Pertinenza urbanistico-edilizia: portico e autorimessa sono tali?

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 23.09.2021 n. 6438, confermando la decisione del Giudice di primo grado, si è pronunciata sulla natura ed inquadramento di opere o manufatti pertinenziali.
Nella fattispecie, si discuteva della qualità di pertinenza edilizia di due portici costruiti in aderenza ad un fabbricato produttivo già esistente, nonché di un’autorimessa/tettoia con saracinesca ubicata al confine con l’area ove preesisteva il suddetto edificio.
Assumendo la finalità strumentale dei portici rispetto al fabbricato produttivo esistente, la mancanza di un loro autonomo valore commerciale e l’assenza di incidenza sul carico urbanistico, il privato opponeva – all’ordine di demolizione imposto sul rilievo dell’abuso – che si trattasse di opere pertinenziali per le quali poteva procedersi senza permesso di costruire.
Orbene, il Consiglio di Stato, ponendo a confronto il disposto di cui all’articolo 817 del codice civile e quello di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380 (che qualifica quali interventi di nuova costruzione pertinenziali quelli «…che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale…») ha indicato ancora una volta i confini fra l’accezione civilistica di pertinenza e quella invece applicata nella materia urbanistico-edilizia.
L’accezione civilistica di pertinenza è invero e certamente più ampia di quella applicata nella materia urbanistico-edilizia.
Invero, “…la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto al bene in cui esso inerisce, ii) a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica (art. 817 c.c.), ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un carico urbanistico esaurendo la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale”.
La pronuncia in rassegna, rinsaldando quanto correttamente messo in rilievo dal primo giudice, conferma che, allorquando la rilevante dimensione degli interventi edilizi effettuati incida sul carico urbanistico, ciò è sufficiente per escludere la configurabilità di una pertinenza edilizia (peraltro, nella fattispecie, le opere realizzate – portici e autorimessa – dovevano essere valutate unitariamente, risultando realizzato un complesso di interventi privi dei prescritti titoli abilitativi).
La pronuncia è altresì l’occasione per consolidare ulteriormente quell’orientamento giurisprudenziale su cui è già intervenuta l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 17 ottobre 2017 n. 9, secondo cui “anche quando sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso, non occorre alcuna particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata e all’affidamento ingenerato nel privato. L’ordinamento tutela «l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem».”.
Sicché a nulla rileva la circostanza che le ordinanze di demolizione contestate dall’appellante siano intervenute solo in epoca recente rispetto alla realizzazione delle opere.
Col che, anche nel caso a mani, non è riconosciuto alcun affidamento incolpevole da tutelare.

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Pertinenza urbanistico-edilizia: portico e autorimessa sono tali?

Published On: 4 Ottobre 2021

La Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 23.09.2021 n. 6438, confermando la decisione del Giudice di primo grado, si è pronunciata sulla natura ed inquadramento di opere o manufatti pertinenziali.
Nella fattispecie, si discuteva della qualità di pertinenza edilizia di due portici costruiti in aderenza ad un fabbricato produttivo già esistente, nonché di un’autorimessa/tettoia con saracinesca ubicata al confine con l’area ove preesisteva il suddetto edificio.
Assumendo la finalità strumentale dei portici rispetto al fabbricato produttivo esistente, la mancanza di un loro autonomo valore commerciale e l’assenza di incidenza sul carico urbanistico, il privato opponeva – all’ordine di demolizione imposto sul rilievo dell’abuso – che si trattasse di opere pertinenziali per le quali poteva procedersi senza permesso di costruire.
Orbene, il Consiglio di Stato, ponendo a confronto il disposto di cui all’articolo 817 del codice civile e quello di cui all’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica del 6 giugno 2001 n. 380 (che qualifica quali interventi di nuova costruzione pertinenziali quelli «…che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale…») ha indicato ancora una volta i confini fra l’accezione civilistica di pertinenza e quella invece applicata nella materia urbanistico-edilizia.
L’accezione civilistica di pertinenza è invero e certamente più ampia di quella applicata nella materia urbanistico-edilizia.
Invero, “…la pertinenza urbanistico-edilizia è configurabile allorquando sussista un oggettivo nesso che non consenta altro che la destinazione della cosa ad un uso servente durevole e sussista una dimensione ridotta e modesta del manufatto rispetto al bene in cui esso inerisce, ii) a differenza della nozione di pertinenza di derivazione civilistica (art. 817 c.c.), ai fini edilizi un manufatto può essere considerato una pertinenza quando è non solo preordinato ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale ed è funzionalmente inserito al suo servizio, ma anche allorquando è sfornito di un autonomo valore di mercato e non comporta un carico urbanistico esaurendo la sua finalità nel rapporto funzionale con l’edificio principale”.
La pronuncia in rassegna, rinsaldando quanto correttamente messo in rilievo dal primo giudice, conferma che, allorquando la rilevante dimensione degli interventi edilizi effettuati incida sul carico urbanistico, ciò è sufficiente per escludere la configurabilità di una pertinenza edilizia (peraltro, nella fattispecie, le opere realizzate – portici e autorimessa – dovevano essere valutate unitariamente, risultando realizzato un complesso di interventi privi dei prescritti titoli abilitativi).
La pronuncia è altresì l’occasione per consolidare ulteriormente quell’orientamento giurisprudenziale su cui è già intervenuta l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 17 ottobre 2017 n. 9, secondo cui “anche quando sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso, non occorre alcuna particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata e all’affidamento ingenerato nel privato. L’ordinamento tutela «l’affidamento di chi versa in una situazione antigiuridica soltanto laddove esso presenti un carattere incolpevole, mentre la realizzazione di un’opera abusiva si concretizza in una volontaria attività del costruttore realizzata contra legem».”.
Sicché a nulla rileva la circostanza che le ordinanze di demolizione contestate dall’appellante siano intervenute solo in epoca recente rispetto alla realizzazione delle opere.
Col che, anche nel caso a mani, non è riconosciuto alcun affidamento incolpevole da tutelare.

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