La rendita vitalizia come forma di liquidazione del danno biologico permanente

Published On: 1 Febbraio 2023Categories: Diritti fondamentali della persona, Diritto civile, Tutele

Il nostro ordinamento giuridico individua due principali categorie di danno risarcibile, a seconda della natura di pregiudizio causato dall’inadempimento e/o dal fatto illecito altrui: il danno patrimoniale e quello non patrimoniale.

Danno patrimoniale e danno non patrimoniale

Il danno si definisce patrimoniale quando ha ad oggetto interessi della persona economicamente rilevanti ed è costituito generalmente da due elementi: a) il danno emergente, ovvero la perdita economica subita dal danneggiato come conseguenza dell’inadempimento e/o del fatto illecito altrui; b) il lucro cessante, consistente nel mancato guadagno in capo al danneggiato, derivante dall’inadempimento e/o dal fatto illecito altrui.

Il danno non patrimoniale, invece, si identifica nel pregiudizio arrecato ad interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica ma costituzionalmente garantiti come, ad esempio, il diritto alla salute.

All’interno della categoria del danno non patrimoniale, la giurisprudenza riconosce e ricomprende le differenti voci di danno biologico, danno morale e danno esistenziale.

In particolare, per danno biologico si intende la lesione dell’integrità psico-fisica di un individuo, mentre il danno morale si identifica nel turbamento dello stato d’animo e nella sofferenza interiore patita dal danneggiato o dai suoi familiari, a seguito di un atto illecito altrui.

Il danno si definisce esistenziale, invece, quando – pur non traducendosi direttamente in una lesione psico-fisica inquadrabile nel danno alla salute – incide su valori fondamentali dell’esistenza di un individuo, peggiorandone la qualità di vita.

Il danno biologico

Nozione

Il danno biologico – alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali – si identifica in una nozione unitaria che comprende tanto le lesioni all’integrità psico-fisica della persona, incluse le alterazioni fisio-psichiche temporanee o permanenti, quanto l’incidenza che tali lesioni e/o alterazioni determinano sullo svolgimento delle funzioni vitali e sugli aspetti personali dinamico-relazionali dell’individuo (da ultimo, Cassazione Civile, Sez. III, 19.09.2022, n. 27380).

Affinché possa parlarsi di danno biologico, quindi, sono necessari tre elementi costitutivi:

  1. la lesione e/o l’alterazione psico-fisica della persona, che può essere più o meno grave;
  2. la compromissione delle attività vitali, di carattere temporaneo o permanente;
  3. il nesso causale tra la compromissione delle attività vitali e la lesione e/o l’alterazione psico-fisica subita dalla persona.

A seconda del grado di intensità della lesione o dell’alterazione psico-fisica della persona danneggiata, il danno biologico potrà definirsi temporaneo o permanente.

Criteri di liquidazione

È chiaro che la quantificazione e successiva liquidazione del danno biologico dipende da diversi fattori (ad esempio, età del danneggiato, gravità della lesione etc…) sicché, per assicurare uniformità di trattamento da parte dei diversi uffici giudiziari in caso di richieste di risarcimento, sono state adottate le cosiddette Tabelle di Milano, assunte ormai come parametro unitario di riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale e, quindi, anche del danno biologico.

In particolare, per l’aspetto che qui ci riguarda, il danno biologico, se permanente, può essere risarcito anche tramite la condanna ad una rendita vitalizia parametrata al pregiudizio sofferto dalla persona nel corrispondente arco di tempo in cui si sviluppa la sua sofferenza.

La scelta di liquidare il danno biologico permanente con una rendita vitalizia trova il suo fondamento normativo nell’articolo 2057 del codice civile ed è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, il quale può assumere tale decisione anche d’ufficio “…tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno…”.

La Corte di Cassazione – con la sentenza n. 31574 del 25.10.2022, in tema di risarcimento del danno biologico permanente derivante da responsabilità medica – ha affermato che, ai fini della determinazione della rendita vitalizia, il Giudice deve, preliminarmente, determinare la somma capitale “…avuto riguardo all’età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest’ultima risulti conseguenza dell’illecito…” e successivamente, dividere tale somma per un coefficiente che può essere scelto discrezionalmente dal Decidente ma sempre sulla base di alcuni parametri predeterminati ovvero dovrà essere: “…a) scientificamente fondato; b) aggiornato; c) corrispondente all’età della vittima alla data dell’infortunio; d) progressivo, cioè variabile in funzione (almeno) di anno, se non di frazione di anno…”.

