
Modifiche al Codice della Strada: al bando le pubblicità sessiste
I diritti civili e il superamento degli stereotipi di genere sono tematiche che – a ragione –rimarranno ancora a lungo al centro del dibattito pubblico e politico, complice la crescente consapevolezza che le discriminazioni più odiose siano quelle meno visibili.
La sessualizzazione dell’immagine della donna è tutt’oggi tristemente diffusa e – a volte – giustificata, malgrado ad essa siano addebitabili i ben noti pregiudizi verso le donne in carriera, le differenze salariali, il cd. soffitto di cristallo e, ad un livello più radicato, le violenze di genere e i femminicidi.
La legge n. 156 del 9 novembre 2021, di conversione del cosiddetto “Decreto infrastrutture”, ha provveduto ad inserire in seno al Codice della Strada una norma destinata a contrastare l’uso di qualsiasi forma pubblicitaria dal contenuto stereotipico e offensivo.
L’articolo 23, comma 4 bis, del D.lgs. n. 285/1992 difatti, ora recita che “È vietata sulle strade e sui veicoli qualsiasi forma di pubblicità il cui contenuto proponga messaggi sessisti o violenti o stereotipi di genere offensivi o messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso o dell’appartenenza etnica oppure discriminatori con riferimento all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alle abilità fisiche e psichiche”.
La norma, nonostante abbracci ulteriori forme di discriminazione (e richiami anche l’orientamento sessuale e l’identità di genere, con buona pace di chi applaude in Senato), colpisce in maniera diretta i tanti slogan pregni di doppi sensi legati al corpo femminile.
Si tratta di una norma “educativa” che, nel primo tentativo di allontanare dalla nostra società alcuni ben radicati stereotipi, punisce i trasgressori con la revoca della licenza e delega il Ministro per le Pari Opportunità per l’emanazione di un decreto attuativo.
A ben guardare, ancor più che la sanzione, l’utilità di una norma così formulata consiste nel riconoscimento che lo Stato non possa più tutelare comportamenti ed espressioni arcaiche ed oppressive.