Risultato, Fiducia e Accesso al mercato, quali princìpi generali e fondanti del nuovo codice dei contratti pubblici

Published On: 10 Maggio 2023Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Europa, Normativa

Stando ai primi commenti e alla stessa Commissione speciale costituita presso il Consiglio di Stato per l’attuazione alla legge delega 78/2022, una delle principali novità del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n.36/2023 – pubblicato sulla GURI 77/2023, entrato in vigore lo scorso 1 aprile e ripubblicato, “con note”, sulla GURI n.87 del 13.04.2023 – è rappresentata dalla codificazione dei “princìpi generali” della materia, contenuta al suo “incipit”, e cioè nei primi articoli dello stesso codice (artt. 1-12) che ne costituiscono il “Titolo I” (della “Parte I”).

Alcuni di questi “princìpi generali” sono già noti al nostro ordinamento e, in particolare, alla speciale disciplina di settore, essendo stati enucleati sulla scorta del previgente codice dei contratti e nel tempo affinati dalla giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia dell’UE (cfr. articoli 5, 6, 7 e 10, rispettivamente dedicati ai princìpi di “buona fede e tutela dell’affidamento”, di “solidarietà e di sussidiarietà orizzontale”, di “auto-organizzazione amministrativa” e di “tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione”).

Il Legislatore delegato, tuttavia, nel recepire l’impostazione dello “schema di codice” predisposto dalla citata Commissione speciale, ha ritenuto di introdurre – in occasione della globale riforma della materia dei contratti pubblici, in particolare sollecitata dal PNRR – anche tre “nuovi” princìpi generali e fondanti, e cioè quelli del “risultato” della “fiducia” e dell’“accesso al mercato”, a cui sono appunto dedicati i primi tre articoli del nuovo codice.

Passiamoli velocemente in rassegna, analizzando i primi quattro articoli del nuovo codice, dopo aver premesso “brevi cenni” sulla loro collocazione e sugli obiettivi ad essi sottesi.

 I “princìpi generali” in materia di contratti pubblici: collocazione, obiettivi perseguiti e rischi collaterali

Il previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 50/2016 recava anch’esso un “Titolo I” dedicato ai “princìpi generali”, ma non conteneva in realtà alcuna elencazione – neanche solo esemplificativa – dei princìpi generali della materia dei contratti pubblici. Qui, infatti, il “vecchio codice” si limitava a delineare il proprio ambito di applicazione (art.1), a declinare le competenze di Stato e Regioni e a fornire le principali “definizioni” (art. 3).

Ben diversa è l’impostazione del nuovo codice contenuto nel decreto legislativo 36/2023.

Esso, infatti e come accennato in premessa, compendia – con dichiarati intenti sistematici, nomofilattici e nomogenetici – un’articolata serie di “princìpi generali”, sin dal suo “incipit” e cioè nei primi 12 articoli che ne costituiscono il “Titolo I” della “Parte I” del “Libro I” (1).

Al riguardo, la “relazione di accompagnamento” al nuovo codice – predisposta dalla stessa Commissione speciale costituita presso il Consiglio di Stato che ne ha redatto lo “schema” – si premura di illustrare le ragioni dell’importante sforzo compiuto, in sede di riforma della materia, per enucleare detti “princìpi generali”, chiarendone gli obiettivi, ma anche i rischi collaterali.

In particolare, nella relazione, si rammenta come i “princìpi generali di un settore” esprimano i “valori e criteri di valutazione immanenti all’ordine giuridico”, assolvendo la loro codificazione a una importante “funzione di completezza dell’ordinamento giuridico e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni” e assicurando intellegibilità, organicità e unitarietà dell’impalcato normativo.

Al tempo stesso, si rammenta come vi sia però sempre latente il rischio di un “uso inappropriato” di detti princìpi generali o di un vero e proprio “abuso dei princìpi”, potendosi prestare il fianco ad un “eccessivo potere interpretativo del giudice”, che andrebbe a detrimento di altri importanti e rilevanti valori ordinamentali, quali la certezza del diritto e la “prevedibilità” delle soluzioni giudiziali dei conflitti.