La somma capitale, infine, deve essere divisa per il coefficiente come sopra individuato, ottenendo l’importo del rateo annuo, che viene poi ulteriormente diviso per 12 mesi se si vuole liquidare una somma mensile anziché annua.

Tale forma di indennizzo assicurerebbe – secondo la Suprema Corte – una forma privilegiata di risarcimento, in quanto da un lato scongiura il rischio di dispersione di un ingente capitale corrisposto una tantum e, dall’altro, compensa giorno dopo giorno il pregiudizio subìto dalla vittima dal giorno dell’evento lesivo in poi, realizzando una tendenziale corrispondenza fra la permanenza del danno e la permanenza del risarcimento.

Anzi, tale forma di ristoro sarebbe addirittura da preferire – sempre secondo i Giudici di legittimità – nei casi in cui il danneggiato sia un soggetto non preparato a gestire un’ingente quantità di denaro devoluta in un’unica soluzione, col rischio che tale capitale potrebbe andare disperso, in tutto o in parte, anche a seguito dell’inesperienza o della condotta colposa del danneggiato o dei suoi familiari.

In questi casi, dunque, il Giudice deve privilegiare la liquidazione del danno biologico sotto forma di rendita vitalizia, ferma restando la possibilità di liquidare, ove sussistente, anche l’eventuale danno parentale se ricorrono i presupposti (ad esempio, in favore dei genitori se la vittima è un minore).

Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui detto e sulla scorta delle riflessioni offerte dalla Suprema Corte, l’istituto della rendita vitalizia potrebbe rappresentare la forma di risarcimento da prediligere, stante la maggiore tutela offerta alla persona danneggiata, specie nei casi in cui si tratti di un minore o di un soggetto socialmente debole e vi sia il concreto rischio di dispersione del capitale elargito a titolo di risarcimento.

Tale istituto, inoltre, appare coerente anche nel caso in cui la persona danneggiata dovesse venire a mancare anzitempo, poiché in tal caso – cessato il pregiudizio e il corrispondente diritto al risarcimento – la rendita vitalizia verrebbe sospesa.

 

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La rendita vitalizia come forma di liquidazione del danno biologico permanente

Published On: 1 Febbraio 2023

Il nostro ordinamento giuridico individua due principali categorie di danno risarcibile, a seconda della natura di pregiudizio causato dall’inadempimento e/o dal fatto illecito altrui: il danno patrimoniale e quello non patrimoniale.

Danno patrimoniale e danno non patrimoniale

Il danno si definisce patrimoniale quando ha ad oggetto interessi della persona economicamente rilevanti ed è costituito generalmente da due elementi: a) il danno emergente, ovvero la perdita economica subita dal danneggiato come conseguenza dell’inadempimento e/o del fatto illecito altrui; b) il lucro cessante, consistente nel mancato guadagno in capo al danneggiato, derivante dall’inadempimento e/o dal fatto illecito altrui.

Il danno non patrimoniale, invece, si identifica nel pregiudizio arrecato ad interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica ma costituzionalmente garantiti come, ad esempio, il diritto alla salute.

All’interno della categoria del danno non patrimoniale, la giurisprudenza riconosce e ricomprende le differenti voci di danno biologico, danno morale e danno esistenziale.

In particolare, per danno biologico si intende la lesione dell’integrità psico-fisica di un individuo, mentre il danno morale si identifica nel turbamento dello stato d’animo e nella sofferenza interiore patita dal danneggiato o dai suoi familiari, a seguito di un atto illecito altrui.

Il danno si definisce esistenziale, invece, quando – pur non traducendosi direttamente in una lesione psico-fisica inquadrabile nel danno alla salute – incide su valori fondamentali dell’esistenza di un individuo, peggiorandone la qualità di vita.

Il danno biologico

Nozione

Il danno biologico – alla luce delle più recenti pronunce giurisprudenziali – si identifica in una nozione unitaria che comprende tanto le lesioni all’integrità psico-fisica della persona, incluse le alterazioni fisio-psichiche temporanee o permanenti, quanto l’incidenza che tali lesioni e/o alterazioni determinano sullo svolgimento delle funzioni vitali e sugli aspetti personali dinamico-relazionali dell’individuo (da ultimo, Cassazione Civile, Sez. III, 19.09.2022, n. 27380).

