Occupazione sine titulo di bene immobile: il danno è in re ipsa o va dimostrato?

Published On: 21 Novembre 2022Categories: Diritto civile, Tutele, Varie

Le Sezioni Unite della Cassazione Civile, con la recentissima sentenza numero 33645 del 15 novembre 2022, dirimendo i contrasti giurisprudenziali insorti, hanno affermato importanti princìpi in materia di risarcimento del danno da occupazione sine titulo di un bene immobile da parte di un terzo.

Il caso di specie

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte trae origine dal giudizio promosso da una società immobiliare nei confronti di un Condominio cui la società aveva venduto delle porzioni immobiliari, riservandosi la proprietà di alcune aree adiacenti, destinate a parcheggi.

La medesima società lamentava in particolare che a seguito della vendita, il Condominio si fosse appropriato anche delle aree destinate a parcheggi dal medesimo non acquistate, impedendone la vendita a terzi da parte della società.

Pertanto, in primo grado, la società chiedeva l’accertamento del diritto di proprietà su tali aree con ordine di rilascio da parte del Condominio e la condanna al risarcimento del danno patrimoniale per la loro illegittima occupazione.

Il Tribunale rigettava integralmente le domande della società, la quale proponeva appello avverso la decisione di primo grado.

La Corte d’Appello, accoglieva parzialmente il gravame limitatamente all’azione di rivendica, rigettando tuttavia la domanda risarcitoria.

La Corte di Cassazione successivamente adita accoglieva invece integralmente le domande della società e rinviava il giudizio innanzi alla Corte d’Appello, che tuttavia rigettava nuovamente le domande della società, in quanto – se era pur vero che nella giurisprudenza di legittimità il danno subito dal proprietario per effetto di occupazione illegittima di immobile era stato definito in re ipsa – tuttavia il riconoscimento del danno alla società presupponeva l’allegazione di un pregiudizio derivante dall’impossibilità di utilizzare l’immobile, pregiudizio che nella specie non era mai stato prospettato.

La società ricorreva quindi ancora una volta in Cassazione, ove – a seguito di ordinanza interlocutoria –  la decisione veniva rimessa alle Sezioni Unite.

I contrasti giurisprudenziali

Innanzi tutto, occorre osservare che il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite poiché esso pone la questione – controversa in giurisprudenza – se il danno da occupazione sine titulo di immobile (id est la compressione della facoltà di godimento diretto del bene, costituente il contenuto del diritto di proprietà), costituisca o meno un danno in re ipsa e quindi automaticamente risarcibile, senza bisogno di allegazione e prova del relativo pregiudizio.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, l’impedimento a ricavare dal bene abusivamente occupato l’utilità diretta che esso offre non dovrebbe richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno, potendo il godimento diretto esaurirsi anche in una fruizione meramente saltuaria o occasionale o anche nella utilitas derivante dalla mera potenzialità di una fruizione (anche una fruizione in potenza è idonea a costituire una posta attiva del patrimonio del proprietario).

Il carattere in re ipsa del danno discenderebbe invero dalla natura fruttifera del bene e il valore d’uso che si può ritrarre dal godimento diretto del bene, o il valore di scambio che può ricavarsi dalla cessione di tale godimento a terzi, e che il risarcimento della perdita della disponibilità temporanea del bene, liquidabile eventualmente in via equitativa, spetta (anche) nei casi in cui non sia provato in qual modo il titolare avrebbe usato di tale disponibilità.

Pertanto, secondo tale orientamento:

– nel caso della perdita del godimento del bene la prova del danno emergente è in re ipsa, da liquidare sulla base della durata dell’occupazione, provata dal proprietario, e se del caso mediante il valore locativo di mercato quale tecnica, fra le varie possibili, di liquidazione equitativa;

– ove il proprietario agisca per il danno da mancato guadagno, deve invece offrire la prova specifica delle occasioni di guadagno perse, anche mediante il ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio.

