Gravi illeciti professionali secondo la Corte di Giustizia

Published On: 24 Giugno 2019Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Europa, Normativa

“L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale quale è quella contenuta all’art. 80 comma 5, lettera c) del decreto legislativo 56/2016, in tema di gravi illeciti professionali, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.L. Semplificazioni – in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce”.
In questi termini, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la decisione del 19 giugno 2019 in causa C-41/18 (MECA S.r.l./Comune di Napoli), ha risolto la questione interpretativa rimessale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con ordinanza del 22 novembre 2017, relativamente alla interpretazione del motivo facoltativo di esclusione di cui all’art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), relativo ai c.d. gravi illeciti professionali, per come trasposto nell’ordinamento italiano dalla lettera c) del comma 5 dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici (nella sua prima versione, antecedente alle modifiche apportate dal D.L. Semplificazioni di cui al DL 135/2018, convertito con L.12/2019, poi confermate dal D.L. Sblocca Cantieri).
Nel rispondere alla questione posta, la Corte di Giustizia ha ritenuto in primo luogo di osservare, sulla scorta di quanto rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle conclusioni, come “…il testo dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 è sufficientemente simile a quello dell’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, disposizione da esso abrogata, da consentire che l’interpretazione richiesta dal giudice del rinvio si ispiri alla giurisprudenza della Corte relativa a quest’ultima disposizione…” e che “…in tal senso, quando è stata chiamata a interpretare i motivi facoltativi di esclusione, come quelli previsti all’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d) o g), della direttiva 2004/18, le uniche disposizioni che non comportavano alcun rinvio al diritto nazionale, la Corte si è basata sull’articolo 45, paragrafo 2, secondo comma, della medesima direttiva, in forza del quale gli Stati membri precisano, nel rispetto del diritto dell’Unione, le condizioni di applicazione del suddetto paragrafo 2, per circoscrivere più rigorosamente il potere discrezionale di tali Stati e definire, a sua volta, la portata della causa facoltativa di esclusione controversa (v., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact, C‑465/11, EU:C:2012:801, punti da 25 a 31)…”, rilevando altresì come sia al riguardo “…innegabile che la direttiva 2014/24 restringe il potere discrezionale degli Stati membri. Mentre infatti il rinvio alle legislazioni e alle normative nazionali era previsto in cinque dei sette casi di cui all’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, adesso, tra i nove casi contemplati all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, solo il caso menzionato al punto b) di tale paragrafo 4 contiene un simile rinvio…”.
Ciò, premesso ed in secondo luogo, la Corte ha altresì rammentato, per un verso, come “…ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, «[l]e amministrazioni aggiudicatrici possono escludere (…) oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura di appalto un operatore economico in una delle (…) situazioni [previste da tale disposizione]». Dal testo della disposizione in questione risulta quindi che il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto è stato affidato alle amministrazioni aggiudicatrici, e non a un giudice nazionale…”; e per altro e correlato verso, come “…la facoltà di cui dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di appalto è destinata in modo particolare a consentirle di valutare l’integrità e l’affidabilità di ciascuno degli offerenti, come dimostrano l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), nonché il considerando 101 della direttiva 2014/24….”; e ciò, come sottolineato anche dall’avvocato generale (cfr. paragrafi 42 e 43 delle conclusioni), configurandosi due motivi di esclusione che “…si basano su un elemento essenziale del rapporto tra l’aggiudicatario dell’appalto e l’amministrazione aggiudicatrice, vale a dire l’affidabilità del primo, sulla quale si fonda la fiducia che vi ripone la seconda. In tal senso, il considerando 101, primo comma, della direttiva in parola prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere gli «operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili», mentre il suo secondo comma prende in considerazione, nell’esecuzione degli appalti pubblici precedenti, «comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico»…”.
Ancora, la Corte ha ritenuto di rimarcare come “…ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 5, della direttiva 2014/24, le amministrazioni aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico «in qualunque momento della procedura» e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato la sua sentenza, il che costituisce un indizio ulteriore della volontà del legislatore dell’Unione di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione sugli atti che un operatore economico ha commesso o omesso di compiere prima o durante la procedura di aggiudicazione di appalto, in uno dei casi previsti all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva in questione…” e che “…se un’amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un’attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell’applicazione dei motivi facoltativi di esclusione. Orbene, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24, tale principio implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità.

