Mancato riconoscimento dell’infermità come dipendente da “causa di servizio”

Published On: 15 Luglio 2024Categories: Rapporti di lavoro pubblico e privato

Il TAR Lazio – Roma, con la recentissima sentenza dell’8 luglio 2024 n.13726, si è espresso sulla legittimità o meno del parere del Comitato di Verifica per le Cause di Servizio che ha negato il riconoscimento dell’infermità come dipendente da “causa di servizio” in assenza di adeguato supporto motivazionale.

Gli antefatti

Come si evince dalla decisione in rassegna, il ricorrente, Primo Maresciallo dell’Aeronautica Militare, aveva partecipato alla missione internazionale di pace in Kosovo e in Afghanistan.

Durante tali periodi il ricorrente era stato sottoposto a particolari e insalubri condizioni ambientali e operative e a continue inalazioni di polveri sottili residui dalla combustione di materiale bellico, compreso uranio impoverito, ed era stato alloggiato in container e uffici in prossimità dei quali erano state collocate numerose antenne, con esposizione, pertanto, anche ad inquinamento elettromagnetico.

Nel medesimo arco temporale, era stato sottoposto a massicce vaccinazioni senza il rispetto delle procedure previste negli appositi protocolli.

Di ritorno in patria, aveva altresì svolto una serie di servizi quali lo “sgombero poligono”, venendo quotidianamente a contatto con micro e nanoparticelle di metalli pesanti, derivanti dalle esplosioni e presenti nell’aria.

A seguito di accertamenti otorinolaringoiatrici, al ricorrente veniva diagnosticata una Neoplasia della rinofaringe in corso di tipizzazione con metastasi linfonodali.

Egli presentava quindi istanza alla propria Amministrazione volta al riconoscimento della causa di servizio, con richiesta di equo indennizzo in ordine alla predetta infermità.

Il Comitato di verifica per le Cause di Servizio, tuttavia, riteneva che l’infermità non potesse riconoscersi dipendente da fatti di servizio, negando altresì il beneficio dell’equo indennizzo.

I motivi di ricorso

Con impugnazione proposta davanti al TAR Lazio, il ricorrente ha pertanto contestato, chiedendone l’annullamento, il parere con cui il Comitato di verifica per le Cause di servizio ha ritenuto la patologia sofferta dal ricorrente come non dipendente da causa di servizio.

In particolare, ne ha dedotto l’illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, affermando che “…il parere del Comitato di verifica sarebbe apodittico, avendo escluso aprioristicamente nei precedenti di servizio del ricorrente fattori specifici causali o concausali, e non avrebbe considerato il caso specifico del ricorrente…”; ed inoltre che “…il comitato avrebbe omesso di valutare le condizioni di rischio della missione svolta in territorio afghano, rispetto alla quale il ricorrente ha allegato in atti che il contingente tedesco avesse ricevuto specifiche istruzioni sulla presenza di uranio impoverito nei territori afghani, sui relativi rischi alla salute derivante dall’operare in quei luoghi…”.

Altresì, ha contestato l’illegittimità del parere impugnato, sia per la mancata analisi della somministrazione di numerosi vaccini senza il rispetto dei tempi minimi imposti dal protocollo vaccinale che per l’omessa valutazione del Comitato dei servizi resi dal ricorrente in seno al poligono.

Il “decisum”

Il Collegio decidente, con la sentenza in rassegna, ha rammentato preliminarmente che “…il giudizio espresso dal Comitato di verifica delle cause di servizio costituisce espressione di discrezionalità tecnica, basato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza tecnica, esso non è sindacabile nel merito ed è censurabile per eccesso di potere solo in caso di assenza di motivazione, manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti o mancata considerazione della sussistenza di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva…(così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2631)…”.

Nel merito, il Collegio decidente – nel ritenere la fondatezza del ricorso – ha statuito che “…una volta dedotto e comprovato dal militare lo svolgimento di una missione all’estero in teatri di guerra e, al rientro da questa, l’insorgere di una patologia tumorale, l’onere della prova della riconducibilità della patologia stessa al servizio da lui svolto nella predetta missione, sotto il profilo causale o almeno concausale, si ritiene assolto mediante l’allegazione di essersi trovato ad operare in un territorio in cui erano indubbi la presenza di “inquinanti” metallici e, soprattutto, l’utilizzo, nelle operazioni di guerra, di proiettili contenenti uranio impoverito (Cons. Stato, sez. II, 3 novembre 2023, n. 9544)…”.