È, dunque, proprio per scongiurare tali “rischi collaterali” che il Legislatore del nuovo codice, sulla scorta delle indicazioni rivenienti dalla Commissione speciale, ha ritenuto di declinare i “princìpi generali”, non solo e non tanto in termini di astratte enunciazioni di carattere retorico, che possano fungere da ausilio nell’interpretazione delle singole norme e regole contenute nel prosieguo del codice stesso (cfr. art. 4), ma anche e soprattutto in chiave “concreta”, “precettiva” e “operativa”.

Ciò, si legge sempre nella “relazione di accompagnamento” al nuovo codice, anche al fine di realizzare – “fra gli altri” – due importanti obiettivi d’ordine sistematico.

Il primo è, o vorrebbe essere, quello della c.d. demitizzazione della concorrenza di cui la stessa relazione riferisce lungamente anche nel prosieguo: nel nuovo codice, infatti, la concorrenza diventa (o vorrebbe farsi diventare) “strumento” per realizzare altri interessi e obiettivi (“in primis”, quello della realizzazione delle commesse pubbliche: cfr. art.1), con l’auspicio che detto valore non sia più considerato quale “fine ultimo” dell’operato della pubblica amministrazione-stazione appaltante (come pure nel recente passato è avvenuto).

Il secondo è, o vorrebbe essere, quello della valorizzazione dei poteri di valutazione (anche discrezionale) e, più in generale, della “libertà d’iniziativa” delle stazioni appaltanti, presidiandone la “virtuosità” (e, dunque, il rispetto della legalità formale e degli obiettivi e interessi sostanziali perseguiti) anche attraverso il contrasto – “in un quadro di rinnovata fiducia verso l’azione dell’amministrazione” al “fenomeno della cd. «burocrazia difensiva», che può generare ritardi o inefficienze nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti”.

 Il “principio del risultato” (art. 1)

L’art. 1 del nuovo codice definisce il parimenti nuovo “principio del risultato” che parrebbe costituire – come pure conferma la sua collocazione sistematica, quale “esordio” del nuovo codice – la “stella polare” dell’intero impalcato normativo e delle future attività di ogni stazione appaltante o ente concedente.

Costituendo “attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati princìpi di efficienza, efficacia ed economicità”, il principio in rassegna esige in particolare che, “nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea”, ogni stazione appaltante o ente concedente persegua il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione, e cioè quello della realizzazione della commessa pubblica, “con la massima tempestività e il miglior possibile rapporto qualità-prezzo, nel rispetto dei princìpi di legalità, trasparenza e concorrenza”.

Col che, i valori di tempestività, trasparenza, concorrenza e financo quello di legalità dell’azione amministrativa – pur restando fondamentali canoni dell’agere amministrativo nello specifico settore – finiscono per assumere una valenza quasi servente, venendo oggi “funzionalizzati” al perseguimento del risultato della realizzazione della commessa pubblica; il tutto, secondo una rinnovata e dichiarata logica di “mezzo al fine” che vorrebbe evolutivamente superare – o quanto meno scongiurare – quegli approdi “meramente formalistici” a cui pure la prassi in materia ha tante volte prestato il fianco.

Ciò si evince in maniera ancor più chiara dal comma 2 dell’articolo in rassegna, il quale precisa che “la concorrenza tra gli operatori è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”, come pure la “trasparenza” che è (o diventa) “funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice”, assicurandole la “piena verificabilità” (concetto questo che – sottolinea sempre la “relazione di accompagnamento” al nuovo codice – evoca il concetto anglosassone di “accountability”, intesa come “responsabilità per i risultati conseguiti”).

Infine, in chiave più prettamente operativa, il comma 4 della norma in rassegna, prevede che il principio del risultato costituisca “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”, ma anche parametro da valutare: a) in sede di responsabilità amministrativa e disciplinare, a favore del personale che svolge funzioni amministrative nelle varie fasi di vita dei contratti pubblici (dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione); b) per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici (secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva).

Il “principio della fiducia” (art. 2)

L’art. 2 del nuovo codice declina il c.d. “principio della fiducia”.

Con l’intento di favorire e valorizzare “l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”, tale secondo principio fondante sembra recepire, in senso evolutivo, la tradizionale “presunzione di legittimità dell’azione amministrativa”, venendo declinato nei seguenti “innovativi termini”: “l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici” (comma 1).