Secondo altro indirizzo giurisprudenziale (che si colloca all’interno di una tendenza giurisprudenziale propensa a ricusare ogni forma di danno figurativo e astratto, pur ammettendone la prova per presunzioni, per una serie di fattispecie), il danno subìto non può identificarsi immediatamente con l’evento dannoso, e ciò in quanto – se così fosse – esso costituirebbe un danno punitivo senza alcun riconoscimento legislativo (in contrasto con Cass. Sez. U. n. 16601 del 2017), perché il soggetto leso potrebbe ottenere un risarcimento anche quando in concreto non abbia subito alcun pregiudizio.

Il danno da occupazione sine titulo può però essere dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma tale alleggerimento dell’onere probatorio non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.

Volendo riassumere pertanto, il punto di divergenza fra i superiori orientamenti riguarda non il mancato guadagno, bensì la perdita subita.

Entrambi gli orientamenti escludono infatti che un danno in re ipsa sia configurabile in relazione al lucro cessante, atteso che le occasioni di guadagno perse devono essere oggetto di specifica prova, naturalmente anche a mezzo di presunzioni.

La problematica del danno in re ipsa emerge quindi in relazione al cd “danno emergente” e quindi alla perdita subita del proprietario costituita dalla facoltà di godimento del bene, quale individuazione dell’esistenza di un danno risarcibile per il sol fatto che di tale facoltà il proprietario sia stato privato a causa dell’occupazione abusiva dell’oggetto del suo diritto.

L’analisi del Supremo Consesso

Posti i superiori contrasti, le Sezioni Unite ricostruiscono la ratio degli istituti che vengono in rilievo e in particolare osservano che rientrano nell’area coperta dalla problematica del danno in re ipsa:

  • la mancata locazione del bene occupato, quale spoliazione della facoltà di godimento indiretto rientrate nell’area della perdita subita (rientrando invece nel mancato guadagno, la locazione per un canone superiore a quello di mercato, che, deve essere oggetto di prova specifica, anche in via presuntiva);
  • il diritto di disporre del bene (inteso quale diritto di scegliere le possibili destinazioni del bene e di modificarne l’organizzazione produttiva), che inerisce sempre all’area della perdita subita e dunque alla problematica del danno in re ipsa.

Ciò posto, le Sezioni Unite osservano che “…la questione posta dal contrasto è, al fondo, se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria…”.

Al succitato quesito il Supremo Consesso dà risposta positiva, precisando però che la locuzione “danno in re ipsa” deve in realtà essere sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale“, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.

La linea da perseguire è infatti, secondo le Sezioni Unite, quella del punto di mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla Terza Sezione Civile.

Al fine di salvaguardare tale punto di mediazione, le Sezioni Unite operano una fondamentale distinzione tra la tutela reale (azione di rivendica) e quella risarcitoria (risarcimento del danno da occupazione senza titolo).

A) Invero, mentre la tutela reale è orientata al futuro e mira al ripristino dell’ordine formale violato mediante l’accertamento dello stato di diritto e la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo, l’azione risarcitoria è invece orientata al passato e costituisce il rimedio per la perdita subita a causa della violazione del diritto. Tale ultima azione, in particolare, costituisce la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita verificatasi in conseguenza della condotta abusiva dei terzi.

Invero, quando l’azione lesiva attinge il contenuto del diritto di proprietà (“il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo“), ciò che viene in primo luogo in rilievo è la violazione dell’ordine giuridico per cui l’ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell’ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso (cui eventualmente concorre anche la misura restitutoria del bene, la quale disciplina con riferimento ai frutti naturali separati e ai frutti civili maturati le conseguenze della restituzione della cosa da parte del possessore convenuto dal proprietario in sede di rivendicazione).

B) La domanda risarcitoria presuppone invece che “…per la presenza di un danno risarcibile, l’azione lesiva del contenuto del diritto di proprietà sia valutabile non solo come violazione dell’ordine formale, ma anche come evento di danno…”; in tale ipotesi quindi “…il nesso di causalità materiale si stabilisce fra l’occupazione senza titolo dell’immobile e direttamente la lesione del diritto di proprietà, senza passare per l’intermediazione del pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà…”.

L’evento di danno quindi, riguarda non la cosa, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa.

E quindi “..mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l’alterazione dell’ordinamento formale, la tutela risarcitoria è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata…”.

