Ulteriore tematica di rilievo, all’interno di qualsiasi Agenda Elettorale, è quella dei sistemi elettorali con la distinzione tra sistemi proporzionali e maggioritari, che ci apprestiamo a trattare qui in relazione alle disposizioni contenute nelle leggi elettorali previgenti, e con un successivo contributo con più specifico riferimento alla attuale legge elettorale.
I sistemi elettorali: proporzionale e maggioritario
Nelle democrazie rappresentative i “sistemi elettorali” – che regolano come tradurre le preferenze e i voti espressi dagli elettori in seggi da attribuire alle forze politiche in Parlamento – sono essenzialmente due: il sistema “proporzionale” e quello “maggioritario” (che possono però anche combinarsi insieme in innumerevoli modi, dando vita a svariate forme di sistemi misti).
Nel sistema proporzionale, i seggi vengono distribuiti ai partiti o alle coalizioni in proporzione ai voti ottenuti (e cioè, in via generale e salvo i diversi e specifici correttivi propri di ciascun sistema, dividendo per prima cosa il numero di voti validi per il numero di seggi e ottenendo così il “quoziente elettorale” utile per l’assegnazione di ciascun seggio).
Tale sistema da un lato garantisce la massima rappresentatività – ogni voto concorre allo stesso modo alla formazione delle Camere e nessun voto va “perduto” – ma dall’altro può causare, con la moltiplicazione delle forze politiche in Parlamento, un difetto di stabilità delle maggioranze parlamentari chiamate a sostenere il governo del Paese; tanto che proprio al fine di assicurare una maggiore governabilità, si è soliti prevedere vari correttivi, come ad esempio le “soglie di sbarramento”, che impediscono ai partiti che non le superano di conseguire i seggi che altrimenti dovrebbero essergli attribuiti in ragione dei voti ottenuti, o ancora il “premio di maggioranza” in favore dei partiti o delle liste vincitrici della tornata elettorale.
Nel sistema maggioritario invece, i seggi vengono assegnati al partito o alla coalizione che ottiene più voti, secondo una logica che non assicura lo stesso grado di rappresentatività – i voti espressi in favore del partito o della coalizione non risultati vincitori non concorrono in via di principio alla formazione delle Camere – ma in genere dovrebbe garantire maggiore stabilità (inducendo le forze politiche a riunirsi in coalizione prima delle elezioni per poter così sostenere con maggiori possibilità di successo il loro candidato).
Il maggioritario può a sua volta fondarsi su collegi uninominali o plurinominali – nei collegi uninominali per ciascun collegio viene assegnato un solo seggio, e ciascun elettore è chiamato ad esprimere un solo voto – e può essere a unico o a doppio turno (a seconda se si preveda anche lo svolgimento di un turno cd. di ballottaggio).
Le precedenti leggi elettorali vigenti in Italia, dal Mattarellum all’Italicum
Con le Leggi n. 276 e 277 del 4 agosto 1993 – superando il sistema elettorale proporzionale della Prima Repubblica che consentiva la formazione di maggioranze parlamentari solo con accordi raggiunti tra le diverse forze politiche dopo il voto popolare – si è passati col cd. “Mattarellum” ad un sistema che prevedeva l’assegnazione della maggior parte dei seggi col sistema maggioritario (ciò che avrebbe dovuto indurre, nella logica di un sistema bipolare e dell’alternanza di governo tra maggioranza e opposizione, all’aggregazione in coalizioni elettorali, e dunque alla formazione delle possibili maggioranze parlamentari, prima del voto popolare).
Questo sistema è rimasto di fatto in vigore sino all’adozione della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, nota anche come “Porcellum”, con cui si è passati ad un sistema proporzionale con bonus di maggioranza, da applicarsi a prescindere dal raggiungimento di una soglia minima di voti, e liste “bloccate”, senza cioè l’espressione di preferenze per singoli candidati; entrambe le previsioni sono state ritenute però illegittime dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 1 del 2014 (e il sistema elettorale rettificato per effetto dell’intervento della Consulta è stato appunto definito “Consultellum”).
La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 1 del 2014, ha in sostanza obiettato che l’attribuzione del premio di maggioranza a favore della lista o coalizione di liste vincente senza una soglia minima di voti per conseguirlo, avrebbe potuto consentire in astratto di ottenere il maggior numero di parlamentari e quindi giungere al governo del Paese, pur avendo ottenuto una bassissima percentuale di voti (purché tale percentuale fosse comunque superiore, anche di una ridottissima frazione, a quella di tutte le altre liste concorrenti).