In particolare, “…deve escludersi la necessità della dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta (…) essendo sufficiente tale dimostrazione, in termini probabilistico-statistici, con riferimento ai teatri operativi principali (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1661) …”.

Ciò posto, ad avviso del Collegio “…è onere dell’Amministrazione (in sede di valutazione amministrativa, prima in sede giudiziale e probatoria, poi) fornire quegli elementi concreti, afferenti al contesto ambientale ed al servizio specifico svolto dal militare, che inducono a ritenere altamente improbabile una causalità o concausalità efficiente (TAR Lazio, Roma, Sez. I Bis, 28 giugno 2022, n. 8819; Id., 2 marzo 2022, n. 2426) …”.

Inoltre, ha precisato il Collegio come nel caso di specie il ricorrente abbia depositato in atti la sentenza avente ad oggetto il riconoscimento dello status di equiparato alle vittime del dovere, nella quale la CTU ha ritenuto sussistente il nesso causale tra l’attività prestata e l’infermità sofferta dal ricorrente medesimo.

Sul punto, il Collegio decidente ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza in materia, per il quale “…la pensione privilegiata e l’equo indennizzo costituiscono e, dunque, debbono essere intesi come istituiti autonomi… tuttavia appare evidente che i due istituti hanno a presupposto l’unicità dell’accertamento relativo al medesimo fatto patogenetico e alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l’infermità del dipendente, e non sussistono elementi per dubitare che, nel rispetto di criteri di ragionevolezza, sia stata statuita la valenza plurima di tale accertamento in relazione ai diversi benefici previsti dal sistema normativo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 1996, n. 566 e Sez. IV. 30 aprile 1999 n. 746) …”.

Dunque, ad avviso del Collegio, dalle superiori argomentazioni discende che “…nel caso di specie non solo il Comitato non appare aver preso in considerazione il complesso del servizio prestato dal ricorrente, omettendo importanti elementi di fatto ai fini della valutazione, ma si è limitato a negare la dipendenza da causa da servizio con una formula apoditticasenza analizzare tutti i fattori potenzialmente rilevanti…”.

Sulla scorta di tali coordinate, il Collegio, con la decisione in rassegna, ha accolto il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati.

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Gli antefatti

Come si evince dalla decisione in rassegna, il ricorrente, Primo Maresciallo dell’Aeronautica Militare, aveva partecipato alla missione internazionale di pace in Kosovo e in Afghanistan.

Durante tali periodi il ricorrente era stato sottoposto a particolari e insalubri condizioni ambientali e operative e a continue inalazioni di polveri sottili residui dalla combustione di materiale bellico, compreso uranio impoverito, ed era stato alloggiato in container e uffici in prossimità dei quali erano state collocate numerose antenne, con esposizione, pertanto, anche ad inquinamento elettromagnetico.

Nel medesimo arco temporale, era stato sottoposto a massicce vaccinazioni senza il rispetto delle procedure previste negli appositi protocolli.

Di ritorno in patria, aveva altresì svolto una serie di servizi quali lo “sgombero poligono”, venendo quotidianamente a contatto con micro e nanoparticelle di metalli pesanti, derivanti dalle esplosioni e presenti nell’aria.

A seguito di accertamenti otorinolaringoiatrici, al ricorrente veniva diagnosticata una Neoplasia della rinofaringe in corso di tipizzazione con metastasi linfonodali.

Egli presentava quindi istanza alla propria Amministrazione volta al riconoscimento della causa di servizio, con richiesta di equo indennizzo in ordine alla predetta infermità.

Il Comitato di verifica per le Cause di Servizio, tuttavia, riteneva che l’infermità non potesse riconoscersi dipendente da fatti di servizio, negando altresì il beneficio dell’equo indennizzo.

I motivi di ricorso

Con impugnazione proposta davanti al TAR Lazio, il ricorrente ha pertanto contestato, chiedendone l’annullamento, il parere con cui il Comitato di verifica per le Cause di servizio ha ritenuto la patologia sofferta dal ricorrente come non dipendente da causa di servizio.