Risulta quindi chiaramente – osserva quindi la Corte, richiamandosi ancora alle considerazioni espresse dall’avvocato generale (cfr. paragrafi 35 e 36 delle conclusioni) – che il potere discrezionale degli Stati membri non è assoluto e che, una volta che uno Stato membro decide di recepire uno dei motivi facoltativi di esclusione previsti dalla direttiva 2014/24, deve rispettarne gli elementi essenziali, quali ivi previsti. Precisando che gli Stati membri specificano «le condizioni di applicazione del presente articolo» «nel rispetto del diritto dell’Unione», l’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24 osta a che gli Stati membri snaturino i motivi facoltativi di esclusione stabiliti in tale disposizione o ignorino gli obiettivi o i principi ai quali è ispirato ciascuno di detti motivi…”, risultando a tal fine determinante che “…dal testo dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 risulta che il legislatore dell’Unione ha inteso affidare all’amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto…”.

Sulla scorta di tali coordinate, pertanto la Corte di Giustizia, ha ritenuto che “…una disposizione nazionale quale l’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non è idonea a preservare l’effetto utile del motivo facoltativo di esclusione previsto dall’articolo 57, paragrafo 4, lettera c) o g), della direttiva 2014/24…”: “..il potere discrezionale che l’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 conferisce all’amministrazione aggiudicatrice è infatti paralizzato dalla semplice proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico di cui era firmatario, quand’anche il suo comportamento sia risultato tanto carente da giustificare tale risoluzione. … inoltre, una norma come quella prevista all’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non incoraggia manifestamente un aggiudicatario nei cui confronti è stata emanata una decisione di risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico ad adottare misure riparatorie. Sotto tale profilo, una regola di questo tipo può essere in contrasto con le prescrizioni di cui all’articolo 57, paragrafo 6, della direttiva 2014/24…”.

Ed invero, “…la succitata direttiva ha carattere innovativo, in particolare nella misura in cui istituisce, all’articolo 57, paragrafo 6, il meccanismo delle misure riparatorie (self-cleaning). Tale meccanismo, che si applica agli operatori economici non esclusi da una sentenza definitiva, tende a incoraggiare un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della medesima direttiva a fornire prove del fatto che le misure da esso adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo facoltativo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non deve essere escluso dalla procedura d’appalto. A tal fine, l’operatore economico deve dimostrare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti…” (cfr. anche paragrafo 44 delle conclusioni dell’avvocato generale).

Da ciò, la risposta fornita dalla Corte di Giustizia al quesito posto dal TAR Campania, nei termini riportati in premessa, ed alla luce della quale si è in sostanza riaffermato il potere dovere della Stazione appaltante di valutare, discrezionalmente e di volta in volta, la esistenza, gravità e rilevanza del grave illecito professionale di cui si sia eventualmente reso responsabile l’operatore economico, ai fini della verifica, in fase di selezione degli offerenti, sulla sua affidabilità, indipendentemente dalla contestazione in giudizio (o meno) da parte di quest’ultimo della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione.

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Published On: 24 Giugno 2019