A questa prima obiezione, correlata al principio di “rappresentatività” del governo rispetto alla volontà degli elettori, si è aggiunta quella nascente dal fatto che le liste “bloccate” – cioè quel criterio secondo cui, abolite le preferenze, i candidati ottenevano il seggio parlamentare sulla base dell’ordine nel quale i diversi partiti li avevano inseriti nel “listino” (in tal modo sostanzialmente garantendo l’elezione ai soli capi o comunque agli esponenti principali dei partiti stessi) – entrava in contrasto, soprattutto nel caso di “listino” con numerosi candidati, con la necessità di “riconoscibilità” e “personalità” del voto tra l’eletto e l’elettore, il quale veniva in effetti privato della possibilità di scegliere il candidato da lui preferito per l’elezione in parlamento.
Con la sentenza 1 del 2014 la Corte Costituzionale, come si diceva prima, ha in definitiva riscritto una nuova legge elettorale – denominata “Consultellum” – individuando quanto all’attribuzione del premio di maggioranza una soglia minima del quaranta per cento e quanto alla composizione del listino la necessità che non vi fossero indicati più di quattro nomi.
Successivamente, per la sola Camera dei Deputati, è stata approvata la legge 6 maggio 2015 n. 52, il cd. “Italicum”, che ha previsto un doppio turno con premio di maggioranza e 100 collegi plurinominali con liste con capilista “bloccati” e gli altri da eleggere invece con le preferenze; anche questo sistema è stato censurato dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 35 del 2017 (sia nella parte in cui prevedeva l’assegnazione del premio di maggioranza all’esito del turno di ballottaggio, che laddove consentiva al capolista “bloccato” eletto in più collegi plurinominali di scegliere a piacimento quello in cui sarebbe dovuto risultare eletto, incidendo così surrettiziamente sull’elezione dei candidati non capilista benché eletti con le preferenze).
Con la sentenza 35 del 2017 la Corte Costituzionale ha mosso, rispetto allo “Italicum”, due sostanziali obiezioni.
La prima obiezione – basata, anche in tal caso, sull’inesistenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza – ha riguardato l’eliminazione del “ballottaggio” fra le due liste o coalizioni di liste, maggiormente votate.
La seconda obiezione, ha riguardato l’eliminazione a favore del candidato eletto in più di un collegio, del “diritto di opzione” sul collegio in cui essere eletto.
In tal modo infatti, senza alcun intervento della volontà degli elettori, veniva favorita la elezione a parlamentare del primo dei candidati non eletti nel collegio diverso da quello in cui era stata esercitata l’opzione.
Il travagliato percorso delle diverse leggi elettorali – caratterizzato, come si è visto, dai conseguenti interventi della Corte Costituzionale – è stato un sintomo evidente della chiusura dei partiti politici a difesa dei privilegi dei propri gruppi dirigenti e del loro crescente distacco rispetto alla volontà degli elettori.
Dal voto al seggio: sistemi e leggi elettorali
Ulteriore tematica di rilievo, all’interno di qualsiasi Agenda Elettorale, è quella dei sistemi elettorali con la distinzione tra sistemi proporzionali e maggioritari, che ci apprestiamo a trattare qui in relazione alle disposizioni contenute nelle leggi elettorali previgenti, e con un successivo contributo con più specifico riferimento alla attuale legge elettorale.
I sistemi elettorali: proporzionale e maggioritario
Nelle democrazie rappresentative i “sistemi elettorali” – che regolano come tradurre le preferenze e i voti espressi dagli elettori in seggi da attribuire alle forze politiche in Parlamento – sono essenzialmente due: il sistema “proporzionale” e quello “maggioritario” (che possono però anche combinarsi insieme in innumerevoli modi, dando vita a svariate forme di sistemi misti).
Nel sistema proporzionale, i seggi vengono distribuiti ai partiti o alle coalizioni in proporzione ai voti ottenuti (e cioè, in via generale e salvo i diversi e specifici correttivi propri di ciascun sistema, dividendo per prima cosa il numero di voti validi per il numero di seggi e ottenendo così il “quoziente elettorale” utile per l’assegnazione di ciascun seggio).
