Accreditamento di strutture sanitarie che erogano prestazioni domiciliari: illegittimo richiedere requisiti specifici ed ulteriori
Il TAR Lazio di Roma, con la sentenza numero 7043 del 22 giugno 2018, ha ritenuto illegittimo il Decreto n. 422 del 5 ottobre 2017 emanato dal Presidente della Giunta Regionale del Lazio in qualità di Commissario ad acta, nella parte in cui ha gravato gli operatori sanitari eroganti assistenza domiciliare dell’ulteriore obbligo di assumere “il personale avente qualifica di infermiere, educatore professionale, fisioterapista, tecnico sanitario e operatore sociosanitario o figura equivalente o dedicata ai servizi alla persona” con rapporto di lavoro subordinato regolato dal CCNL sottoscritto dalle associazioni sindacali dei lavoratori.
La società ricorrente ha impugnato il provvedimento commissariale citato, lamentando peraltro come esso illegittimamente imponesse a tutte le strutture sanitarie eroganti prestazioni domiciliari, quale ulteriore requisito di accreditamento, che il personale in questione “deve essere assunto direttamente dalle strutture con rapporto di dipendenza”, in tal modo incidendo in via imperativa sulla stessa qualificazione del tipo contrattuale.
Il Tribunale Amministrativo romano, ricostruito il quadro normativo ed amministrativo di riferimento, ha ritenuto di accogliere parzialmente il ricorso, anche sulla scorta di quanto già ritenuto in alcuni propri precedenti (cfr. sentenze 4 aprile 2018, nn. 3740 e 3742 e 6 aprile 2018, n. 3828).
I Giudici capitolini, in particolare, hanno anzitutto ritenuto che “..non si può giustificare, in linea astratta, alcuna differenza di trattamento, sul piano della previsione degli specifici requisiti di accreditamento in esame, tra le strutture sanitarie che erogano prestazioni residenziali e quelle che erogano invece prestazioni domiciliari, tenuto conto che gli obiettivi di continuità assistenziale, di professionalità e, più in generale, di qualità del servizio vanno egualmente misurati per entrambe sulla base di indicatori, anche organizzativi, che tuttavia prescindono dal tipo di contratto di lavoro prescelto in concreto dagli operatori”.
“Un chiaro riflesso di questa premessa”, continua il Collegio “.. è contenuto proprio nell’art. 8-quater, comma 3, lettera c), del d.lgs. n. 502/1992 il quale, tra i criteri generali uniformi per l’accreditamento, prevede quello di «garantire che tutte le strutture accreditate assicurino adeguate condizioni di organizzazione interna, con specifico riferimento alla dotazione quantitativa e alla qualificazione professionale del personale effettivamente impiegato», senza tuttavia menzionare affatto la possibilità di prescrivere anche lo specifico tipo di contratto col quale regolare i rapporti di lavoro (si veda proprio la limitazione alla «dotazione quantitativa» e alla «qualificazione professionale») la cui individuazione rientra, quindi, tra le scelte propriamente datoriali, ovviamente nel rispetto delle norme primarie vigenti…”.
Oltretutto, “la Regione o il suo Commissario ad acta non potrebbero prevedere – per di più con atto amministrativo – un obbligo generalizzato per gli operatori sanitari di assumere con contratto di lavoro subordinato tutti i lavoratori rientranti in determinate qualifiche professionali, a maggior ragione ove ciò si dovesse risolvere in una determinazione non conforme ai principi dettati dalla disciplina organica nazionale”.
Peraltro, l’art. 2, comma 2 lett. b) del D.Lgs. n. 81 del 2015, esclude espressamente l’obbligo di ricondurre ai rapporti di lavoro subordinato anche le prestazioni per le quali è necessaria la previa iscrizione ad albi professionali, rientrando chiaramente in tale categoria oltre che i medici, anche il personale infermieristico e, più in generale, tutte le professioni sanitarie che prevedono il conseguimento di un titolo universitario abilitante e l’iscrizione all’albo professionale.