Accettazione dell’eredità: cos’è e come funziona?

Published On: 9 Novembre 2022Categories: Diritto civile, Tutele

Alla morte di qualcuno non si diventa eredi in automatico, il nostro ordinamento giuridico infatti attribuisce la qualifica di erede solamente a chi abbia manifestato la volontà di accettare l’eredità.

Cos’è l’accettazione dell’eredità?

È una manifestazione di volontà del soggetto chiamato, con cui il medesimo acquista il diritto all’eredità e assume la qualifica di erede con decorrenza dal giorno di apertura della successione.

Da tale manifestazione di volontà, pertanto, derivano una serie di conseguenze giuridiche in capo al chiamato all’eredità, il quale subentrerà nel patrimonio attivo e passivo della persona defunta.

Come funziona?

L’accettazione dell’eredità è disciplinata dalle norme del codice civile agli articoli 470 e seguenti.

Le due forme principali di accettazione sono: a) pura e semplice, in cui il patrimonio dell’erede e quello del de cuius si mescolano tra loro, con la conseguenza che dei debiti della persona defunta l’erede risponderà anche con il proprio patrimonio; e b) con beneficio d’inventario in cui, invece, i due patrimoni vengono tenuti separati e dei debiti del de cuius l’erede risponderà solamente entro i limiti di valore dell’asse ereditario con esclusione del patrimonio personale.

A sua volta, l’accettazione pura e semplice può essere validamente manifestata in forma espressa o tacita, mentre quella con beneficio d’inventario è assoggettata ad una disciplina più rigorosa, prevista dagli articoli 484 e seguenti del codice civile, e può compiersi nonostante qualunque divieto posto dal testatore.

L’accettazione è un atto irrevocabile nel senso che, una volta che il soggetto chiamato accetta l’eredità e acquista la qualifica di erede non può più rinunciare ad essa e si considera tale sin dall’apertura della successione ereditaria, avendo la stessa efficacia retroattiva.

Tale istituto giuridico, tuttavia, è soggetto al termine prescrizionale di 10 anni che decorrono dall’apertura della successione ereditaria, decorsi i quali il soggetto chiamato non potrà più acquisire il diritto all’eredità.

È nulla infine, ai sensi dell’articolo 475 del codice civile, l’accettazione dell’eredità sottoposta a condizione o a termine, così come quella parziale.

L’accettazione pura e semplice

L’accettazione si definisce pura e semplice quando l’erede subentra nel patrimonio della persona defunta senza alcuna limitazione di responsabilità, potendo rispondere illimitatamente dei debiti del de cuius anche con il patrimonio personale.

In questo caso, infatti, i beni del de cuius e dell’erede si confondono in un unico patrimonio, con la conseguenza che se nell’eredità sono presenti delle passività e il valore dell’asse ereditario non è sufficiente a colmarle, di esse risponderà l’erede attingendo al proprio patrimonio.

L’accettazione pura e semplice, a sua volta, può essere espressa, tacita o presunta.

L’accettazione espressa

L’accettazione si definisce espressa quando il soggetto chiamato, tramite atto pubblico davanti ad un notaio o per mezzo di una scrittura privata non necessariamente autenticata da un pubblico ufficiale, dichiara di acquistare l’eredità o di assumere lo status di erede.

Per potersi validamente produrre gli effetti giuridici collegati a tale atto, pertanto, sono necessarie due condizioni: a) la forma scritta ad substantiam e b) la consapevole dichiarazione di volontà da parte del soggetto chiamato di acquistare l’eredità.

L’accettazione tacita

L’accettazione può anche essere tacita ovvero per comportamenti concludenti, ai quali è collegato l’effetto giuridico dell’acquisto dell’eredità da parte del soggetto chiamato.

Tali sono tutti quei comportamenti che solo l’erede avrebbe il diritto di porre in essere o che presuppongano necessariamente la volontà di accettare l’eredità, attraverso atti dispositivi del patrimonio della persona defunta.

Tra gli atti che configurano un’accettazione tacita dell’eredità rientrano, ad esempio, la proposizione dell’azione di divisione dell’eredità, la risoluzione di un contratto concluso dalla persona defunta o il pagamento dei debiti del de cuius.

Non rientrano in tale ambito, invece, gli atti conservativi del patrimonio del de cuius e quelli di ordinaria amministrazione, la cui funzione è appunto solo quella di vigilare sul patrimonio relitto, garantendone l’integrità.

La stessa giurisprudenza ha in più occasioni chiarito che la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione non configurano accettazione tacita dell’eredità, configurandosi piuttosto come adempimenti fiscali caratterizzati da scopi conservativi del patrimonio della persona defunta.