Tale sistema da un lato garantisce la massima rappresentatività – ogni voto concorre allo stesso modo alla formazione delle Camere e nessun voto va “perduto” – ma dall’altro può causare, con la moltiplicazione delle forze politiche in Parlamento, un difetto di stabilità delle maggioranze parlamentari chiamate a sostenere il governo del Paese; tanto che proprio al fine di assicurare una maggiore governabilità, si è soliti prevedere vari correttivi, come ad esempio le “soglie di sbarramento”, che impediscono ai partiti che non le superano di conseguire i seggi che altrimenti dovrebbero essergli attribuiti in ragione dei voti ottenuti, o ancora il “premio di maggioranza” in favore dei partiti o delle liste vincitrici della tornata elettorale.
Nel sistema maggioritario invece, i seggi vengono assegnati al partito o alla coalizione che ottiene più voti, secondo una logica che non assicura lo stesso grado di rappresentatività – i voti espressi in favore del partito o della coalizione non risultati vincitori non concorrono in via di principio alla formazione delle Camere – ma in genere dovrebbe garantire maggiore stabilità (inducendo le forze politiche a riunirsi in coalizione prima delle elezioni per poter così sostenere con maggiori possibilità di successo il loro candidato).
Il maggioritario può a sua volta fondarsi su collegi uninominali o plurinominali – nei collegi uninominali per ciascun collegio viene assegnato un solo seggio, e ciascun elettore è chiamato ad esprimere un solo voto – e può essere a unico o a doppio turno (a seconda se si preveda anche lo svolgimento di un turno cd. di ballottaggio).
Le precedenti leggi elettorali vigenti in Italia, dal Mattarellum all’Italicum
Con le Leggi n. 276 e 277 del 4 agosto 1993 – superando il sistema elettorale proporzionale della Prima Repubblica che consentiva la formazione di maggioranze parlamentari solo con accordi raggiunti tra le diverse forze politiche dopo il voto popolare – si è passati col cd. “Mattarellum” ad un sistema che prevedeva l’assegnazione della maggior parte dei seggi col sistema maggioritario (ciò che avrebbe dovuto indurre, nella logica di un sistema bipolare e dell’alternanza di governo tra maggioranza e opposizione, all’aggregazione in coalizioni elettorali, e dunque alla formazione delle possibili maggioranze parlamentari, prima del voto popolare).
Questo sistema è rimasto di fatto in vigore sino all’adozione della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, nota anche come “Porcellum”, con cui si è passati ad un sistema proporzionale con bonus di maggioranza, da applicarsi a prescindere dal raggiungimento di una soglia minima di voti, e liste “bloccate”, senza cioè l’espressione di preferenze per singoli candidati; entrambe le previsioni sono state ritenute però illegittime dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 1 del 2014 (e il sistema elettorale rettificato per effetto dell’intervento della Consulta è stato appunto definito “Consultellum”).
La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 1 del 2014, ha in sostanza obiettato che l’attribuzione del premio di maggioranza a favore della lista o coalizione di liste vincente senza una soglia minima di voti per conseguirlo, avrebbe potuto consentire in astratto di ottenere il maggior numero di parlamentari e quindi giungere al governo del Paese, pur avendo ottenuto una bassissima percentuale di voti (purché tale percentuale fosse comunque superiore, anche di una ridottissima frazione, a quella di tutte le altre liste concorrenti).
A questa prima obiezione, correlata al principio di “rappresentatività” del governo rispetto alla volontà degli elettori, si è aggiunta quella nascente dal fatto che le liste “bloccate” – cioè quel criterio secondo cui, abolite le preferenze, i candidati ottenevano il seggio parlamentare sulla base dell’ordine nel quale i diversi partiti li avevano inseriti nel “listino” (in tal modo sostanzialmente garantendo l’elezione ai soli capi o comunque agli esponenti principali dei partiti stessi) – entrava in contrasto, soprattutto nel caso di “listino” con numerosi candidati, con la necessità di “riconoscibilità” e “personalità” del voto tra l’eletto e l’elettore, il quale veniva in effetti privato della possibilità di scegliere il candidato da lui preferito per l’elezione in parlamento.
Con la sentenza 1 del 2014 la Corte Costituzionale, come si diceva prima, ha in definitiva riscritto una nuova legge elettorale – denominata “Consultellum” – individuando quanto all’attribuzione del premio di maggioranza una soglia minima del quaranta per cento e quanto alla composizione del listino la necessità che non vi fossero indicati più di quattro nomi.