Anche e soprattutto in tal caso, gli obiettivi perseguiti attraverso la codificazione del principio in rassegna sono quanto meno ambiziosi: superare la “logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni, anche attraverso la stratificazione di interventi normativi non sempre coordinati tra loro, e che si è caratterizzata da un lato per una normazione di estremo dettaglio, che mortificava l’esercizio della discrezionalità”, ma anche e soprattutto porre un argine alla “burocrazia difensiva” e all’ormai tristemente noto (e purtroppo diffuso) fenomeno della “paura della firma” (collegata al rischio per i funzionari pubblici di incorrere in responsabilità di natura amministrativa, civile, contabile e/o penale), entrambi fonte di gravi inefficienze, inerzia e immobilismo (cfr. anche Corte Costituzionale, decisione n. 8/2022; e nuova formulazione del reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c., introdotta ad opera del decreto legge 76/2020).

In questa prospettiva, il nuovo codice, attraverso la disposizione in esame, si premura: a) per un verso, di “puntellare” il principio della fiducia, attraverso il richiamo ai tradizionali princìpi di legalità, trasparenza e correttezza dell’agere amministrativo, espressamente citati dalla disposizione a conferma del carattere “non incondizionato” – e auspicabilmente “virtuoso” – della fiducia da accordare alla PA e ai suoi funzionari; b) per altro verso, ad estenderlo, declinandolo in termini di reciprocità, anche ai soggetti esterni alla PA che con essa vengono in contatto e, dunque, anche agli “operatori economici”, espressamente menzionati al comma 1 (insieme ai “funzionari pubblici”); c) e al contempo, di introdurre quella che la “relazione di accompagnamento” definisce (e intende) quale “rete di protezione” rispetto ai rischi che accompagnano l’operato dei funzionari pubblici e in particolare l’esercizio dei loro poteri valutativi e discrezionali.

Tale “rete di protezione” si traduce anzitutto nella perimetrazione normativa del concetto di “colpa grave” rilevante ai fini della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, contenuta al comma 3 della norma in rassegna. Tale comma, elaborato – sottolinea sempre la “relazione” – sulla scorta e in recepimento delle indicazioni della giurisprudenza contabile, prevede testualmente che: “nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti.

Altri due tasselli di questa “rete di protezione” sono previsti dal comma 4, per il quale stazioni appaltanti ed enti concedenti “adottano azioni” sia “per la copertura assicurativa dei rischi per il personale”, sia “per qualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti”.

Il principio dell’accesso al mercato (art. 3)

L’art. 3 del nuovo codice compendia sotto l’onnicomprensiva, e relativamente innovativa, “locuzione” dell’“accesso al mercato” alcuni dei fondamentali princìpi della materia dei contratti pubblici che il nostro ordinamento, anche sulla spinta del diritto eurounitario, ha da tempo recepito.

Tale disposizione prevede, infatti, al suo unico comma che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei princìpi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità”.

Quanto al richiamo del principio di concorrenza, valgono le considerazioni già espresse in precedenza: resta ancora un principio cardine della materia dei contratti pubblici, con tutti i corollari che ne sono stati tratti anche dalla giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia dell’UE, salvo l’auspicio che non rilevi più quale “fine ultimo” dell’operato delle stazioni appaltanti e dei loro funzionari.

I princìpi – complementari – di imparzialità e non discriminazione affondano le proprie radici nell’art. 97 della nostra Costituzione, ma anche nel diritto eurounitario e, in particolare, nei princìpi di tutela della concorrenza e della libera circolazione, mirando in particolare ad assicurare la “par condicio” fra gli operatori economici, evidentemente ritenuta anch’essa – quanto meno a livello di principio – coessenziale al raggiungimento del “risultato” della realizzazione delle commesse pubbliche e degli altri interessi pubblici primari sottesi all’azione amministrative nel settore.

Parimenti e reciprocamente complementari sono anche i princìpi di pubblicità e trasparenza, i quali impongono alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di rendere quanto più visibile e controllabile dall’esterno il loro operato, “con lo scopo sia di permettere una valutazione sulla legalità dell’azione amministrativa sia di incentivare la partecipazione degli operatori economici alle procedure di evidenza pubblica”.

Infine, la norma in rassegna richiama anche il principio di proporzionalità, il quale – anche sulla scorta degli insegnamenti della Corte di Giustizia UE – mira ad assicurare che stazioni appaltanti ed enti concedenti, nell’esercizio del loro potere discrezionale, adottino le soluzioni più congrue e che comportino il minor sacrificio possibile di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti.

