L’operatività della caparra confirmatoria nei rapporti contrattuali
La caparra confirmatoria è quella somma di denaro o, in alternativa, quel bene determinato e fungibile che una parte consegna all’atra a titolo di garanzia del buon esito del negozio contrattuale.
Essa, pertanto, assolve ad una duplice funzione: di conferma delle obbligazioni contrattuali assunte dalle parti, da un lato, e di garanzia in caso di inadempimento di una delle parti, dall’altro.
Quando espressamente pattuito dalle parti, inoltre, la caparra confirmatoria può essere versata a titolo di acconto sul maggior prezzo dovuto.
La disciplina codicistica
Quanto all’operatività della caparra confirmatoria e alla facoltà di recesso prevista dalle norme codicistiche, l’art. 1385 c.c. attribuisce alla parte adempiente due rimedi alternativi per ottenere il risarcimento dei danni dalla parte inadempiente, a seconda che l’inadempimento sia imputabile alla parte che ha versato la caparra o a quella che l’ha ricevuta.
Ed invero, se inadempiente è la parte che ha versato la caparra confirmatoria al momento della conclusione del contratto, la parte adempiente avrà diritto a recedere dal contratto medesimo, trattenendo la somma versata a titolo di caparra; se, viceversa, inadempiente è la parte che ha ricevuto la caparra confirmatoria, l’altra parte avrà diritto a recedere dal contratto nonché ad esigere – a titolo di risarcimento del danno – il doppio della caparra versata.
In ogni caso, la parte che non è inadempiente potrà anche agire giudizialmente per ottenere la risoluzione del contratto oltre al risarcimento del danno che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., comprenderà tanto la perdita subita quanto il mancato guadagno.
La giurisprudenza
In tema di caparra confirmatoria, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto “…nel caso in cui la parte inadempiente restituisca la somma versata a titolo di caparra alla controparte… non viene meno il diritto della parte adempiente a pretendere il doppio della caparra, da far valere, ove non emerga in senso contrario un’univoca volontà abdicativa da parte del creditore, mediante l’esercizio del diritto di recesso, anche con la proposizione di apposita domanda giudiziale in caso di mancata conformazione spontanea dell’inadempiente a relativo obbligo…” (Cass. Civ., Sez. II, 12/07/2021, n. 19801).
Il recesso previsto dall’art. 1385 c.c., comma 2 – secondo quanto affermato dalla Suprema Corte – si configura quindi come “…uno strumento speciale di risoluzione di diritto del contratto, da affiancare a quelle di cui agli artt. 1454,1456 e 1457 c.c., collegato alla pattuizione di una caparra confirmatoria, intesa come determinazione convenzionale del danno risarcibile…”.
Ne consegue che, la restituzione della caparra confirmatoria da parte di chi renda inadempiente rispetto alla conclusione del contratto non estingue il rapporto giuridico, salvaguardando l’esercizio del diritto di recesso della parte adempiente, che potrà pertanto esigere – a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento contrattuale – il doppio della caparra versata alla stipula dell’accordo, salva sempre la possibilità di agire giudizialmente per la risoluzione del contratto e il risarcimento del maggior danno.
Il caso
Il Tribunale di Gorizia – nell’uniformarsi al principio di diritto proclamato dalla Corte di Cassazione con la citata sentenza n. 19801 del 2021 – si è recentemente pronunciato in merito all’inadempimento del promissario venditore nei confronti del promittente acquirente a seguito della mancata stipula del contratto definitivo di compravendita, chiarendo altresì che “…spetta a chi formula la domanda allegare e poi fornire prova del titolo [nella fattispecie, la conclusione del contratto preliminare di compravendita] e della corresponsione della caparra, limitandosi ad allegare l’inadempimento di controparte che, alla stregua dell’inadempimento che giustifica la domanda di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c., deve essere imputabile al debitore (art. 1218 c.c.) e di non scarsa importanza…” (Tribunale di Gorizia, sentenza del 2 gennaio 2024 n. 198).
Il Tribunale, quindi, ha precisato che la parte che vuole ottenere il recesso dal contratto e la restituzione della caparra ai sensi dell’art. 1385 c.c. dovrà dimostrare d’un canto, il rapporto contrattuale sottostante, e dall’altro, il versamento della caparra confirmatoria, deducendo altresì l’inadempimento “non di scarsa importanza” imputabile alla controparte.
In particolare – quanto all’onere probatorio relativo al versamento della caparra – il Tribunale ha specificato che l’efficacia della caparra confirmatoria (che può costituirsi validamente anche mediante la consegna di un assegno bancario) si realizza al momento dell’incasso dell’assegno.
Conseguentemente, se la parte che riceve l’assegno bancario a titolo di caparra confirmatoria non provvede ad incassarlo subito ma lo trattiene, la stessa non avrà diritto né a recedere dal contratto (a meno che la controparte non abbia violato l’accordo), né a sollevare eccezioni di inadempimento a carico della controparte.
Ciò che rileva, infatti, è il comportamento delle parti che deve sempre uniformarsi ai criteri generali di correttezza e buona fede nei rapporti contrattuali.