In particolare, ne ha dedotto l’illegittimità per eccesso di potere sotto il profilo del difetto di istruttoria e di motivazione, affermando che “…il parere del Comitato di verifica sarebbe apodittico, avendo escluso aprioristicamente nei precedenti di servizio del ricorrente fattori specifici causali o concausali, e non avrebbe considerato il caso specifico del ricorrente…”; ed inoltre che “…il comitato avrebbe omesso di valutare le condizioni di rischio della missione svolta in territorio afghano, rispetto alla quale il ricorrente ha allegato in atti che il contingente tedesco avesse ricevuto specifiche istruzioni sulla presenza di uranio impoverito nei territori afghani, sui relativi rischi alla salute derivante dall’operare in quei luoghi…”.

Altresì, ha contestato l’illegittimità del parere impugnato, sia per la mancata analisi della somministrazione di numerosi vaccini senza il rispetto dei tempi minimi imposti dal protocollo vaccinale che per l’omessa valutazione del Comitato dei servizi resi dal ricorrente in seno al poligono.

Il “decisum”

Il Collegio decidente, con la sentenza in rassegna, ha rammentato preliminarmente che “…il giudizio espresso dal Comitato di verifica delle cause di servizio costituisce espressione di discrezionalità tecnica, basato su nozioni scientifiche e su dati di esperienza tecnica, esso non è sindacabile nel merito ed è censurabile per eccesso di potere solo in caso di assenza di motivazione, manifesta irragionevolezza sulla valutazione dei fatti o mancata considerazione della sussistenza di circostanze di fatto tali da incidere sulla valutazione conclusiva…(così, ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 2631)…”.

Nel merito, il Collegio decidente – nel ritenere la fondatezza del ricorso – ha statuito che “…una volta dedotto e comprovato dal militare lo svolgimento di una missione all’estero in teatri di guerra e, al rientro da questa, l’insorgere di una patologia tumorale, l’onere della prova della riconducibilità della patologia stessa al servizio da lui svolto nella predetta missione, sotto il profilo causale o almeno concausale, si ritiene assolto mediante l’allegazione di essersi trovato ad operare in un territorio in cui erano indubbi la presenza di “inquinanti” metallici e, soprattutto, l’utilizzo, nelle operazioni di guerra, di proiettili contenenti uranio impoverito (Cons. Stato, sez. II, 3 novembre 2023, n. 9544)…”.

In particolare, “…deve escludersi la necessità della dimostrazione dell’esistenza del nesso causale con un grado di certezza assoluta (…) essendo sufficiente tale dimostrazione, in termini probabilistico-statistici, con riferimento ai teatri operativi principali (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1661) …”.

Ciò posto, ad avviso del Collegio “…è onere dell’Amministrazione (in sede di valutazione amministrativa, prima in sede giudiziale e probatoria, poi) fornire quegli elementi concreti, afferenti al contesto ambientale ed al servizio specifico svolto dal militare, che inducono a ritenere altamente improbabile una causalità o concausalità efficiente (TAR Lazio, Roma, Sez. I Bis, 28 giugno 2022, n. 8819; Id., 2 marzo 2022, n. 2426) …”.

Inoltre, ha precisato il Collegio come nel caso di specie il ricorrente abbia depositato in atti la sentenza avente ad oggetto il riconoscimento dello status di equiparato alle vittime del dovere, nella quale la CTU ha ritenuto sussistente il nesso causale tra l’attività prestata e l’infermità sofferta dal ricorrente medesimo.

Sul punto, il Collegio decidente ha richiamato l’orientamento della giurisprudenza in materia, per il quale “…la pensione privilegiata e l’equo indennizzo costituiscono e, dunque, debbono essere intesi come istituiti autonomi… tuttavia appare evidente che i due istituti hanno a presupposto l’unicità dell’accertamento relativo al medesimo fatto patogenetico e alla sussistenza di un nesso eziologico tra il fatto di servizio e l’infermità del dipendente, e non sussistono elementi per dubitare che, nel rispetto di criteri di ragionevolezza, sia stata statuita la valenza plurima di tale accertamento in relazione ai diversi benefici previsti dal sistema normativo (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 17 maggio 1996, n. 566 e Sez. IV. 30 aprile 1999 n. 746) …”.

Dunque, ad avviso del Collegio, dalle superiori argomentazioni discende che “…nel caso di specie non solo il Comitato non appare aver preso in considerazione il complesso del servizio prestato dal ricorrente, omettendo importanti elementi di fatto ai fini della valutazione, ma si è limitato a negare la dipendenza da causa da servizio con una formula apoditticasenza analizzare tutti i fattori potenzialmente rilevanti…”.

Sulla scorta di tali coordinate, il Collegio, con la decisione in rassegna, ha accolto il ricorso, annullando i provvedimenti impugnati.