Successivamente, per la sola Camera dei Deputati, è stata approvata la legge 6 maggio 2015 n. 52, il cd. “Italicum”, che ha previsto un doppio turno con premio di maggioranza e 100 collegi plurinominali con liste con capilista “bloccati” e gli altri da eleggere invece con le preferenze; anche questo sistema è stato censurato dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 35 del 2017 (sia nella parte in cui prevedeva l’assegnazione del premio di maggioranza all’esito del turno di ballottaggio, che laddove consentiva al capolista “bloccato” eletto in più collegi plurinominali di scegliere a piacimento quello in cui sarebbe dovuto risultare eletto, incidendo così surrettiziamente sull’elezione dei candidati non capilista benché eletti con le preferenze).
Con la sentenza 35 del 2017 la Corte Costituzionale ha mosso, rispetto allo “Italicum”, due sostanziali obiezioni.
La prima obiezione – basata, anche in tal caso, sull’inesistenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza – ha riguardato l’eliminazione del “ballottaggio” fra le due liste o coalizioni di liste, maggiormente votate.
La seconda obiezione, ha riguardato l’eliminazione a favore del candidato eletto in più di un collegio, del “diritto di opzione” sul collegio in cui essere eletto.
In tal modo infatti, senza alcun intervento della volontà degli elettori, veniva favorita la elezione a parlamentare del primo dei candidati non eletti nel collegio diverso da quello in cui era stata esercitata l’opzione.
Il travagliato percorso delle diverse leggi elettorali – caratterizzato, come si è visto, dai conseguenti interventi della Corte Costituzionale – è stato un sintomo evidente della chiusura dei partiti politici a difesa dei privilegi dei propri gruppi dirigenti e del loro crescente distacco rispetto alla volontà degli elettori.
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Dal voto al seggio: sistemi e leggi elettorali
Ulteriore tematica di rilievo, all’interno di qualsiasi Agenda Elettorale, è quella dei sistemi elettorali con la distinzione tra sistemi proporzionali e maggioritari, che ci apprestiamo a trattare qui in relazione alle disposizioni contenute nelle leggi elettorali previgenti, e con un successivo contributo con più specifico riferimento alla attuale legge elettorale.
I sistemi elettorali: proporzionale e maggioritario
Nelle democrazie rappresentative i “sistemi elettorali” – che regolano come tradurre le preferenze e i voti espressi dagli elettori in seggi da attribuire alle forze politiche in Parlamento – sono essenzialmente due: il sistema “proporzionale” e quello “maggioritario” (che possono però anche combinarsi insieme in innumerevoli modi, dando vita a svariate forme di sistemi misti).
Nel sistema proporzionale, i seggi vengono distribuiti ai partiti o alle coalizioni in proporzione ai voti ottenuti (e cioè, in via generale e salvo i diversi e specifici correttivi propri di ciascun sistema, dividendo per prima cosa il numero di voti validi per il numero di seggi e ottenendo così il “quoziente elettorale” utile per l’assegnazione di ciascun seggio).
Tale sistema da un lato garantisce la massima rappresentatività – ogni voto concorre allo stesso modo alla formazione delle Camere e nessun voto va “perduto” – ma dall’altro può causare, con la moltiplicazione delle forze politiche in Parlamento, un difetto di stabilità delle maggioranze parlamentari chiamate a sostenere il governo del Paese; tanto che proprio al fine di assicurare una maggiore governabilità, si è soliti prevedere vari correttivi, come ad esempio le “soglie di sbarramento”, che impediscono ai partiti che non le superano di conseguire i seggi che altrimenti dovrebbero essergli attribuiti in ragione dei voti ottenuti, o ancora il “premio di maggioranza” in favore dei partiti o delle liste vincitrici della tornata elettorale.
Nel sistema maggioritario invece, i seggi vengono assegnati al partito o alla coalizione che ottiene più voti, secondo una logica che non assicura lo stesso grado di rappresentatività – i voti espressi in favore del partito o della coalizione non risultati vincitori non concorrono in via di principio alla formazione delle Camere – ma in genere dovrebbe garantire maggiore stabilità (inducendo le forze politiche a riunirsi in coalizione prima delle elezioni per poter così sostenere con maggiori possibilità di successo il loro candidato).
Il maggioritario può a sua volta fondarsi su collegi uninominali o plurinominali – nei collegi uninominali per ciascun collegio viene assegnato un solo seggio, e ciascun elettore è chiamato ad esprimere un solo voto – e può essere a unico o a doppio turno (a seconda se si preveda anche lo svolgimento di un turno cd. di ballottaggio).