L’accettazione presunta o “ope legis”

Vi sono, infine, delle ipotesi tipiche di acquisto dell’eredità che prescindono dalla volontà del soggetto chiamato e che operano indipendentemente dalla stessa.

Si parla di accettazione presunta o “ope legis”.

In questi casi, la legge attribuisce il diritto di erede al soggetto chiamato come conseguenza dell’inattività del medesimo senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà al riguardo.

Un caso tipico di accettazione presunta è, ad esempio, quello del soggetto chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari, il quale – ai sensi dell’articolo 485 del codice civile – deve compiere l’inventario e la dichiarazione  di accettazione o di rinuncia all’eredità entro i termini previsti dalla citata norma, con la conseguenza che, laddove non ponga in essere tali attività nei termini specificamente indicati si produrranno in capo al medesimo gli effetti di un’accettazione pura e semplice.

L’accettazione con beneficio di inventario

Tale forma di accettazione, a differenza di quella pura e semplice, non determina confusione tra il patrimonio del soggetto chiamato e quello del de cuius, con la conseguenza che l’erede può accettare l’eredità senza preoccuparsi di dover attingere al patrimonio personale in presenza di debiti derivanti dalla stessa.

In questo caso, infatti, i debiti del de cuius verranno saldati nei limiti del valore dell’asse ereditario senza andare ad intaccare il patrimonio personale del soggetto chiamato all’eredità.

La procedura per l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario è piuttosto rigorosa ed è disciplinata dagli articoli 484 e seguenti del codice civile, a tenore dei quali l’erede deve sottoscrivere la dichiarazione di accettazione beneficiata e consegnarla ad un notaio o al cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, i quali provvederanno poi ad inserirla nel registro delle successioni conservato nello stesso Tribunale.

Le citate disposizioni codicistiche, poi, prevedono che entro un mese dall’inserimento nel registro delle successioni la dichiarazione debba essere trascritta, a cura del cancelliere del Tribunale, presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.

Per produrre gli effetti tipici della accettazione beneficiata, infine, la dichiarazione deve essere preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario dei beni relitti nei termini e nelle forme previste dal codice civile, a seconda che il soggetto chiamato si trovi o meno nel possesso degli stessi.

Nel primo caso, infatti, l’inventario deve essere concluso entro tre mesi dall’apertura della successione mentre, laddove il soggetto chiamato non si trova nel possesso dei beni ereditari, lo stesso termine decorre dalla dichiarazione di accettazione, che può anche seguire l’inventario purché venga resa entro i successivi 40 giorni.

Il mancato o ritardato compimento di tali attività rientra in uno di quei casi tipici di accettazione presunta o “ope legis”, di cui al paragrafo precedente, con la conseguenza che l’accettazione sarà considerata pura e semplice.

Il legislatore, inoltre, ha previsto che le eredità devolute ai minori e agli interdetti (nonché agli inabilitati) debbano essere accettate solo con beneficio d’inventario, considerandosi inefficace l’eventuale accettazione pura e semplice manifestata per loro conto e ciò, al fine di salvaguardare gli interessi di tali particolari categorie di soggetti dai rischi di eventuali esposizioni debitorie pervenute loro a seguito di successione ereditaria.

La rinuncia all’eredità

L’ordinamento giuridico italiano consente che il soggetto chiamato all’eredità possa anche rinunciarvi, mediante una dichiarazione unilaterale con cui il medesimo esprima la volontà di non acquistare l’eredità ove, ad esempio, i debiti superino i crediti.

In tal caso, la dichiarazione di rinuncia deve essere consegnata ad un notaio o al cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.

Il soggetto che ha rinunciato all’eredità è considerato come se non fosse mai stato chiamato anche se, a differenza di quanto sopra detto per l’accettazione, la rinuncia è revocabile purché l’eredità non sia stata già acquistata da altri chiamati e non sia decorso il termine prescrizionale di 10 anni previsto dalla legge per manifestare validamente l’accettazione.

In ogni caso, si considera decaduto dal diritto di rinunciare all’eredità il soggetto chiamato che abbia sottratto o nascosto i beni facenti parte dell’asse ereditario, con la conseguenza che il medesimo verrà considerato erede puro e semplice “ope legis”.

Conclusioni

L’istituto dell’accettazione dell’eredità, come abbiamo visto, presenta molti tecnicismi che, se non conosciuti, possono comportare in capo ai soggetti chiamati all’eredità importanti conseguenze in ambito patrimoniale da cui non sempre è possibile tornare indietro.

Il consiglio, quindi, è quello di affidarsi a esperti della materia prima di compiere qualunque azione che comporti accettazione o rinuncia dell’eredità, per comprendere bene le conseguenze a cui eventualmente si andrà incontro e le alternative offerte dalla legge.

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Accettazione dell’eredità: cos’è e come funziona?

