà per abusi edilizi inerenti alla mancata esecuzione dell’ordine di demolizione da parte del proprietario, fornendo una lettura del dato normativo maggiormente “garantista”.

Il caso concreto

Due privati avevano realizzato un piccolo manufatto in assenza dei necessari titoli abilitativi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e il Comune gli notificava l’ingiunzione alla demolizione.

Impugnavano tale provvedimento, ma soccombevano in primo e secondo grado.

Intanto, nelle more dell’intera definizione della controversia, il controinteressato – avendo diffidato il Comune ad eseguire le sanzioni edilizie repressive connesse all’abuso – appurato il silenzio dell’Ente, otteneva una sentenza che obbligava il Comune a pronunciarsi, di cui, successivamente, chiedeva pure l’ottemperanza.

I privati proponevano reclamo avverso l’attività del commissario ad acta – preposta alla verifica dell’inottemperanza e alle conseguenti attività, subendo il rigetto in primo grado, ma ottenendo l’accoglimento in appello avendo l’attività del Commissario nominato esorbitato il mandato conferitogli.

La decisione del Consiglio di Stato

Nell’accogliere il reclamo in appello, il Consiglio di Stato, si è soffermato sull’importante distinzione fra la sanzione acquisitiva e quelle più strettamente reali o ripristinatorie, tracciandone una concreta e reciproca autonomia, specie in ordine alla ricerca, nella condotta di abuso, dell’elemento psicologico del proprietario dell’immobile.

Sulla responsabilità del proprietario

In particolare, da un lato, ha osservato che “…la sanzione acquisitiva al patrimonio dell’ente non può essere comminata nei confronti del proprietario del fondo incolpevole dell’abuso edilizio, estraneo al medesimo…”, dall’altro, ha evidenziato che “…diverso è il caso della sanzione demolitoria, la cui natura “reale” e ripristinatoria dello stato dei luoghi per come preesistente all’illecito, la rende impermeabile al necessario previo accertamento di profili di responsabilità colpevole del proprietario, anche ove subentrato all’autore dell’abuso…”.

Sottolineando la conseguenza che “…per l’applicazione delle sanzioni amministrative privative della proprietà del bene, non meramente ripristinatorie dell’abuso perpetrato, è necessaria la sussistenza di un elemento soggettivo almeno di carattere colposo da parte del soggetto proprietario che le subisce…”.

Sull’acquisizione ex lege al patrimonio comunale del bene e dell’area di sedime oggetto di abuso

Anche in relazione a tale assai grave conseguenza sanzionatoria dell’abuso, che incide il diritto di proprietà, il Comune, perché possa correttamente irrogarla, deve accertare l’elemento psicologico della condotta abusiva del proprietario.

Il Consiglio di Stato, nella pronuncia in rassegna, ha infatti ribadito che “…L’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede, quale conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, un’automatica fattispecie acquisitiva al patrimonio del comune dell’opera abusiva e della relativa area di sedime…”, osservando che “…L’acquisizione “di diritto” qualifica il provvedimento come obbligatorio e vincolato nel contenuto e la fa derivare dal mero mancato adempimento dell’ordine demolitorio, che peraltro potrebbe avere destinatari diversi (con la necessità di renderne comunque edotta la proprietà)…”.

Ai fini della sua applicazione, ha quindi evidenziato che “…il Comune non è esonerato dall’accertamento dei presupposti che la rendono applicabile (elemento soggettivo)…” e che “…Il mancato adempimento infatti deve pur essere “accertato”, così come deve essere accertata la sussistenza dell’elemento psicologico che giustifichi l’irrogazione della sanzione…”.

Più in dettaglio, “…deve pur sempre essere accertato che il mancato adempimento sia frutto della volontà del destinatario del provvedimento e non sia legato, per esempio, a cause di forza maggiore o altre ragioni ostative, che non si sia dato luogo ad un adempimento parziale e in specifici casi quale sia l’estensione dell’area acquisita che per espresso disposto normativo «non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita»…”.

Sul rispetto delle necessarie garanzie procedimentali e sugli interessi coinvolti: occorre l’accertamento concreto dell’inottemperanza alla demolizione

Il Giudice d’Appello ha inoltre sottolineato che “…l’art. 31 del Testo unico in materia edilizia prevede chiaramente tali fasi procedimentali, a garanzia del contraddittorio e del diritto di difesa delle parti, non surrogabili dal fatto noto che l’abuso non è stato demolito, ovvero dalle indicazioni testimoniali in tal senso dei controinteressati…”, rilevando che “…Non risulterebbe peraltro conforme ai princìpi nazionali e multilivello una lettura dell’articolo che finisse per considerare legittima l’applicazione di una sanzione amministrativa particolarmente afflittiva prescindendo dal suo accertamento, oltre che dalla sua formale irrogazione…”.

Ancora, “…Il rispetto di tali scansioni procedurali, lungi dal costituire baluardo meramente formale strumentalmente invocato per procrastinare, ovvero scongiurare, la demolizione dell’abuso, costituisce il giusto punto di incontro fra i contrapposti interessi tutelati dal legislatore, da un lato il rispetto dell’ordinato sviluppo del territorio, di cui il previo titolo edilizio costituisce garanzia primaria, dall’altro la tutela della proprietà, destinata comunque a recedere laddove il titolare non sacrifichi al suo mantenimento il doveroso ripristino spontaneo dello stato dei luoghi, sicuramente da preferire per intuibili ragioni di risparmio, anche economico…”.

In conclusione

Il Consiglio di Stato – per ricalcare una lettura liberale del dato normativo sanzionatorio e senza svalutare il valore istruttorio o endoprocedimentale del verbale di sopralluogo (spesso condotto dalla Polizia municipale ed utile a constatare l’omessa demolizione del manufatto abusivo) – avvalora la centralità del provvedimento amministrativo comunale di accertamento dell’inottemperanza alla demolizione, quale atto vero e proprio costituente titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione gratuita nei registri immobiliari.

Rimanendo ovvio – come osserva il Consiglio di Stato nella pronuncia in rassegna – che il mero verbale di sopralluogo, quale atto meramente istruttorio, ha lo stesso valore del verbale di contestazione dell’illecito ex articolo 14 della legge numero 689 del 1981 e, quindi, che “…è solo a far data dallo stesso che il proprietario, astrattamente finanche ignaro della vicenda fino a tale momento, viene messo in condizione di chiarire la propria posizione, scongiurando l’effetto acquisitivo (ma non, ovviamente, quello demolitorio)…”.

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