La distinzione fra le due forme di tutela comporta che il fatto costitutivo dell’azione risarcitoria non possa coincidere senza residui con quello dell’azione di rivendicazione ma debba contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile.

Ed è proprio il riferimento alla specifica circostanza di godimento perso a stabilire la discontinuità fra il fatto costitutivo dell’azione di rivendicazione e quello dell’azione risarcitoria, preservando la distinzione fra la tutela reale e quella risarcitoria.

Sulla scorta delle superiori considerazioni pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato che:

– nella fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è richiesta “…l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa. Ciò significa che il non uso, il quale è pure una caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento…”;

– l’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilità di godimento perduta “…può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito…”;

– al cospetto di tale allegazione “…il convenuto ha l’onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento…”, mediante contestazione che deve essere specifica;

in presenza di una specifica contestazione, “…sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici…”;

– nel caso della presunzione, “…l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa…”;

– inoltre “…sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa…”;

– e ancora, “…se la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall’occupazione abusiva, l’onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi, fra i quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato (una volta che si quantifichi equitativamente il godimento perduto con il canone locativo di mercato, il corrispettivo di una locazione ai correnti valori di mercato rientra, come si è visto, nelle perdite subite)…”;

– ove insorga controversia in relazione al fatto costitutivo del lucro cessante allegato “…l’onus probandi anche in questo caso può naturalmente essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o le presunzioni semplici. In generale, in relazione al mancato guadagno può rinviarsi alla costante giurisprudenza in materia di maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c. (fra le tante Cass. 3 febbraio 2011, n. 2552; 26 novembre 2007, n. 24614; 27 marzo 2007, n. 7499; 13 luglio 2005, n. 14753; 23 maggio 2002, n. 7546)..”.

Le Sezioni Unite inoltre precisano che sia per la perdita subita che per il mancato guadagno, “…l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti…”.

Sul piano pratico, ciò comporta “…la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115, comma 1, nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno…”.

Il Supremo Consesso chiarisce così la portata eminentemente pratica delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto” emerse nella recente giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, a una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva.

I princìpi di diritto espressi dalle Sezioni Unite

Alla luce delle superiori considerazioni, la Suprema Corte, ha deciso di perseguire una linea “intermedia” fra i due orientamenti contrapposti, lasciando intatta la distinzione fra azione reale e azione risarcitoria e affermando i seguenti princìpi di diritto:

– “…nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta…”;

– “…nel caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato…”;

– “…nel caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato…”.

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Occupazione sine titulo di bene immobile: il danno è in re ipsa o va dimostrato?

Published On: 21 Novembre 2022

Le Sezioni Unite della Cassazione Civile, con la recentissima sentenza numero 33645 del 15 novembre 2022, dirimendo i contrasti giurisprudenziali insorti, hanno affermato importanti princìpi in materia di risarcimento del danno da occupazione sine titulo di un bene immobile da parte di un terzo.

Il caso di specie

Il caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte trae origine dal giudizio promosso da una società immobiliare nei confronti di un Condominio cui la società aveva venduto delle porzioni immobiliari, riservandosi la proprietà di alcune aree adiacenti, destinate a parcheggi.

La medesima società lamentava in particolare che a seguito della vendita, il Condominio si fosse appropriato anche delle aree destinate a parcheggi dal medesimo non acquistate, impedendone la vendita a terzi da parte della società.

Pertanto, in primo grado, la società chiedeva l’accertamento del diritto di proprietà su tali aree con ordine di rilascio da parte del Condominio e la condanna al risarcimento del danno patrimoniale per la loro illegittima occupazione.

Il Tribunale rigettava integralmente le domande della società, la quale proponeva appello avverso la decisione di primo grado.

La Corte d’Appello, accoglieva parzialmente il gravame limitatamente all’azione di rivendica, rigettando tuttavia la domanda risarcitoria.

