Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in materia di comportamenti legittimanti la revoca delle misure di accoglienza

Published On: 29 Novembre 2018Categories: Diritti fondamentali della persona, Europa, Normativa, Tutele, Varie

La seconda sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, con l’ordinanza del 12 novembre 2018 numero 1481 ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea un duplice gradato quesito in via pregiudiziale, in materia di misure di accoglienza e comportamenti violativi di norme generali posti in essere dal richiedente protezione internazionale.
La vicenda che ha originato la remissione riguarda cittadino extracomunitario, entrato nel territorio italiano chiedendo protezione internazionale ed ammesso alle misure di accoglienza il quale tuttavia, nel corso della sua permanenza sul territorio nazionale, era stato deferito all’Autorità giudiziaria per il reato di furto aggravato (avendo asportato alcuni indumenti da un cassonetto adibito alla raccolta di indumenti usati), con conseguente revoca della sua ammissione alle misure di accoglienza.
Tale provvedimento di revoca è stato impugnato sotto tre diversi e distinti profili, deducendosi fra l’altro ed in particolare come “in base all’art. 23 del medesimo d.lgs. 124/2015, la condotta … contestata, ove pure fosse accertata, non violerebbe alcuna norma del regolamento del sistema di accoglienza. Nel caso in esame non si sarebbe verificata alcuna grave o ripetuta violazione delle regole di convivenza della struttura in cui è collocato ma un singolo ed isolato episodio, avvenuto fuori dalla struttura stessa, che non sarebbe idoneo a destare grave allarme sociale…”.
Ed inoltre, come il citato articolo 23 del d.lgs. 142/2015 sarebbe risultato applicabile soltanto nelle strutture di accoglienza di secondo livello (“SPRAR”) e non in quelle straordinarie (“CAS”), ove invece è accolto il ricorrente, alle quali ultime dovrebbe applicarsi invece l’articolo 13 del medesimo decreto, il quale prevede come unico motivo di revoca delle misure di accoglienza l’allontanamento dalla struttura senza giustificato motivo, ipotesi non attinente al caso di specie.
Per meglio comprendere i motivi della rimessione, il T.A.R. ha ritenuto utile una disamina della normativa nazionale ed europea.
La normativa italiana applicata dall’Amministrazione nella fattispecie è contenuta nel d.lgs. n. 142/2015, attuativo delle direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, e nello specifico vengono in rilievo l’articolo 23, comma 1, lett. e) a norma del quale può essere disposta la revoca delle misure di accoglienza in caso di “..violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti”, nonché l’articolo 6, comma 2 a norma del quale “il richiedente è trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla base di una valutazione caso per caso, quando: (…) c) costituzione un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica…”.
La giurisprudenza italiana fornisce due diverse interpretazioni della citata disposizione, la prima delle quali ammette che si possa legittimamente adottare la revoca in oggetto anche a fronte di condotte perpetrate al di fuori delle strutture di accoglienza, “…laddove siano suscettibili di riverberarsi al suo interno per i possibili riflessi sugli altri ospiti, destabilizzandone la convivenza…” (T.A.R. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sez. I, 24 maggio 2017 n. 165). La seconda interpretazione invece precisa come non vadano confuse le ipotesi di revoca dell’ammissione alle misure di accoglienza con la sussistenza dei presupposti per la valutazione di “pericolosità” del richiedente e, nel caso di specie, parrebbe che “..la violazione, da parte del richiedente protezione internazionale ammesso alle misure di accoglienza, di norme dell’ordinamento diverse da quelle interne della struttura può costituire presupposto per l’esercizio del potere amministrativo di cui all’articolo 6 del citato d.lgs. 142/2015, ai fini della valutazione di pericolosità dell’interessato, ma non legittima il diverso potere di revoca ex art. 23, comma 1, lett. e)…” (T.A.R. Molise I, 29 marzo 2017 n. 116).
La normativa comunitaria che viene in rilievo nel caso di specie (Direttiva 2013/33/UE), viene dal canto suo in rilievo, in alcuni suoi diversi punti:

  • l’articolo 20, par. 4, il quale recita che “gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti”.
  • il considerando 25, il quale specifica che “la possibilità di abuso del sistema di accoglienza dovrebbe essere contrastata specificando le circostanze in cui le condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti possono essere ridotte o revocate, pur garantendo nel contempo un livello di vita dignitoso a tutti i richiedenti”.
  • l’articolo 8, par. 3, a norma del quale “un richiedente può essere trattenuto soltanto: a) per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza; b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento (…); c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedenti di entrare nel territorio; d) quando la persona è trattenuto nell’ambito di una procedura di rimpatrio (…); e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico”.