Published On: 9 Novembre 2022

Alla morte di qualcuno non si diventa eredi in automatico, il nostro ordinamento giuridico infatti attribuisce la qualifica di erede solamente a chi abbia manifestato la volontà di accettare l’eredità.

Cos’è l’accettazione dell’eredità?

È una manifestazione di volontà del soggetto chiamato, con cui il medesimo acquista il diritto all’eredità e assume la qualifica di erede con decorrenza dal giorno di apertura della successione.

Da tale manifestazione di volontà, pertanto, derivano una serie di conseguenze giuridiche in capo al chiamato all’eredità, il quale subentrerà nel patrimonio attivo e passivo della persona defunta.

Come funziona?

L’accettazione dell’eredità è disciplinata dalle norme del codice civile agli articoli 470 e seguenti.

Le due forme principali di accettazione sono: a) pura e semplice, in cui il patrimonio dell’erede e quello del de cuius si mescolano tra loro, con la conseguenza che dei debiti della persona defunta l’erede risponderà anche con il proprio patrimonio; e b) con beneficio d’inventario in cui, invece, i due patrimoni vengono tenuti separati e dei debiti del de cuius l’erede risponderà solamente entro i limiti di valore dell’asse ereditario con esclusione del patrimonio personale.

A sua volta, l’accettazione pura e semplice può essere validamente manifestata in forma espressa o tacita, mentre quella con beneficio d’inventario è assoggettata ad una disciplina più rigorosa, prevista dagli articoli 484 e seguenti del codice civile, e può compiersi nonostante qualunque divieto posto dal testatore.

L’accettazione è un atto irrevocabile nel senso che, una volta che il soggetto chiamato accetta l’eredità e acquista la qualifica di erede non può più rinunciare ad essa e si considera tale sin dall’apertura della successione ereditaria, avendo la stessa efficacia retroattiva.

Tale istituto giuridico, tuttavia, è soggetto al termine prescrizionale di 10 anni che decorrono dall’apertura della successione ereditaria, decorsi i quali il soggetto chiamato non potrà più acquisire il diritto all’eredità.

È nulla infine, ai sensi dell’articolo 475 del codice civile, l’accettazione dell’eredità sottoposta a condizione o a termine, così come quella parziale.

L’accettazione pura e semplice

L’accettazione si definisce pura e semplice quando l’erede subentra nel patrimonio della persona defunta senza alcuna limitazione di responsabilità, potendo rispondere illimitatamente dei debiti del de cuius anche con il patrimonio personale.

In questo caso, infatti, i beni del de cuius e dell’erede si confondono in un unico patrimonio, con la conseguenza che se nell’eredità sono presenti delle passività e il valore dell’asse ereditario non è sufficiente a colmarle, di esse risponderà l’erede attingendo al proprio patrimonio.

L’accettazione pura e semplice, a sua volta, può essere espressa, tacita o presunta.

L’accettazione espressa

L’accettazione si definisce espressa quando il soggetto chiamato, tramite atto pubblico davanti ad un notaio o per mezzo di una scrittura privata non necessariamente autenticata da un pubblico ufficiale, dichiara di acquistare l’eredità o di assumere lo status di erede.

Per potersi validamente produrre gli effetti giuridici collegati a tale atto, pertanto, sono necessarie due condizioni: a) la forma scritta ad substantiam e b) la consapevole dichiarazione di volontà da parte del soggetto chiamato di acquistare l’eredità.

L’accettazione tacita

L’accettazione può anche essere tacita ovvero per comportamenti concludenti, ai quali è collegato l’effetto giuridico dell’acquisto dell’eredità da parte del soggetto chiamato.

Tali sono tutti quei comportamenti che solo l’erede avrebbe il diritto di porre in essere o che presuppongano necessariamente la volontà di accettare l’eredità, attraverso atti dispositivi del patrimonio della persona defunta.

Tra gli atti che configurano un’accettazione tacita dell’eredità rientrano, ad esempio, la proposizione dell’azione di divisione dell’eredità, la risoluzione di un contratto concluso dalla persona defunta o il pagamento dei debiti del de cuius.

Non rientrano in tale ambito, invece, gli atti conservativi del patrimonio del de cuius e quelli di ordinaria amministrazione, la cui funzione è appunto solo quella di vigilare sul patrimonio relitto, garantendone l’integrità.

La stessa giurisprudenza ha in più occasioni chiarito che la denuncia di successione, il pagamento delle relative imposte, la richiesta di registrazione del testamento e la sua trascrizione non configurano accettazione tacita dell’eredità, configurandosi piuttosto come adempimenti fiscali caratterizzati da scopi conservativi del patrimonio della persona defunta.

L’accettazione presunta o “ope legis”

Vi sono, infine, delle ipotesi tipiche di acquisto dell’eredità che prescindono dalla volontà del soggetto chiamato e che operano indipendentemente dalla stessa.