Le precedenti leggi elettorali vigenti in Italia, dal Mattarellum all’Italicum
Con le Leggi n. 276 e 277 del 4 agosto 1993 – superando il sistema elettorale proporzionale della Prima Repubblica che consentiva la formazione di maggioranze parlamentari solo con accordi raggiunti tra le diverse forze politiche dopo il voto popolare – si è passati col cd. “Mattarellum” ad un sistema che prevedeva l’assegnazione della maggior parte dei seggi col sistema maggioritario (ciò che avrebbe dovuto indurre, nella logica di un sistema bipolare e dell’alternanza di governo tra maggioranza e opposizione, all’aggregazione in coalizioni elettorali, e dunque alla formazione delle possibili maggioranze parlamentari, prima del voto popolare).
Questo sistema è rimasto di fatto in vigore sino all’adozione della legge n. 270 del 21 dicembre 2005, nota anche come “Porcellum”, con cui si è passati ad un sistema proporzionale con bonus di maggioranza, da applicarsi a prescindere dal raggiungimento di una soglia minima di voti, e liste “bloccate”, senza cioè l’espressione di preferenze per singoli candidati; entrambe le previsioni sono state ritenute però illegittime dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 1 del 2014 (e il sistema elettorale rettificato per effetto dell’intervento della Consulta è stato appunto definito “Consultellum”).
La Corte Costituzionale, con la sentenza numero 1 del 2014, ha in sostanza obiettato che l’attribuzione del premio di maggioranza a favore della lista o coalizione di liste vincente senza una soglia minima di voti per conseguirlo, avrebbe potuto consentire in astratto di ottenere il maggior numero di parlamentari e quindi giungere al governo del Paese, pur avendo ottenuto una bassissima percentuale di voti (purché tale percentuale fosse comunque superiore, anche di una ridottissima frazione, a quella di tutte le altre liste concorrenti).
A questa prima obiezione, correlata al principio di “rappresentatività” del governo rispetto alla volontà degli elettori, si è aggiunta quella nascente dal fatto che le liste “bloccate” – cioè quel criterio secondo cui, abolite le preferenze, i candidati ottenevano il seggio parlamentare sulla base dell’ordine nel quale i diversi partiti li avevano inseriti nel “listino” (in tal modo sostanzialmente garantendo l’elezione ai soli capi o comunque agli esponenti principali dei partiti stessi) – entrava in contrasto, soprattutto nel caso di “listino” con numerosi candidati, con la necessità di “riconoscibilità” e “personalità” del voto tra l’eletto e l’elettore, il quale veniva in effetti privato della possibilità di scegliere il candidato da lui preferito per l’elezione in parlamento.
Con la sentenza 1 del 2014 la Corte Costituzionale, come si diceva prima, ha in definitiva riscritto una nuova legge elettorale – denominata “Consultellum” – individuando quanto all’attribuzione del premio di maggioranza una soglia minima del quaranta per cento e quanto alla composizione del listino la necessità che non vi fossero indicati più di quattro nomi.
Successivamente, per la sola Camera dei Deputati, è stata approvata la legge 6 maggio 2015 n. 52, il cd. “Italicum”, che ha previsto un doppio turno con premio di maggioranza e 100 collegi plurinominali con liste con capilista “bloccati” e gli altri da eleggere invece con le preferenze; anche questo sistema è stato censurato dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 35 del 2017 (sia nella parte in cui prevedeva l’assegnazione del premio di maggioranza all’esito del turno di ballottaggio, che laddove consentiva al capolista “bloccato” eletto in più collegi plurinominali di scegliere a piacimento quello in cui sarebbe dovuto risultare eletto, incidendo così surrettiziamente sull’elezione dei candidati non capilista benché eletti con le preferenze).
Con la sentenza 35 del 2017 la Corte Costituzionale ha mosso, rispetto allo “Italicum”, due sostanziali obiezioni.
La prima obiezione – basata, anche in tal caso, sull’inesistenza di una soglia minima per ottenere il premio di maggioranza – ha riguardato l’eliminazione del “ballottaggio” fra le due liste o coalizioni di liste, maggiormente votate.
La seconda obiezione, ha riguardato l’eliminazione a favore del candidato eletto in più di un collegio, del “diritto di opzione” sul collegio in cui essere eletto.
In tal modo infatti, senza alcun intervento della volontà degli elettori, veniva favorita la elezione a parlamentare del primo dei candidati non eletti nel collegio diverso da quello in cui era stata esercitata l’opzione.
Il travagliato percorso delle diverse leggi elettorali – caratterizzato, come si è visto, dai conseguenti interventi della Corte Costituzionale – è stato un sintomo evidente della chiusura dei partiti politici a difesa dei privilegi dei propri gruppi dirigenti e del loro crescente distacco rispetto alla volontà degli elettori.
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