Il presupposto del “dimostrato bisogno dell’arma”

Published On: 6 Novembre 2023Categories: Non categorizzato, Normativa, Tutele, Varie

La Sezione Terza del Consiglio di Stato, con la sentenza del 24 ottobre 2023, ha definitivamente ripercorso e confermato la normativa applicabile alla fattispecie di rilascio del porto di pistola per difesa personale e quindi chiarito l’interpretazione della stessa, coltivando l’obiettivo generale di ridurre la diffusione delle armi, per garantire la preminente tutela della sicurezza pubblica.

Il caso concreto

La Prefettura negava il rilascio del porto di pistola al titolare di oltre cinquanta esercizi commerciali del Nord-Italia, benché fosse un soggetto affidabile e benché, in ragione delle sue attività, trasportasse giornalmente ingenti quantità di somme di denaro, anche attraversando zone ritenute potenzialmente pericolose.

Il medesimo allora proponeva ricorso al Giudice amministrativo di primo grado, che però lo rigettava. Poi proponeva ricorso in appello al Consiglio di Stato, che lo respingeva con la presente pronuncia.

I fondamentali della decisione del Consiglio di Stato

In particolare, il Consiglio di Stato, con riferimento alla materia delle autorizzazioni di polizia (qual è anche il rilascio di porto d’armi per difesa personale), ha osservato nella presente pronuncia che i) nel nostro ordinamento vige il generale divieto dell’uso delle armi, ii) in ogni caso, il porto d’armi non è un diritto assoluto e iii) non è sufficiente, ai fini del rilascio, un mero rischio potenziale, ma occorre dimostrare il concreto e attuale bisogno dell’arma.

Sulla normativa applicabile e sulla relativa interpretazione del Giudice delle leggi

Secondo la Sezione decidente, infatti, “…Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto di detenere armi sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975…”, derivandone che “…La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire…”.

Così statuendo pure “…La Corte costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440…”, secondo cui “…il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse…”, atteso che “…dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti…”.

Tanto è vero che il Consiglio di Stato, con particolare riferimento al rilascio della licenza del porto d’arma per difesa personale, ha rammentato che “…l’art. 42 del T.U.L.P.S. subordina l’autorizzazione in esame all’esistenza del “dimostrato bisogno dell’arma”…”, con la conseguenza che “…Ai sensi di leggel’Autorità di pubblica sicurezza ha l’onere di valutare i casi in cui è possibile accordare l’uso delle armi per difesa personale, ancorando tale valutazione alla sussistenza di un effettivo bisogno dell’interessato di proteggersi da una situazione di pericolo…”.

Tutti i predetti elementi, secondo la pronuncia in rassegna, evidenziano l’ampia discrezionalità riconosciuta in materia dalla legge allo stesso legislatore, per ovvie scelte di politica legislativa (di fatto mirate alla tutela della sicurezza pubblica).

A tal proposito, infatti, il Consiglio di Stato richiama pure la più recente sentenza del Giudice delle leggi del 20 marzo 2019 numero 109, al fine di confermare che “…deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi…”.

Sull’orientamento maggioritario e più recente del Giudice Amministrativo

Conseguentemente, anche secondo la pronuncia in commento “…il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972; id. giugno 2018, n. 3435)…”.

Da ciò derivando che “…Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati…” e posto che “…Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l’Amministrazione compie nell’adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso…”, tale peculiarità origina “…dal fatto che, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato…”.

Pertanto, secondo la Sezione decidente “…l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo per l’incolumità personale dell’istante, che giustifica il “dimostrato bisogno dell’arma” e che deve essere ricavato da circostanze di fatto specifiche e attuali, non potendo invece essere desunto né dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, né dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (Cons. St., sez. III, 28 marzo 2023, n. 3189; id. 25 gennaio 2023, n. 822; id. 20 gennaio 2023, n. 720)…”.

Occorre dunque comprovare, anche eventualmente in sede di rinnovo del porto, il “dimostrato bisogno dell’arma”, che consiste sostanzialmente nel rischio concreto e comprovato che il richiedente sia stato vittima di stati di pericolo coincidenti con fatti delittuosi (estorsioni, minacce, aggressioni…).