L’art. 4: la valenza fondante, interpretativa e applicativa dei princìpi contenuti nei primi tre articoli del codice

L’art. 4 del nuovo codice, rubricato “criterio interpretativo e applicativo”, prevede che “le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai princìpi di cui agli articoli 1, 2 e 3” e, dunque, in base ai princìpi della fiducia, del risultato e dell’accesso al mercato.

In tal modo, si conferma la natura fondante di tali primi tre “princìpi generali” che – sottolinea la “relazione d’accompagnamento” – “devono essere utilizzati per sciogliere le questioni interpretative che le singole disposizioni del codice possono sollevare” per cui, “nel dubbio”, “la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia sull’amministrazione, sui suoi funzionari e sugli operatori economici e che permetta di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici”.

 

(1) Va, tuttavia, in questa sede notato come altri “princìpi”, parimenti “generali” e non meno importanti di quelli contenuti nei primi 12 articoli del nuovo codice, si rinvengano anche nel suo prosieguo. Si vedano, ad esempio e fra gli altri: gli artt. 19 e 30, rispettivamente dedicati ai “Princìpi e diritti digitali” e all’“Uso di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici”; ma anche l’art. 49, dedicato al “Principio di rotazione degli affidamenti”; e l’art. 107, dedicato ad altri “Princìpi generali in materia di selezione”.

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About the Author: Valentina Magnano S. Lio

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Risultato, Fiducia e Accesso al mercato, quali princìpi generali e fondanti del nuovo codice dei contratti pubblici

Published On: 10 Maggio 2023

Stando ai primi commenti e alla stessa Commissione speciale costituita presso il Consiglio di Stato per l’attuazione alla legge delega 78/2022, una delle principali novità del nuovo codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n.36/2023 – pubblicato sulla GURI 77/2023, entrato in vigore lo scorso 1 aprile e ripubblicato, “con note”, sulla GURI n.87 del 13.04.2023 – è rappresentata dalla codificazione dei “princìpi generali” della materia, contenuta al suo “incipit”, e cioè nei primi articoli dello stesso codice (artt. 1-12) che ne costituiscono il “Titolo I” (della “Parte I”).

Alcuni di questi “princìpi generali” sono già noti al nostro ordinamento e, in particolare, alla speciale disciplina di settore, essendo stati enucleati sulla scorta del previgente codice dei contratti e nel tempo affinati dalla giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia dell’UE (cfr. articoli 5, 6, 7 e 10, rispettivamente dedicati ai princìpi di “buona fede e tutela dell’affidamento”, di “solidarietà e di sussidiarietà orizzontale”, di “auto-organizzazione amministrativa” e di “tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione”).

Il Legislatore delegato, tuttavia, nel recepire l’impostazione dello “schema di codice” predisposto dalla citata Commissione speciale, ha ritenuto di introdurre – in occasione della globale riforma della materia dei contratti pubblici, in particolare sollecitata dal PNRR – anche tre “nuovi” princìpi generali e fondanti, e cioè quelli del “risultato” della “fiducia” e dell’“accesso al mercato”, a cui sono appunto dedicati i primi tre articoli del nuovo codice.

Passiamoli velocemente in rassegna, analizzando i primi quattro articoli del nuovo codice, dopo aver premesso “brevi cenni” sulla loro collocazione e sugli obiettivi ad essi sottesi.

 I “princìpi generali” in materia di contratti pubblici: collocazione, obiettivi perseguiti e rischi collaterali

Il previgente codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 50/2016 recava anch’esso un “Titolo I” dedicato ai “princìpi generali”, ma non conteneva in realtà alcuna elencazione – neanche solo esemplificativa – dei princìpi generali della materia dei contratti pubblici. Qui, infatti, il “vecchio codice” si limitava a delineare il proprio ambito di applicazione (art.1), a declinare le competenze di Stato e Regioni e a fornire le principali “definizioni” (art. 3).

Ben diversa è l’impostazione del nuovo codice contenuto nel decreto legislativo 36/2023.

Esso, infatti e come accennato in premessa, compendia – con dichiarati intenti sistematici, nomofilattici e nomogenetici – un’articolata serie di “princìpi generali”, sin dal suo “incipit” e cioè nei primi 12 articoli che ne costituiscono il “Titolo I” della “Parte I” del “Libro I” (1).