“L’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale quale è quella contenuta all’art. 80 comma 5, lettera c) del decreto legislativo 56/2016, in tema di gravi illeciti professionali, nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.L. Semplificazioni – in forza della quale la contestazione in giudizio della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico, assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione, impedisce all’amministrazione aggiudicatrice che indice una nuova gara d’appalto di effettuare una qualsiasi valutazione, nella fase della selezione degli offerenti, sull’affidabilità dell’operatore cui la suddetta risoluzione si riferisce”.
In questi termini, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la decisione del 19 giugno 2019 in causa C-41/18 (MECA S.r.l./Comune di Napoli), ha risolto la questione interpretativa rimessale, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, con ordinanza del 22 novembre 2017, relativamente alla interpretazione del motivo facoltativo di esclusione di cui all’art. 57, paragrafo 4, lettere c) e g), relativo ai c.d. gravi illeciti professionali, per come trasposto nell’ordinamento italiano dalla lettera c) del comma 5 dell’art. 80 del codice dei contratti pubblici (nella sua prima versione, antecedente alle modifiche apportate dal D.L. Semplificazioni di cui al DL 135/2018, convertito con L.12/2019, poi confermate dal D.L. Sblocca Cantieri).
Nel rispondere alla questione posta, la Corte di Giustizia ha ritenuto in primo luogo di osservare, sulla scorta di quanto rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 32 delle conclusioni, come “…il testo dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 è sufficientemente simile a quello dell’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, disposizione da esso abrogata, da consentire che l’interpretazione richiesta dal giudice del rinvio si ispiri alla giurisprudenza della Corte relativa a quest’ultima disposizione…” e che “…in tal senso, quando è stata chiamata a interpretare i motivi facoltativi di esclusione, come quelli previsti all’articolo 45, paragrafo 2, primo comma, lettera d) o g), della direttiva 2004/18, le uniche disposizioni che non comportavano alcun rinvio al diritto nazionale, la Corte si è basata sull’articolo 45, paragrafo 2, secondo comma, della medesima direttiva, in forza del quale gli Stati membri precisano, nel rispetto del diritto dell’Unione, le condizioni di applicazione del suddetto paragrafo 2, per circoscrivere più rigorosamente il potere discrezionale di tali Stati e definire, a sua volta, la portata della causa facoltativa di esclusione controversa (v., in particolare, sentenza del 13 dicembre 2012, Forposta e ABC Direct Contact, C‑465/11, EU:C:2012:801, punti da 25 a 31)…”, rilevando altresì come sia al riguardo “…innegabile che la direttiva 2014/24 restringe il potere discrezionale degli Stati membri. Mentre infatti il rinvio alle legislazioni e alle normative nazionali era previsto in cinque dei sette casi di cui all’articolo 45, paragrafo 2, della direttiva 2004/18, adesso, tra i nove casi contemplati all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, solo il caso menzionato al punto b) di tale paragrafo 4 contiene un simile rinvio…”.
Ciò, premesso ed in secondo luogo, la Corte ha altresì rammentato, per un verso, come “…ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24, «[l]e amministrazioni aggiudicatrici possono escludere (…) oppure gli Stati membri possono chiedere alle amministrazioni aggiudicatrici di escludere dalla partecipazione alla procedura di appalto un operatore economico in una delle (…) situazioni [previste da tale disposizione]». Dal testo della disposizione in questione risulta quindi che il compito di valutare se un operatore economico debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto è stato affidato alle amministrazioni aggiudicatrici, e non a un giudice nazionale…”; e per altro e correlato verso, come “…la facoltà di cui dispone qualsiasi amministrazione aggiudicatrice di escludere un offerente da una procedura di aggiudicazione di appalto è destinata in modo particolare a consentirle di valutare l’integrità e l’affidabilità di ciascuno degli offerenti, come dimostrano l’articolo 57, paragrafo 4, lettere c) e g), nonché il considerando 101 della direttiva 2014/24….”; e ciò, come sottolineato anche dall’avvocato generale (cfr. paragrafi 42 e 43 delle conclusioni), configurandosi due motivi di esclusione che “…si basano su un elemento essenziale del rapporto tra l’aggiudicatario dell’appalto e l’amministrazione aggiudicatrice, vale a dire l’affidabilità del primo, sulla quale si fonda la fiducia che vi ripone la seconda. In tal senso, il considerando 101, primo comma, della direttiva in parola prevede che le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere gli «operatori economici che si sono dimostrati inaffidabili», mentre il suo secondo comma prende in considerazione, nell’esecuzione degli appalti pubblici precedenti, «comportamenti scorretti che danno adito a seri dubbi sull’affidabilità dell’operatore economico»…”.
Ancora, la Corte ha ritenuto di rimarcare come “…ai sensi dell’articolo 57, paragrafo 5, della direttiva 2014/24, le amministrazioni aggiudicatrici devono poter escludere un operatore economico «in qualunque momento della procedura» e non solo dopo che un organo giurisdizionale ha pronunciato la sua sentenza, il che costituisce un indizio ulteriore della volontà del legislatore dell’Unione di consentire all’amministrazione aggiudicatrice di effettuare la propria valutazione sugli atti che un operatore economico ha commesso o omesso di compiere prima o durante la procedura di aggiudicazione di appalto, in uno dei casi previsti all’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva in questione…” e che “…se un’amministrazione aggiudicatrice dovesse essere automaticamente vincolata da una valutazione effettuata da un terzo, le sarebbe probabilmente difficile accordare un’attenzione particolare al principio di proporzionalità al momento dell’applicazione dei motivi facoltativi di esclusione. Orbene, secondo il considerando 101 della direttiva 2014/24, tale principio implica in particolare che, prima di decidere di escludere un operatore economico, una simile amministrazione aggiudicatrice prenda in considerazione il carattere lieve delle irregolarità commesse o la ripetizione di lievi irregolarità.