In conclusione

In specie, anche secondo il Consiglio di Stato, difettando proprio il presupposto del dimostrato bisogno dell’arma, non poteva essere rilasciata al ricorrente la relativa autorizzazione di polizia, a nulla rilevando gli elementi e i dettagli di contorno pure rappresentati nei due mezzi di gravame.

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Il presupposto del “dimostrato bisogno dell’arma”

Published On: 6 Novembre 2023

La Sezione Terza del Consiglio di Stato, con la sentenza del 24 ottobre 2023, ha definitivamente ripercorso e confermato la normativa applicabile alla fattispecie di rilascio del porto di pistola per difesa personale e quindi chiarito l’interpretazione della stessa, coltivando l’obiettivo generale di ridurre la diffusione delle armi, per garantire la preminente tutela della sicurezza pubblica.

Il caso concreto

La Prefettura negava il rilascio del porto di pistola al titolare di oltre cinquanta esercizi commerciali del Nord-Italia, benché fosse un soggetto affidabile e benché, in ragione delle sue attività, trasportasse giornalmente ingenti quantità di somme di denaro, anche attraversando zone ritenute potenzialmente pericolose.

Il medesimo allora proponeva ricorso al Giudice amministrativo di primo grado, che però lo rigettava. Poi proponeva ricorso in appello al Consiglio di Stato, che lo respingeva con la presente pronuncia.

I fondamentali della decisione del Consiglio di Stato

In particolare, il Consiglio di Stato, con riferimento alla materia delle autorizzazioni di polizia (qual è anche il rilascio di porto d’armi per difesa personale), ha osservato nella presente pronuncia che i) nel nostro ordinamento vige il generale divieto dell’uso delle armi, ii) in ogni caso, il porto d’armi non è un diritto assoluto e iii) non è sufficiente, ai fini del rilascio, un mero rischio potenziale, ma occorre dimostrare il concreto e attuale bisogno dell’arma.

Sulla normativa applicabile e sulla relativa interpretazione del Giudice delle leggi

Secondo la Sezione decidente, infatti, “…Il potere di rilasciare le licenze per porto d’armi costituisce una deroga al divieto di detenere armi sancito dall’art. 699 c.p. e dall’art. 4, comma 1, l. n. 110 del 1975…”, derivandone che “…La regola generale è, pertanto, il divieto di detenzione delle armi, al quale l’autorizzazione di polizia può derogare in presenza di specifiche ragioni e in assenza di rischi anche solo potenziali, che è compito dell’Autorità di pubblica sicurezza prevenire…”.

Così statuendo pure “…La Corte costituzionale, sin dalla sentenza del 16 dicembre 1993, n. 440…”, secondo cui “…il porto d’armi non costituisce un diritto assoluto, rappresentando, invece, una eccezione al normale divieto di portare le armi, che può divenire operante soltanto nei confronti di persone riguardo alle quali esista la perfetta e completa sicurezza circa il buon uso delle armi stesse…”, atteso che “…dalla eccezionale permissività del porto d’armi e dai rigidi criteri restrittivi regolatori della materia deriva che il controllo dell’autorità amministrativa deve essere più penetrante rispetto al controllo che la stessa autorità è tenuta ad effettuare con riguardo a provvedimenti permissivi di tipo diverso, talora volti a rimuovere ostacoli e situazioni giuridiche soggettive di cui sono titolari i richiedenti…”.

Tanto è vero che il Consiglio di Stato, con particolare riferimento al rilascio della licenza del porto d’arma per difesa personale, ha rammentato che “…l’art. 42 del T.U.L.P.S. subordina l’autorizzazione in esame all’esistenza del “dimostrato bisogno dell’arma”…”, con la conseguenza che “…Ai sensi di leggel’Autorità di pubblica sicurezza ha l’onere di valutare i casi in cui è possibile accordare l’uso delle armi per difesa personale, ancorando tale valutazione alla sussistenza di un effettivo bisogno dell’interessato di proteggersi da una situazione di pericolo…”.