Al riguardo, la “relazione di accompagnamento” al nuovo codice – predisposta dalla stessa Commissione speciale costituita presso il Consiglio di Stato che ne ha redatto lo “schema” – si premura di illustrare le ragioni dell’importante sforzo compiuto, in sede di riforma della materia, per enucleare detti “princìpi generali”, chiarendone gli obiettivi, ma anche i rischi collaterali.

In particolare, nella relazione, si rammenta come i “princìpi generali di un settore” esprimano i “valori e criteri di valutazione immanenti all’ordine giuridico”, assolvendo la loro codificazione a una importante “funzione di completezza dell’ordinamento giuridico e di garanzia della tutela di interessi che altrimenti non troverebbero adeguata sistemazione nelle singole disposizioni” e assicurando intellegibilità, organicità e unitarietà dell’impalcato normativo.

Al tempo stesso, si rammenta come vi sia però sempre latente il rischio di un “uso inappropriato” di detti princìpi generali o di un vero e proprio “abuso dei princìpi”, potendosi prestare il fianco ad un “eccessivo potere interpretativo del giudice”, che andrebbe a detrimento di altri importanti e rilevanti valori ordinamentali, quali la certezza del diritto e la “prevedibilità” delle soluzioni giudiziali dei conflitti.

È, dunque, proprio per scongiurare tali “rischi collaterali” che il Legislatore del nuovo codice, sulla scorta delle indicazioni rivenienti dalla Commissione speciale, ha ritenuto di declinare i “princìpi generali”, non solo e non tanto in termini di astratte enunciazioni di carattere retorico, che possano fungere da ausilio nell’interpretazione delle singole norme e regole contenute nel prosieguo del codice stesso (cfr. art. 4), ma anche e soprattutto in chiave “concreta”, “precettiva” e “operativa”.

Ciò, si legge sempre nella “relazione di accompagnamento” al nuovo codice, anche al fine di realizzare – “fra gli altri” – due importanti obiettivi d’ordine sistematico.

Il primo è, o vorrebbe essere, quello della c.d. demitizzazione della concorrenza di cui la stessa relazione riferisce lungamente anche nel prosieguo: nel nuovo codice, infatti, la concorrenza diventa (o vorrebbe farsi diventare) “strumento” per realizzare altri interessi e obiettivi (“in primis”, quello della realizzazione delle commesse pubbliche: cfr. art.1), con l’auspicio che detto valore non sia più considerato quale “fine ultimo” dell’operato della pubblica amministrazione-stazione appaltante (come pure nel recente passato è avvenuto).

Il secondo è, o vorrebbe essere, quello della valorizzazione dei poteri di valutazione (anche discrezionale) e, più in generale, della “libertà d’iniziativa” delle stazioni appaltanti, presidiandone la “virtuosità” (e, dunque, il rispetto della legalità formale e degli obiettivi e interessi sostanziali perseguiti) anche attraverso il contrasto – “in un quadro di rinnovata fiducia verso l’azione dell’amministrazione” al “fenomeno della cd. «burocrazia difensiva», che può generare ritardi o inefficienze nell’affidamento e nell’esecuzione dei contratti”.

 Il “principio del risultato” (art. 1)

L’art. 1 del nuovo codice definisce il parimenti nuovo “principio del risultato” che parrebbe costituire – come pure conferma la sua collocazione sistematica, quale “esordio” del nuovo codice – la “stella polare” dell’intero impalcato normativo e delle future attività di ogni stazione appaltante o ente concedente.

Costituendo “attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati princìpi di efficienza, efficacia ed economicità”, il principio in rassegna esige in particolare che, “nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione europea”, ogni stazione appaltante o ente concedente persegua il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione, e cioè quello della realizzazione della commessa pubblica, “con la massima tempestività e il miglior possibile rapporto qualità-prezzo, nel rispetto dei princìpi di legalità, trasparenza e concorrenza”.