Risulta quindi chiaramente – osserva quindi la Corte, richiamandosi ancora alle considerazioni espresse dall’avvocato generale (cfr. paragrafi 35 e 36 delle conclusioni) – che il potere discrezionale degli Stati membri non è assoluto e che, una volta che uno Stato membro decide di recepire uno dei motivi facoltativi di esclusione previsti dalla direttiva 2014/24, deve rispettarne gli elementi essenziali, quali ivi previsti. Precisando che gli Stati membri specificano «le condizioni di applicazione del presente articolo» «nel rispetto del diritto dell’Unione», l’articolo 57, paragrafo 7, della direttiva 2014/24 osta a che gli Stati membri snaturino i motivi facoltativi di esclusione stabiliti in tale disposizione o ignorino gli obiettivi o i principi ai quali è ispirato ciascuno di detti motivi…”, risultando a tal fine determinante che “…dal testo dell’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 risulta che il legislatore dell’Unione ha inteso affidare all’amministrazione aggiudicatrice, e a essa soltanto, nella fase della selezione degli offerenti, il compito di valutare se un candidato o un offerente debba essere escluso da una procedura di aggiudicazione di appalto…”.

Sulla scorta di tali coordinate, pertanto la Corte di Giustizia, ha ritenuto che “…una disposizione nazionale quale l’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non è idonea a preservare l’effetto utile del motivo facoltativo di esclusione previsto dall’articolo 57, paragrafo 4, lettera c) o g), della direttiva 2014/24…”: “..il potere discrezionale che l’articolo 57, paragrafo 4, della direttiva 2014/24 conferisce all’amministrazione aggiudicatrice è infatti paralizzato dalla semplice proposizione da parte di un candidato o di un offerente di un ricorso diretto contro la risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico di cui era firmatario, quand’anche il suo comportamento sia risultato tanto carente da giustificare tale risoluzione. … inoltre, una norma come quella prevista all’articolo 80, comma 5, lettera c), del Codice dei contratti pubblici non incoraggia manifestamente un aggiudicatario nei cui confronti è stata emanata una decisione di risoluzione di un precedente contratto di appalto pubblico ad adottare misure riparatorie. Sotto tale profilo, una regola di questo tipo può essere in contrasto con le prescrizioni di cui all’articolo 57, paragrafo 6, della direttiva 2014/24…”.

Ed invero, “…la succitata direttiva ha carattere innovativo, in particolare nella misura in cui istituisce, all’articolo 57, paragrafo 6, il meccanismo delle misure riparatorie (self-cleaning). Tale meccanismo, che si applica agli operatori economici non esclusi da una sentenza definitiva, tende a incoraggiare un operatore economico che si trovi in una delle situazioni di cui all’articolo 57, paragrafo 4, della medesima direttiva a fornire prove del fatto che le misure da esso adottate sono sufficienti a dimostrare la sua affidabilità nonostante l’esistenza di un pertinente motivo facoltativo di esclusione. Se tali prove sono ritenute sufficienti, l’operatore economico in questione non deve essere escluso dalla procedura d’appalto. A tal fine, l’operatore economico deve dimostrare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito, di aver chiarito i fatti e le circostanze in modo globale collaborando attivamente con le autorità investigative e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti…” (cfr. anche paragrafo 44 delle conclusioni dell’avvocato generale).

Da ciò, la risposta fornita dalla Corte di Giustizia al quesito posto dal TAR Campania, nei termini riportati in premessa, ed alla luce della quale si è in sostanza riaffermato il potere dovere della Stazione appaltante di valutare, discrezionalmente e di volta in volta, la esistenza, gravità e rilevanza del grave illecito professionale di cui si sia eventualmente reso responsabile l’operatore economico, ai fini della verifica, in fase di selezione degli offerenti, sulla sua affidabilità, indipendentemente dalla contestazione in giudizio (o meno) da parte di quest’ultimo della decisione di risolvere un contratto di appalto pubblico assunta da un’amministrazione aggiudicatrice per via di significative carenze verificatesi nella sua esecuzione.

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