Tutti i predetti elementi, secondo la pronuncia in rassegna, evidenziano l’ampia discrezionalità riconosciuta in materia dalla legge allo stesso legislatore, per ovvie scelte di politica legislativa (di fatto mirate alla tutela della sicurezza pubblica).

A tal proposito, infatti, il Consiglio di Stato richiama pure la più recente sentenza del Giudice delle leggi del 20 marzo 2019 numero 109, al fine di confermare che “…deve riconoscersi in linea di principio un ampio margine di discrezionalità in capo al legislatore nella regolamentazione dei presupposti in presenza dei quali può essere concessa al privato la relativa licenza, nell’ambito di bilanciamenti che – entro il limite della non manifesta irragionevolezza – mirino a contemperare l’interesse dei soggetti che richiedono la licenza di porto d’armi per motivi giudicati leciti dall’ordinamento e il dovere costituzionale di tutelare, da parte dello Stato, la sicurezza e l’incolumità pubblica: beni, questi ultimi, che una diffusione incontrollata di armi presso i privati potrebbe porre in grave pericolo, e che pertanto il legislatore ben può decidere di tutelare anche attraverso la previsione di requisiti soggettivi di affidabilità particolarmente rigorosi per chi intenda chiedere la licenza di portare armi…”.

Sull’orientamento maggioritario e più recente del Giudice Amministrativo

Conseguentemente, anche secondo la pronuncia in commento “…il porto d’armi non costituisce oggetto di un diritto assoluto, rappresentando un’eccezione al normale divieto di detenere armi e potendo essere riconosciuto soltanto a fronte della perfetta e completa sicurezza circa il loro buon uso, in modo da scongiurare dubbi o perplessità, sotto il profilo prognostico, per l’ordine pubblico e per la tranquilla convivenza della collettività (Cons. St., sez. III, 25 marzo 2019, n. 1972; id. giugno 2018, n. 3435)…”.

Da ciò derivando che “…Il giudizio che compie l’Autorità di pubblica sicurezza è espressione di una valutazione ampiamente discrezionale, che presuppone una analisi comparativa dell’interesse pubblico primario, degli interessi pubblici secondari, nonché degli interessi dei privati…” e posto che “…Nello specifico settore delle armi, tale valutazione comparativa si connota in modo peculiare rispetto al giudizio che tradizionalmente l’Amministrazione compie nell’adottare provvedimenti permissivi di tipo diverso…”, tale peculiarità origina “…dal fatto che, stante l’assenza di un diritto assoluto al porto d’armi, nella valutazione comparativa degli interessi coinvolti assume carattere prevalente, nella scelta selettiva dell’Amministrazione, quello di rilievo pubblico, inerente alla sicurezza e all’incolumità delle persone, rispetto a quello del privato…”.

Pertanto, secondo la Sezione decidente “…l’Amministrazione è chiamata a compiere una valutazione tecnica in ordine al pericolo per l’incolumità personale dell’istante, che giustifica il “dimostrato bisogno dell’arma” e che deve essere ricavato da circostanze di fatto specifiche e attuali, non potendo invece essere desunto né dalla tipologia di attività o professione svolta dal richiedente, né dalla pluralità e consistenza degli interessi patrimoniali del richiedente, o dalla conseguente necessità di movimentare rilevanti somme di denaro (Cons. St., sez. III, 28 marzo 2023, n. 3189; id. 25 gennaio 2023, n. 822; id. 20 gennaio 2023, n. 720)…”.

Occorre dunque comprovare, anche eventualmente in sede di rinnovo del porto, il “dimostrato bisogno dell’arma”, che consiste sostanzialmente nel rischio concreto e comprovato che il richiedente sia stato vittima di stati di pericolo coincidenti con fatti delittuosi (estorsioni, minacce, aggressioni…).

In conclusione

In specie, anche secondo il Consiglio di Stato, difettando proprio il presupposto del dimostrato bisogno dell’arma, non poteva essere rilasciata al ricorrente la relativa autorizzazione di polizia, a nulla rilevando gli elementi e i dettagli di contorno pure rappresentati nei due mezzi di gravame.

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