Modifiche al Codice della Strada: al bando le pubblicità sessiste

Published On: 23 Novembre 2021

I diritti civili e il superamento degli stereotipi di genere sono tematiche che – a ragione –rimarranno ancora a lungo al centro del dibattito pubblico e politico, complice la crescente consapevolezza che le discriminazioni più odiose siano quelle meno visibili.
La sessualizzazione dell’immagine della donna è tutt’oggi tristemente diffusa e – a volte – giustificata, malgrado ad essa siano addebitabili i ben noti pregiudizi verso le donne in carriera, le differenze salariali, il cd. soffitto di cristallo e, ad un livello più radicato, le violenze di genere e i femminicidi.
La legge n. 156 del 9 novembre 2021, di conversione del cosiddetto “Decreto infrastrutture”, ha provveduto ad inserire in seno al Codice della Strada una norma destinata a contrastare l’uso di qualsiasi forma pubblicitaria dal contenuto stereotipico e offensivo.
L’articolo 23, comma 4 bis, del D.lgs. n. 285/1992 difatti, ora recita che “È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
La norma, nonostante abbracci ulteriori forme di discriminazione (e richiami anche l’orientamento sessuale e l’identità di genere, con buona pace di chi applaude in Senato), colpisce in maniera diretta i tanti slogan pregni di doppi sensi legati al corpo femminile.
Si tratta di una norma “educativa” che, nel primo tentativo di allontanare dalla nostra società alcuni ben radicati stereotipi, punisce i trasgressori con la revoca della licenza e delega il Ministro per le Pari Opportunità per l’emanazione di un decreto attuativo.
A ben guardare, ancor più che la sanzione, l’utilità di una norma così formulata consiste nel riconoscimento che lo Stato non possa più tutelare comportamenti ed espressioni arcaiche ed oppressive.

About the Author: Francesco Giuseppe Marino

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Modifiche al Codice della Strada: al bando le pubblicità sessiste

Published On: 23 Novembre 2021

I diritti civili e il superamento degli stereotipi di genere sono tematiche che – a ragione –rimarranno ancora a lungo al centro del dibattito pubblico e politico, complice la crescente consapevolezza che le discriminazioni più odiose siano quelle meno visibili.
La sessualizzazione dell’immagine della donna è tutt’oggi tristemente diffusa e – a volte – giustificata, malgrado ad essa siano addebitabili i ben noti pregiudizi verso le donne in carriera, le differenze salariali, il cd. soffitto di cristallo e, ad un livello più radicato, le violenze di genere e i femminicidi.
La legge n. 156 del 9 novembre 2021, di conversione del cosiddetto “Decreto infrastrutture”, ha provveduto ad inserire in seno al Codice della Strada una norma destinata a contrastare l’uso di qualsiasi forma pubblicitaria dal contenuto stereotipico e offensivo.
L’articolo 23, comma 4 bis, del D.lgs. n. 285/1992 difatti, ora recita che “È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
La norma, nonostante abbracci ulteriori forme di discriminazione (e richiami anche l’orientamento sessuale e l’identità di genere, con buona pace di chi applaude in Senato), colpisce in maniera diretta i tanti slogan pregni di doppi sensi legati al corpo femminile.
Si tratta di una norma “educativa” che, nel primo tentativo di allontanare dalla nostra società alcuni ben radicati stereotipi, punisce i trasgressori con la revoca della licenza e delega il Ministro per le Pari Opportunità per l’emanazione di un decreto attuativo.
A ben guardare, ancor più che la sanzione, l’utilità di una norma così formulata consiste nel riconoscimento che lo Stato non possa più tutelare comportamenti ed espressioni arcaiche ed oppressive.

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