La Corte di Cassazione successivamente adita accoglieva invece integralmente le domande della società e rinviava il giudizio innanzi alla Corte d’Appello, che tuttavia rigettava nuovamente le domande della società, in quanto – se era pur vero che nella giurisprudenza di legittimità il danno subito dal proprietario per effetto di occupazione illegittima di immobile era stato definito in re ipsa – tuttavia il riconoscimento del danno alla società presupponeva l’allegazione di un pregiudizio derivante dall’impossibilità di utilizzare l’immobile, pregiudizio che nella specie non era mai stato prospettato.

La società ricorreva quindi ancora una volta in Cassazione, ove – a seguito di ordinanza interlocutoria –  la decisione veniva rimessa alle Sezioni Unite.

I contrasti giurisprudenziali

Innanzi tutto, occorre osservare che il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite poiché esso pone la questione – controversa in giurisprudenza – se il danno da occupazione sine titulo di immobile (id est la compressione della facoltà di godimento diretto del bene, costituente il contenuto del diritto di proprietà), costituisca o meno un danno in re ipsa e quindi automaticamente risarcibile, senza bisogno di allegazione e prova del relativo pregiudizio.

Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, l’impedimento a ricavare dal bene abusivamente occupato l’utilità diretta che esso offre non dovrebbe richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno, potendo il godimento diretto esaurirsi anche in una fruizione meramente saltuaria o occasionale o anche nella utilitas derivante dalla mera potenzialità di una fruizione (anche una fruizione in potenza è idonea a costituire una posta attiva del patrimonio del proprietario).

Il carattere in re ipsa del danno discenderebbe invero dalla natura fruttifera del bene e il valore d’uso che si può ritrarre dal godimento diretto del bene, o il valore di scambio che può ricavarsi dalla cessione di tale godimento a terzi, e che il risarcimento della perdita della disponibilità temporanea del bene, liquidabile eventualmente in via equitativa, spetta (anche) nei casi in cui non sia provato in qual modo il titolare avrebbe usato di tale disponibilità.

Pertanto, secondo tale orientamento:

– nel caso della perdita del godimento del bene la prova del danno emergente è in re ipsa, da liquidare sulla base della durata dell’occupazione, provata dal proprietario, e se del caso mediante il valore locativo di mercato quale tecnica, fra le varie possibili, di liquidazione equitativa;

– ove il proprietario agisca per il danno da mancato guadagno, deve invece offrire la prova specifica delle occasioni di guadagno perse, anche mediante il ricorso a presunzioni semplici o al fatto notorio.

Secondo altro indirizzo giurisprudenziale (che si colloca all’interno di una tendenza giurisprudenziale propensa a ricusare ogni forma di danno figurativo e astratto, pur ammettendone la prova per presunzioni, per una serie di fattispecie), il danno subìto non può identificarsi immediatamente con l’evento dannoso, e ciò in quanto – se così fosse – esso costituirebbe un danno punitivo senza alcun riconoscimento legislativo (in contrasto con Cass. Sez. U. n. 16601 del 2017), perché il soggetto leso potrebbe ottenere un risarcimento anche quando in concreto non abbia subito alcun pregiudizio.

Il danno da occupazione sine titulo può però essere dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma tale alleggerimento dell’onere probatorio non può includere anche l’esonero dalla allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.

Volendo riassumere pertanto, il punto di divergenza fra i superiori orientamenti riguarda non il mancato guadagno, bensì la perdita subita.

Entrambi gli orientamenti escludono infatti che un danno in re ipsa sia configurabile in relazione al lucro cessante, atteso che le occasioni di guadagno perse devono essere oggetto di specifica prova, naturalmente anche a mezzo di presunzioni.

La problematica del danno in re ipsa emerge quindi in relazione al cd “danno emergente” e quindi alla perdita subita del proprietario costituita dalla facoltà di godimento del bene, quale individuazione dell’esistenza di un danno risarcibile per il sol fatto che di tale facoltà il proprietario sia stato privato a causa dell’occupazione abusiva dell’oggetto del suo diritto.