Si parla di accettazione presunta o “ope legis”.

In questi casi, la legge attribuisce il diritto di erede al soggetto chiamato come conseguenza dell’inattività del medesimo senza che vi sia una specifica manifestazione di volontà al riguardo.

Un caso tipico di accettazione presunta è, ad esempio, quello del soggetto chiamato che si trovi nel possesso dei beni ereditari, il quale – ai sensi dell’articolo 485 del codice civile – deve compiere l’inventario e la dichiarazione  di accettazione o di rinuncia all’eredità entro i termini previsti dalla citata norma, con la conseguenza che, laddove non ponga in essere tali attività nei termini specificamente indicati si produrranno in capo al medesimo gli effetti di un’accettazione pura e semplice.

L’accettazione con beneficio di inventario

Tale forma di accettazione, a differenza di quella pura e semplice, non determina confusione tra il patrimonio del soggetto chiamato e quello del de cuius, con la conseguenza che l’erede può accettare l’eredità senza preoccuparsi di dover attingere al patrimonio personale in presenza di debiti derivanti dalla stessa.

In questo caso, infatti, i debiti del de cuius verranno saldati nei limiti del valore dell’asse ereditario senza andare ad intaccare il patrimonio personale del soggetto chiamato all’eredità.

La procedura per l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario è piuttosto rigorosa ed è disciplinata dagli articoli 484 e seguenti del codice civile, a tenore dei quali l’erede deve sottoscrivere la dichiarazione di accettazione beneficiata e consegnarla ad un notaio o al cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, i quali provvederanno poi ad inserirla nel registro delle successioni conservato nello stesso Tribunale.

Le citate disposizioni codicistiche, poi, prevedono che entro un mese dall’inserimento nel registro delle successioni la dichiarazione debba essere trascritta, a cura del cancelliere del Tribunale, presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.

Per produrre gli effetti tipici della accettazione beneficiata, infine, la dichiarazione deve essere preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario dei beni relitti nei termini e nelle forme previste dal codice civile, a seconda che il soggetto chiamato si trovi o meno nel possesso degli stessi.

Nel primo caso, infatti, l’inventario deve essere concluso entro tre mesi dall’apertura della successione mentre, laddove il soggetto chiamato non si trova nel possesso dei beni ereditari, lo stesso termine decorre dalla dichiarazione di accettazione, che può anche seguire l’inventario purché venga resa entro i successivi 40 giorni.

Il mancato o ritardato compimento di tali attività rientra in uno di quei casi tipici di accettazione presunta o “ope legis”, di cui al paragrafo precedente, con la conseguenza che l’accettazione sarà considerata pura e semplice.

Il legislatore, inoltre, ha previsto che le eredità devolute ai minori e agli interdetti (nonché agli inabilitati) debbano essere accettate solo con beneficio d’inventario, considerandosi inefficace l’eventuale accettazione pura e semplice manifestata per loro conto e ciò, al fine di salvaguardare gli interessi di tali particolari categorie di soggetti dai rischi di eventuali esposizioni debitorie pervenute loro a seguito di successione ereditaria.

La rinuncia all’eredità

L’ordinamento giuridico italiano consente che il soggetto chiamato all’eredità possa anche rinunciarvi, mediante una dichiarazione unilaterale con cui il medesimo esprima la volontà di non acquistare l’eredità ove, ad esempio, i debiti superino i crediti.

In tal caso, la dichiarazione di rinuncia deve essere consegnata ad un notaio o al cancelliere del Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione.

Il soggetto che ha rinunciato all’eredità è considerato come se non fosse mai stato chiamato anche se, a differenza di quanto sopra detto per l’accettazione, la rinuncia è revocabile purché l’eredità non sia stata già acquistata da altri chiamati e non sia decorso il termine prescrizionale di 10 anni previsto dalla legge per manifestare validamente l’accettazione.

In ogni caso, si considera decaduto dal diritto di rinunciare all’eredità il soggetto chiamato che abbia sottratto o nascosto i beni facenti parte dell’asse ereditario, con la conseguenza che il medesimo verrà considerato erede puro e semplice “ope legis”.

Conclusioni

L’istituto dell’accettazione dell’eredità, come abbiamo visto, presenta molti tecnicismi che, se non conosciuti, possono comportare in capo ai soggetti chiamati all’eredità importanti conseguenze in ambito patrimoniale da cui non sempre è possibile tornare indietro.

Il consiglio, quindi, è quello di affidarsi a esperti della materia prima di compiere qualunque azione che comporti accettazione o rinuncia dell’eredità, per comprendere bene le conseguenze a cui eventualmente si andrà incontro e le alternative offerte dalla legge.

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