In un tale contesto, i Giudici del Tribunale Amministrativo toscano hanno ritenuto di formulare alla Corte UE un duplice quesito interpretativo, chiedendo in particolare ed “in via di graduazione”: 1) se l’articolo 20, par. 4, della Direttiva osta ad un’interpretazione dell’art. 23, d.lgs. 142/2015 nel senso che anche comportamenti violativi di norme generali dell’ordinamento, non specificamente riprodotte nei regolamenti dei centri di accoglienza, possono integrare grave violazione di questi ultimi laddove siano in grado di incidere sull’ordinata convivenza nelle strutture di accoglienza. La questione è rilevante poiché, in caso di risposta negativa, i ricorsi dovrebbero essere accolti con annullamento dei provvedimenti prefettizi impugnati, avendo l’Amministrazione malamente applicato tale normativa come trasfusa nell’art. 23, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 142/2015. In tal caso infatti gli illeciti compiuti dai ricorrenti potrebbero, al più, essere motivo per il loro trattenimento all’interno delle strutture deputate ma non costituirebbero presupposto per la revoca dell’ammissione alle misure di accoglienza.
In caso di risposta affermativa occorre risolvere un’ulteriore questione, che con la presente ordinanze viene posta alla Corte:
2) se l’articolo 20, par. 4, della Direttiva osta ad un’interpretazione dell’art. 23, d.lgs. 142/2015 nel senso che possono essere considerati, ai fini della revoca del’ammissione alle misure di accoglienza, anche comportamenti posti in essere dal richiedente protezione internazionale che non costituiscono illecito penalmente punibile ai sensi dell’ordinamento dello Stato membro, laddove essi siano comunque in grado di incidere negativamente sull’ordinata convivenza nelle strutture in cui gli stessi sono inseriti.

 

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Rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia in materia di comportamenti legittimanti la revoca delle misure di accoglienza

Published On: 29 Novembre 2018

La seconda sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana, con l’ordinanza del 12 novembre 2018 numero 1481 ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea un duplice gradato quesito in via pregiudiziale, in materia di misure di accoglienza e comportamenti violativi di norme generali posti in essere dal richiedente protezione internazionale.
La vicenda che ha originato la remissione riguarda cittadino extracomunitario, entrato nel territorio italiano chiedendo protezione internazionale ed ammesso alle misure di accoglienza il quale tuttavia, nel corso della sua permanenza sul territorio nazionale, era stato deferito all’Autorità giudiziaria per il reato di furto aggravato (avendo asportato alcuni indumenti da un cassonetto adibito alla raccolta di indumenti usati), con conseguente revoca della sua ammissione alle misure di accoglienza.
Tale provvedimento di revoca è stato impugnato sotto tre diversi e distinti profili, deducendosi fra l’altro ed in particolare come “in base all’art. 23 del medesimo d.lgs. 124/2015, la condotta … contestata, ove pure fosse accertata, non violerebbe alcuna norma del regolamento del sistema di accoglienza. Nel caso in esame non si sarebbe verificata alcuna grave o ripetuta violazione delle regole di convivenza della struttura in cui è collocato ma un singolo ed isolato episodio, avvenuto fuori dalla struttura stessa, che non sarebbe idoneo a destare grave allarme sociale…”.
Ed inoltre, come il citato articolo 23 del d.lgs. 142/2015 sarebbe risultato applicabile soltanto nelle strutture di accoglienza di secondo livello (“SPRAR”) e non in quelle straordinarie (“CAS”), ove invece è accolto il ricorrente, alle quali ultime dovrebbe applicarsi invece l’articolo 13 del medesimo decreto, il quale prevede come unico motivo di revoca delle misure di accoglienza l’allontanamento dalla struttura senza giustificato motivo, ipotesi non attinente al caso di specie.
Per meglio comprendere i motivi della rimessione, il T.A.R. ha ritenuto utile una disamina della normativa nazionale ed europea.
La normativa italiana applicata dall’Amministrazione nella fattispecie è contenuta nel d.lgs. n. 142/2015, attuativo delle direttive 2013/33/UE e 2013/32/UE, e nello specifico vengono in rilievo l’articolo 23, comma 1, lett. e) a norma del quale può essere disposta la revoca delle misure di accoglienza in caso di “..violazione grave o ripetuta delle regole delle strutture in cui è accolto da parte del richiedente asilo compreso il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili, ovvero comportamenti gravemente violenti”, nonché l’articolo 6, comma 2 a norma del quale “il richiedente è trattenuto, ove possibile in appositi spazi, nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sulla base di una valutazione caso per caso, quando: (…) c) costituzione un pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica…”.
La giurisprudenza italiana fornisce due diverse interpretazioni della citata disposizione, la prima delle quali ammette che si possa legittimamente adottare la revoca in oggetto anche a fronte di condotte perpetrate al di fuori delle strutture di accoglienza, “…laddove siano suscettibili di riverberarsi al suo interno per i possibili riflessi sugli altri ospiti, destabilizzandone la convivenza…” (T.A.R. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sez. I, 24 maggio 2017 n. 165). La seconda interpretazione invece precisa come non vadano confuse le ipotesi di revoca dell’ammissione alle misure di accoglienza con la sussistenza dei presupposti per la valutazione di “pericolosità” del richiedente e, nel caso di specie, parrebbe che “..la violazione, da parte del richiedente protezione internazionale ammesso alle misure di accoglienza, di norme dell’ordinamento diverse da quelle interne della struttura può costituire presupposto per l’esercizio del potere amministrativo di cui all’articolo 6 del citato d.lgs. 142/2015, ai fini della valutazione di pericolosità dell’interessato, ma non legittima il diverso potere di revoca ex art. 23, comma 1, lett. e)…” (T.A.R. Molise I, 29 marzo 2017 n. 116).
La normativa comunitaria che viene in rilievo nel caso di specie (Direttiva 2013/33/UE), viene dal canto suo in rilievo, in alcuni suoi diversi punti:

  • l’articolo 20, par. 4, il quale recita che “gli Stati membri possono prevedere sanzioni applicabili alle gravi violazioni delle regole dei centri di accoglienza nonché ai comportamenti gravemente violenti”.
  • il considerando 25, il quale specifica che “la possibilità di abuso del sistema di accoglienza dovrebbe essere contrastata specificando le circostanze in cui le condizioni materiali di accoglienza dei richiedenti possono essere ridotte o revocate, pur garantendo nel contempo un livello di vita dignitoso a tutti i richiedenti”.
  • l’articolo 8, par. 3, a norma del quale “un richiedente può essere trattenuto soltanto: a) per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza; b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento (…); c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedenti di entrare nel territorio; d) quando la persona è trattenuto nell’ambito di una procedura di rimpatrio (…); e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico”.

In un tale contesto, i Giudici del Tribunale Amministrativo toscano hanno ritenuto di formulare alla Corte UE un duplice quesito interpretativo, chiedendo in particolare ed “in via di graduazione”: 1) se l’articolo 20, par. 4, della Direttiva osta ad un’interpretazione dell’art. 23, d.lgs. 142/2015 nel senso che anche comportamenti violativi di norme generali dell’ordinamento, non specificamente riprodotte nei regolamenti dei centri di accoglienza, possono integrare grave violazione di questi ultimi laddove siano in grado di incidere sull’ordinata convivenza nelle strutture di accoglienza. La questione è rilevante poiché, in caso di risposta negativa, i ricorsi dovrebbero essere accolti con annullamento dei provvedimenti prefettizi impugnati, avendo l’Amministrazione malamente applicato tale normativa come trasfusa nell’art. 23, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 142/2015. In tal caso infatti gli illeciti compiuti dai ricorrenti potrebbero, al più, essere motivo per il loro trattenimento all’interno delle strutture deputate ma non costituirebbero presupposto per la revoca dell’ammissione alle misure di accoglienza.
In caso di risposta affermativa occorre risolvere un’ulteriore questione, che con la presente ordinanze viene posta alla Corte:
2) se l’articolo 20, par. 4, della Direttiva osta ad un’interpretazione dell’art. 23, d.lgs. 142/2015 nel senso che possono essere considerati, ai fini della revoca del’ammissione alle misure di accoglienza, anche comportamenti posti in essere dal richiedente protezione internazionale che non costituiscono illecito penalmente punibile ai sensi dell’ordinamento dello Stato membro, laddove essi siano comunque in grado di incidere negativamente sull’ordinata convivenza nelle strutture in cui gli stessi sono inseriti.

 

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