Col che, i valori di tempestività, trasparenza, concorrenza e financo quello di legalità dell’azione amministrativa – pur restando fondamentali canoni dell’agere amministrativo nello specifico settore – finiscono per assumere una valenza quasi servente, venendo oggi “funzionalizzati” al perseguimento del risultato della realizzazione della commessa pubblica; il tutto, secondo una rinnovata e dichiarata logica di “mezzo al fine” che vorrebbe evolutivamente superare – o quanto meno scongiurare – quegli approdi “meramente formalistici” a cui pure la prassi in materia ha tante volte prestato il fianco.

Ciò si evince in maniera ancor più chiara dal comma 2 dell’articolo in rassegna, il quale precisa che “la concorrenza tra gli operatori è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”, come pure la “trasparenza” che è (o diventa) “funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del codice”, assicurandole la “piena verificabilità” (concetto questo che – sottolinea sempre la “relazione di accompagnamento” al nuovo codice – evoca il concetto anglosassone di “accountability”, intesa come “responsabilità per i risultati conseguiti”).

Infine, in chiave più prettamente operativa, il comma 4 della norma in rassegna, prevede che il principio del risultato costituisca “criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto”, ma anche parametro da valutare: a) in sede di responsabilità amministrativa e disciplinare, a favore del personale che svolge funzioni amministrative nelle varie fasi di vita dei contratti pubblici (dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione); b) per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici (secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva).

Il “principio della fiducia” (art. 2)

L’art. 2 del nuovo codice declina il c.d. “principio della fiducia”.

Con l’intento di favorire e valorizzare “l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato”, tale secondo principio fondante sembra recepire, in senso evolutivo, la tradizionale “presunzione di legittimità dell’azione amministrativa”, venendo declinato nei seguenti “innovativi termini”: “l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici” (comma 1).

Anche e soprattutto in tal caso, gli obiettivi perseguiti attraverso la codificazione del principio in rassegna sono quanto meno ambiziosi: superare la “logica fondata sulla sfiducia (se non sul “sospetto”) per l’azione dei pubblici funzionari, che si è sviluppata negli ultimi anni, anche attraverso la stratificazione di interventi normativi non sempre coordinati tra loro, e che si è caratterizzata da un lato per una normazione di estremo dettaglio, che mortificava l’esercizio della discrezionalità”, ma anche e soprattutto porre un argine alla “burocrazia difensiva” e all’ormai tristemente noto (e purtroppo diffuso) fenomeno della “paura della firma” (collegata al rischio per i funzionari pubblici di incorrere in responsabilità di natura amministrativa, civile, contabile e/o penale), entrambi fonte di gravi inefficienze, inerzia e immobilismo (cfr. anche Corte Costituzionale, decisione n. 8/2022; e nuova formulazione del reato di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c., introdotta ad opera del decreto legge 76/2020).

In questa prospettiva, il nuovo codice, attraverso la disposizione in esame, si premura: a) per un verso, di “puntellare” il principio della fiducia, attraverso il richiamo ai tradizionali princìpi di legalità, trasparenza e correttezza dell’agere amministrativo, espressamente citati dalla disposizione a conferma del carattere “non incondizionato” – e auspicabilmente “virtuoso” – della fiducia da accordare alla PA e ai suoi funzionari; b) per altro verso, ad estenderlo, declinandolo in termini di reciprocità, anche ai soggetti esterni alla PA che con essa vengono in contatto e, dunque, anche agli “operatori economici”, espressamente menzionati al comma 1 (insieme ai “funzionari pubblici”); c) e al contempo, di introdurre quella che la “relazione di accompagnamento” definisce (e intende) quale “rete di protezione” rispetto ai rischi che accompagnano l’operato dei funzionari pubblici e in particolare l’esercizio dei loro poteri valutativi e discrezionali.

Tale “rete di protezione” si traduce anzitutto nella perimetrazione normativa del concetto di “colpa grave” rilevante ai fini della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei Conti, contenuta al comma 3 della norma in rassegna. Tale comma, elaborato – sottolinea sempre la “relazione” – sulla scorta e in recepimento delle indicazioni della giurisprudenza contabile, prevede testualmente che: “nell’ambito delle attività svolte nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti, ai fini della responsabilità amministrativa costituisce colpa grave la violazione di norme di diritto e degli auto-vincoli amministrativi, nonché la palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa, in quanto esigibili nei confronti dell’agente pubblico in base alle specifiche competenze e in relazione al caso concreto. Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti.