Affinché possa parlarsi di danno biologico, quindi, sono necessari tre elementi costitutivi:

  1. la lesione e/o l’alterazione psico-fisica della persona, che può essere più o meno grave;
  2. la compromissione delle attività vitali, di carattere temporaneo o permanente;
  3. il nesso causale tra la compromissione delle attività vitali e la lesione e/o l’alterazione psico-fisica subita dalla persona.

A seconda del grado di intensità della lesione o dell’alterazione psico-fisica della persona danneggiata, il danno biologico potrà definirsi temporaneo o permanente.

Criteri di liquidazione

È chiaro che la quantificazione e successiva liquidazione del danno biologico dipende da diversi fattori (ad esempio, età del danneggiato, gravità della lesione etc…) sicché, per assicurare uniformità di trattamento da parte dei diversi uffici giudiziari in caso di richieste di risarcimento, sono state adottate le cosiddette Tabelle di Milano, assunte ormai come parametro unitario di riferimento per la liquidazione del danno non patrimoniale e, quindi, anche del danno biologico.

In particolare, per l’aspetto che qui ci riguarda, il danno biologico, se permanente, può essere risarcito anche tramite la condanna ad una rendita vitalizia parametrata al pregiudizio sofferto dalla persona nel corrispondente arco di tempo in cui si sviluppa la sua sofferenza.

La scelta di liquidare il danno biologico permanente con una rendita vitalizia trova il suo fondamento normativo nell’articolo 2057 del codice civile ed è rimessa al prudente apprezzamento del Giudice, il quale può assumere tale decisione anche d’ufficio “…tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno…”.

La Corte di Cassazione – con la sentenza n. 31574 del 25.10.2022, in tema di risarcimento del danno biologico permanente derivante da responsabilità medica – ha affermato che, ai fini della determinazione della rendita vitalizia, il Giudice deve, preliminarmente, determinare la somma capitale “…avuto riguardo all’età della vittima al momento del sinistro, sulla base delle tabelle di mortalità e senza tener conto della sua eventuale ridotta aspettativa di vita, qualora quest’ultima risulti conseguenza dell’illecito…” e successivamente, dividere tale somma per un coefficiente che può essere scelto discrezionalmente dal Decidente ma sempre sulla base di alcuni parametri predeterminati ovvero dovrà essere: “…a) scientificamente fondato; b) aggiornato; c) corrispondente all’età della vittima alla data dell’infortunio; d) progressivo, cioè variabile in funzione (almeno) di anno, se non di frazione di anno…”.

La somma capitale, infine, deve essere divisa per il coefficiente come sopra individuato, ottenendo l’importo del rateo annuo, che viene poi ulteriormente diviso per 12 mesi se si vuole liquidare una somma mensile anziché annua.

Tale forma di indennizzo assicurerebbe – secondo la Suprema Corte – una forma privilegiata di risarcimento, in quanto da un lato scongiura il rischio di dispersione di un ingente capitale corrisposto una tantum e, dall’altro, compensa giorno dopo giorno il pregiudizio subìto dalla vittima dal giorno dell’evento lesivo in poi, realizzando una tendenziale corrispondenza fra la permanenza del danno e la permanenza del risarcimento.

Anzi, tale forma di ristoro sarebbe addirittura da preferire – sempre secondo i Giudici di legittimità – nei casi in cui il danneggiato sia un soggetto non preparato a gestire un’ingente quantità di denaro devoluta in un’unica soluzione, col rischio che tale capitale potrebbe andare disperso, in tutto o in parte, anche a seguito dell’inesperienza o della condotta colposa del danneggiato o dei suoi familiari.

In questi casi, dunque, il Giudice deve privilegiare la liquidazione del danno biologico sotto forma di rendita vitalizia, ferma restando la possibilità di liquidare, ove sussistente, anche l’eventuale danno parentale se ricorrono i presupposti (ad esempio, in favore dei genitori se la vittima è un minore).

Conclusioni

Alla luce di quanto sin qui detto e sulla scorta delle riflessioni offerte dalla Suprema Corte, l’istituto della rendita vitalizia potrebbe rappresentare la forma di risarcimento da prediligere, stante la maggiore tutela offerta alla persona danneggiata, specie nei casi in cui si tratti di un minore o di un soggetto socialmente debole e vi sia il concreto rischio di dispersione del capitale elargito a titolo di risarcimento.

Tale istituto, inoltre, appare coerente anche nel caso in cui la persona danneggiata dovesse venire a mancare anzitempo, poiché in tal caso – cessato il pregiudizio e il corrispondente diritto al risarcimento – la rendita vitalizia verrebbe sospesa.

 

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