Princìpi e limiti applicabili all’affidamento diretto procedimentalizzato
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano, con la recente decisione n. 3592 del 10.12.2024, ha avuto modo di fornire interessanti indicazioni sui princìpi – e sui limiti – operanti per gli affidamenti diretti c.d. procedimentalizzati, in un caso preceduto da indagine di mercato.
La vicenda concreta
Nel caso sottoposto all’attenzione del T.A.R. Lombardia di Milano, un’azienda sanitaria aveva avviato, tramite procedura telematica, una “indagine esplorativa” volta alla acquisizione di un servizio d’interesse, precisando – più di una volta, in sede di chiarimenti – che il successivo affidamento sarebbe stato effettuato “utilizzando il criterio del minor prezzo, valutata l’idoneità tecnica ed economica del servizio offerto”.
L’affidamento, tuttavia, veniva poi disposto a favore di un operatore economico che, nel riscontrare l’indagine di mercato, aveva offerto il servizio richiesto ad un prezzo maggiore di quello proposto da altri operatori economici e all’esito di una vera e propria “valutazione qualitativa” delle offerte pervenute che la Stazione appaltante aveva ritenuto di esprimere sulla base di criteri di valutazione e assegnazione di punteggi che mai prima di allora erano stati portati a conoscenza degli altri “competitors” e in relazione alla quale aveva redatto anche una “graduatoria finale”.
Le ragioni dell’operatore economico ricorrente
Uno degli operatori che avevano riscontrato l’indagine di mercato e che si era collocato al decimo posto della graduatoria finale, ha impugnato l’atto di aggiudicazione del servizio davanti al T.A.R. Lombardia – Milano, agitando anche un interesse di tipo strumentale e dunque aspirando alla riedizione della procedura.
Ciò, lamentando in particolare e fra l’altro la violazione di innumerevoli princìpi fondamentali che reggono le pubbliche gare e in primis quello del c.d. autovincolo, nonché quelli di imparzialità, pubblicità e trasparenza leale cooperazione, della fiducia e di tutela dell’affidamento, sul rilievo per cui la Stazione appaltante nel caso di specie non si era attenuta al criterio di selezione dell’affidatario (del “minor prezzo”) che pure era stato reiteratamente indicato come applicabile, nella fase delle indagini di mercato.
Le considerazioni in punto di diritto e le conclusioni del T.A.R. Milano
L’adito T.A.R., con la decisione in rassegna, ha anzitutto ritenuto il ricorso ammissibile, nella parte in cui agitava un interesse di tipo strumentale alla riedizione della gara e a prescindere da qualsiasi eventuale prova di resistenza (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 17.01.2023, n.565).
Quindi, ha proceduto a qualificare la tipologia della procedura selettiva svoltasi, ritenendo che la stessa – “nonostante la formulazione non sempre perspicua degli atti della procedura” – potesse essere ricondotta alla categoria dei c.d. affidamenti diretti procedimentalizzati (“tenuto conto delle modalità semplificate di selezione della migliore proposta, dell’informale consultazione del mercato tramite indagine esplorativa volta all’acquisizione delle proposte contrattuali delle imprese eventualmente interessate, nonché della mancanza di una vera e propria disciplina “di gara” e dell’assenza di una commissione giudicatrice per la comparazione delle offerte”).
Entrando nel merito dei motivi di ricorso, il Collegio decidente ha – in primo luogo – ritenuto fondate le censure sulla violazione del principio del c.d. autovincolo.
Ad avviso del Collegio, infatti, l’operato della Stazione appaltante si è posto in contrasto col pacifico insegnamento giurisprudenziale per cui “quando l’Amministrazione, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, decide di autovincolarsi, stabilendo le regole poste a presidio del futuro espletamento di una determinata potestà, la stessa è tenuta all’osservanza di quelle prescrizioni, con la duplice conseguenza che: a) è impedita la successiva disapplicazione; b) la violazione dell’autovincolo determina l’illegittimità delle successive determinazioni (Cons. Stato, sez. V, n. 3502 del 2017). L’autovincolo costituisce un limite al successivo esercizio della discrezionalità, che l’Amministrazione pone a sé medesima in forza di una determinazione frutto dello stesso potere che si appresta ad esercitare, e che si traduce nell’individuazione anticipata di criteri e modalità, in guisa da evitare che la complessità e rilevanza degli interessi possa, in fase decisionale, complice l’ampia e impregiudicata discrezionalità, favorire in executivis l’utilizzo di criteri decisionali non imparziali. La garanzia dell’autovincolo, nelle procedure concorsuali, è fondamentalmente finalizzata alla par condicio: conoscere in via anticipata i criteri valutativi e decisionali della Commissione valutatrice, in un contesto in cui le regole di partecipazione sono chiare e predefinite, mette in condizione i concorrenti di competere lealmente su quei criteri, con relativa prevedibilità degli esiti (Cons. Stato, n. 3180 del 2021; id. n. 7595 del 2019)” (cfr. Cons. di Stato, Sez. V, 24.05.2024, n.4659).
Al contempo e per un secondo aspetto, il Collegio decidente ha riscontrato la violazione dei princìpi fondamentali che presiedono alla materia, come oggi consacrati nel decreto legislativo n.36/2023, ritenuti “certamente applicabili anche all’ambito degli affidamenti diretti procedimentalizzati”.
Tanto, richiamandosi altra e recente giurisprudenza, per la quale “se è vero che siffatta indagine di mercato, svolta secondo le modalità ritenute più convenienti dalla stazione appaltante, per come espressamente previsto dall’art. 2 dell’allegato II al D.lgs. n. 36/2023 (cd. Codice Appalti) «non ingenera negli operatori alcun affidamento sul successivo invito alla procedura», è, nel contempo, altrettanto vero che, ai sensi dell’art. 48 dello stesso D.lgs. n. 36/2023, l’affidamento dei contratti aventi per oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea, quale quello in esame, si svolgono, pur sempre, «nel rispetto dei princìpi di cui al Libro I, Parti I e II»” (cfr. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, Sez. Un., 12.02.2024, n.122). La stazione appaltante è dunque tenuta a operare nel settore dei contratti pubblici – anche nell’ambito di affidamenti diretti procedimentalizzati – ispirando le proprie decisioni al rispetto del principio della fiducia “nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione” (art. 2 del D.Lgs. n. 36/2023) e del principio di buona fede e tutela dell’affidamento “dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede (art. 2 del D.Lgs. n. 36/2023), che si impone come regola di condotta in tutte fasi del procedimento di selezione del contraente”.
Ne è quindi derivato l’accoglimento del ricorso, con l’annullamento dell’aggiudicazione e la condanna della stazione appaltante alla rinnovazione della procedura, emendata dai vizi accertati con la decisione.