Altri due tasselli di questa “rete di protezione” sono previsti dal comma 4, per il quale stazioni appaltanti ed enti concedenti “adottano azioni” sia “per la copertura assicurativa dei rischi per il personale”, sia “per qualificare le stazioni appaltanti e per rafforzare e dare valore alle capacità professionali dei dipendenti”.

Il principio dell’accesso al mercato (art. 3)

L’art. 3 del nuovo codice compendia sotto l’onnicomprensiva, e relativamente innovativa, “locuzione” dell’“accesso al mercato” alcuni dei fondamentali princìpi della materia dei contratti pubblici che il nostro ordinamento, anche sulla spinta del diritto eurounitario, ha da tempo recepito.

Tale disposizione prevede, infatti, al suo unico comma che “le stazioni appaltanti e gli enti concedenti favoriscono, secondo le modalità indicate dal codice, l’accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei princìpi di concorrenza, di imparzialità, di non discriminazione, di pubblicità e trasparenza, di proporzionalità”.

Quanto al richiamo del principio di concorrenza, valgono le considerazioni già espresse in precedenza: resta ancora un principio cardine della materia dei contratti pubblici, con tutti i corollari che ne sono stati tratti anche dalla giurisprudenza amministrativa e della Corte di Giustizia dell’UE, salvo l’auspicio che non rilevi più quale “fine ultimo” dell’operato delle stazioni appaltanti e dei loro funzionari.

I princìpi – complementari – di imparzialità e non discriminazione affondano le proprie radici nell’art. 97 della nostra Costituzione, ma anche nel diritto eurounitario e, in particolare, nei princìpi di tutela della concorrenza e della libera circolazione, mirando in particolare ad assicurare la “par condicio” fra gli operatori economici, evidentemente ritenuta anch’essa – quanto meno a livello di principio – coessenziale al raggiungimento del “risultato” della realizzazione delle commesse pubbliche e degli altri interessi pubblici primari sottesi all’azione amministrative nel settore.

Parimenti e reciprocamente complementari sono anche i princìpi di pubblicità e trasparenza, i quali impongono alle stazioni appaltanti e agli enti concedenti di rendere quanto più visibile e controllabile dall’esterno il loro operato, “con lo scopo sia di permettere una valutazione sulla legalità dell’azione amministrativa sia di incentivare la partecipazione degli operatori economici alle procedure di evidenza pubblica”.

Infine, la norma in rassegna richiama anche il principio di proporzionalità, il quale – anche sulla scorta degli insegnamenti della Corte di Giustizia UE – mira ad assicurare che stazioni appaltanti ed enti concedenti, nell’esercizio del loro potere discrezionale, adottino le soluzioni più congrue e che comportino il minor sacrificio possibile di tutti gli interessi, pubblici e privati, coinvolti.

L’art. 4: la valenza fondante, interpretativa e applicativa dei princìpi contenuti nei primi tre articoli del codice

L’art. 4 del nuovo codice, rubricato “criterio interpretativo e applicativo”, prevede che “le disposizioni del codice si interpretano e si applicano in base ai princìpi di cui agli articoli 1, 2 e 3” e, dunque, in base ai princìpi della fiducia, del risultato e dell’accesso al mercato.

In tal modo, si conferma la natura fondante di tali primi tre “princìpi generali” che – sottolinea la “relazione d’accompagnamento” – “devono essere utilizzati per sciogliere le questioni interpretative che le singole disposizioni del codice possono sollevare” per cui, “nel dubbio”, “la soluzione ermeneutica da privilegiare è quella che sia funzionale a realizzare il risultato amministrativo, che sia coerente con la fiducia sull’amministrazione, sui suoi funzionari e sugli operatori economici e che permetta di favorire il più ampio accesso al mercato degli operatori economici”.

 

About the Author: Valentina Magnano S. Lio

(1) Va, tuttavia, in questa sede notato come altri “princìpi”, parimenti “generali” e non meno importanti di quelli contenuti nei primi 12 articoli del nuovo codice, si rinvengano anche nel suo prosieguo. Si vedano, ad esempio e fra gli altri: gli artt. 19 e 30, rispettivamente dedicati ai “Princìpi e diritti digitali” e all’“Uso di procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici”; ma anche l’art. 49, dedicato al “Principio di rotazione degli affidamenti”; e l’art. 107, dedicato ad altri “Princìpi generali in materia di selezione”.