L’analisi del Supremo Consesso

Posti i superiori contrasti, le Sezioni Unite ricostruiscono la ratio degli istituti che vengono in rilievo e in particolare osservano che rientrano nell’area coperta dalla problematica del danno in re ipsa:

  • la mancata locazione del bene occupato, quale spoliazione della facoltà di godimento indiretto rientrate nell’area della perdita subita (rientrando invece nel mancato guadagno, la locazione per un canone superiore a quello di mercato, che, deve essere oggetto di prova specifica, anche in via presuntiva);
  • il diritto di disporre del bene (inteso quale diritto di scegliere le possibili destinazioni del bene e di modificarne l’organizzazione produttiva), che inerisce sempre all’area della perdita subita e dunque alla problematica del danno in re ipsa.

Ciò posto, le Sezioni Unite osservano che “…la questione posta dal contrasto è, al fondo, se la violazione del contenuto del diritto, in quanto integrante essa stessa un danno risarcibile, sia suscettibile di tutela non solo reale ma anche risarcitoria…”.

Al succitato quesito il Supremo Consesso dà risposta positiva, precisando però che la locuzione “danno in re ipsa” deve in realtà essere sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale“, privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui inferire il pregiudizio allegato.

La linea da perseguire è infatti, secondo le Sezioni Unite, quella del punto di mediazione fra la teoria normativa del danno, emersa nella giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, e quella della teoria causale, sostenuta dalla Terza Sezione Civile.

Al fine di salvaguardare tale punto di mediazione, le Sezioni Unite operano una fondamentale distinzione tra la tutela reale (azione di rivendica) e quella risarcitoria (risarcimento del danno da occupazione senza titolo).

A) Invero, mentre la tutela reale è orientata al futuro e mira al ripristino dell’ordine formale violato mediante l’accertamento dello stato di diritto e la rimozione dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo, l’azione risarcitoria è invece orientata al passato e costituisce il rimedio per la perdita subita a causa della violazione del diritto. Tale ultima azione, in particolare, costituisce la misura riparatoria per la concreta lesione del bene della vita verificatasi in conseguenza della condotta abusiva dei terzi.

Invero, quando l’azione lesiva attinge il contenuto del diritto di proprietà (“il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo“), ciò che viene in primo luogo in rilievo è la violazione dell’ordine giuridico per cui l’ordinamento appresta lo strumento di ripristino dell’ordine formale violato, ossia la tutela reale di reintegrazione del diritto leso (cui eventualmente concorre anche la misura restitutoria del bene, la quale disciplina con riferimento ai frutti naturali separati e ai frutti civili maturati le conseguenze della restituzione della cosa da parte del possessore convenuto dal proprietario in sede di rivendicazione).

B) La domanda risarcitoria presuppone invece che “…per la presenza di un danno risarcibile, l’azione lesiva del contenuto del diritto di proprietà sia valutabile non solo come violazione dell’ordine formale, ma anche come evento di danno…”; in tale ipotesi quindi “…il nesso di causalità materiale si stabilisce fra l’occupazione senza titolo dell’immobile e direttamente la lesione del diritto di proprietà, senza passare per l’intermediazione del pregiudizio cagionato alla cosa oggetto del diritto di proprietà…”.

L’evento di danno quindi, riguarda non la cosa, ma proprio il diritto di godere in modo pieno ed esclusivo della cosa stessa.

E quindi “..mentre la tutela reale costituisce il rimedio per l’alterazione dell’ordinamento formale, la tutela risarcitoria è compensativa del bene della vita perduto, secondo le modalità del danno emergente se la perdita patrimoniale (o non patrimoniale) è in uscita, del lucro cessante se la perdita è in entrata…”.

La distinzione fra le due forme di tutela comporta che il fatto costitutivo dell’azione risarcitoria non possa coincidere senza residui con quello dell’azione di rivendicazione ma debba contenere l’ulteriore elemento costitutivo del danno risarcibile.

Ed è proprio il riferimento alla specifica circostanza di godimento perso a stabilire la discontinuità fra il fatto costitutivo dell’azione di rivendicazione e quello dell’azione risarcitoria, preservando la distinzione fra la tutela reale e quella risarcitoria.

Sulla scorta delle superiori considerazioni pertanto, le Sezioni Unite hanno affermato che:

– nella fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è richiesta “…l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento che è andata persa. Ciò significa che il non uso, il quale è pure una caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento…”;

– l’allegazione che l’attore faccia della concreta possibilità di godimento perduta “…può essere specificatamente contestata dal convenuto costituito…”;

– al cospetto di tale allegazione “…il convenuto ha l’onere di opporre che giammai il proprietario avrebbe esercitato il diritto di godimento…”, mediante contestazione che deve essere specifica;

in presenza di una specifica contestazione, “…sorge per l’attore l’onere della prova dello specifico godimento perso, onere che può naturalmente essere assolto anche mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (art. 115, comma 2, c.p.c.) o mediante presunzioni semplici…”;

– nel caso della presunzione, “…l’attore ha l’onere di allegare, e provare se specificatamente contestato, il fatto secondario da cui inferire il fatto costitutivo rappresentato dalla possibilità di godimento persa…”;

– inoltre “…sia nel caso di godimento diretto, che in quello di godimento indiretto, il danno può essere valutato equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c., attingendo al parametro del canone locativo di mercato quale valore economico del godimento nell’ambito di un contratto tipizzato dalla legge, come la locazione, che fa proprio del canone il valore del godimento della cosa…”;

– e ancora, “…se la domanda risarcitoria ha ad oggetto il mancato guadagno causato dall’occupazione abusiva, l’onere di allegazione riguarda gli specifici pregiudizi, fra i quali si possono identificare non solo le occasioni perse di vendita a un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato, ma anche le mancate locazioni a un canone superiore a quello di mercato (una volta che si quantifichi equitativamente il godimento perduto con il canone locativo di mercato, il corrispettivo di una locazione ai correnti valori di mercato rientra, come si è visto, nelle perdite subite)…”;

– ove insorga controversia in relazione al fatto costitutivo del lucro cessante allegato “…l’onus probandi anche in questo caso può naturalmente essere assolto mediante le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza o le presunzioni semplici. In generale, in relazione al mancato guadagno può rinviarsi alla costante giurisprudenza in materia di maggior danno ai sensi dell’art. 1591 c.c. (fra le tante Cass. 3 febbraio 2011, n. 2552; 26 novembre 2007, n. 24614; 27 marzo 2007, n. 7499; 13 luglio 2005, n. 14753; 23 maggio 2002, n. 7546)..”.

Le Sezioni Unite inoltre precisano che sia per la perdita subita che per il mancato guadagno, “…l’onere di contestazione, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte convenuta, non anche per quelli ad essa ignoti…”.

Sul piano pratico, ciò comporta “…la maggiore ricorrenza per il convenuto dell’onere di contestazione, nel rigoroso rispetto del requisito di specificità previsto dall’art. 115, comma 1, nelle controversie aventi ad oggetto la perdita subita e la maggiore ricorrenza per l’attore dell’onere probatorio, pur in mancanza di contestazione, nelle controversie aventi ad oggetto il mancato guadagno…”.

Il Supremo Consesso chiarisce così la portata eminentemente pratica delle nozioni di “danno normale” e “danno presunto” emerse nella recente giurisprudenza della Seconda Sezione Civile, le quali rinviano, nelle controversie relative alla perdita subita, a una maggiore frequenza dell’onere del convenuto di specifica contestazione della circostanza di pregiudizio allegata e ad una minore frequenza per l’attore dell’onere di provare la circostanza in discorso, data la tendenziale normalità del pregiudizio al godimento del proprietario a seguito dell’occupazione abusiva.

I princìpi di diritto espressi dalle Sezioni Unite

Alla luce delle superiori considerazioni, la Suprema Corte, ha deciso di perseguire una linea “intermedia” fra i due orientamenti contrapposti, lasciando intatta la distinzione fra azione reale e azione risarcitoria e affermando i seguenti princìpi di diritto:

– “…nel caso di occupazione senza titolo di bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto mediante concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta…”;

– “…nel caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, se il danno da perdita subita di cui il proprietario chieda il risarcimento non può essere provato nel suo preciso ammontare, esso è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, se del caso mediante il parametro del canone locativo di mercato…”;

– “…nel caso di occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è lo specifico pregiudizio subito, quale quello che, in mancanza dell’occupazione, egli avrebbe concesso il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o che lo avrebbe venduto ad un prezzo più conveniente di quello di mercato…”.

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