Con il Decreto Semplificazioni 2020 (decreto legge 76/2020 convertito con la legge 120/2020), il legislatore ha preso atto della necessità, non più procrastinabile a causa della pandemia, di agevolare investimenti e infrastrutture attraverso ulteriori e più incisivi interventi di semplificazione (con l’obiettivo di “fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19”).
Accanto all’ulteriore spinta verso la diffusione
dell’amministrazione digitale ed alla semplificazione in tema di attività imprenditoriali,
ambiente e green economy, assumono rilievo centrale le modifiche alla
disciplina del procedimento amministrativo, come noto contenuta nella legge 241
del 1990.
Ne segnaliamo qui due di particolare rilievo.
1)
Collaborazione e buona fede.
Il nuovo comma 2 bis inserito all’articolo 1, prevede che “…i
rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi
della collaborazione e della buona fede…”.
La novella così introdotta può sembrar scontata, posto che i
giuristi più attenti, dentro e fuori le aule di giustizia, affermano da decenni
una simile esigenza, sposata anche dalle corti nazionali e sovranazionali.
Insomma era stato già affermato che al canone di buona fede
devono essere improntati non soltanto i rapporti tra i consociati (i quali sono
tenuti, ai sensi dell’articolo 2 della
Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà) ma anche l’agire
della pubblica amministrazione (sulla quale a mente dell’articolo 97 della Costituzione
incombe il dovere di agire con imparzialità).
Lo stesso articolo 1, come riscritto dalla legge 15 del 2005, assoggettava
già l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i
quali assume rilievo centrale la tutela dell’affidamento legittimo del cittadino,
la quale limita fortemente il potere dell’amministrazione di intervenire in autotutela
su un precedente provvedimento ampliativo.
Tuttavia, la novella è più che significativa per varie ragioni.
La prima è che, finalmente, rimane definitivamente confermato e
scritto a chiare lettere, che la pubblica amministrazione deve operare ed essere
giudicata secondo i canoni di buona fede e di lealtà.
La seconda è che, tale esigenza di conformazione del potere,
opera rispetto a parametri tipici del diritto privato e dei rapporti
paritetici.
La terza è che se era già previsto (al comma 1 bis dello stesso
articolo 1) che l’amministrazione nell’adozione di atti di natura paritetica dovesse
agire secondo le norme di diritto privato (tra cui ovviamente i principi di collaborazione,
buona fede e lealtà), non era al contrario affatto pacifico che ciò dovesse
avvenire anche nell’esercizio di attività autoritative.
Insomma, in una nuova visione del potere, il fondamentale canone di buona fede non opera
più solo tra cittadini (a livello orizzontale) ma anche a livello verticale,
tra cittadini e pubblica amministrazione, ed anche nell’esercizio di potestà
autoritative.
La nuova norma, costituisce quasi un “nuovo portale di ingresso”
della disciplina sul procedimento, che dovrà pertanto “illuminare” l’interpretazione
di tutte le norme successive ed esser ben presente nella mente di chi verificherà
la loro applicazione.
Pensiamo ad esempio, all’esigenza sempre più pressante, di
superare la tipica tendenza di molte amministrazioni, non sufficientemente deplorata
dal potere giudiziario, di instaurare una vera e propria caccia all’errore
nell’operato di cittadini ed imprese.
Pensiamo al principio, che dalla buona fede discende
direttamente, che impone di operare per salvaguardare l’altrui utilità
(esigenza lontana dal modo di agire della pubblica amministrazione e che da
oggi ne dovrà permeare l’operato).
2) Il
“nuovo” preavviso di rigetto.
La riscrittura dell’articolo 10 bis sembra ispirata proprio al
principio di buona fede, prevedendo che:
a) la comunicazione del preavviso
di rigetto sospende – e non più interrompe – i termini di conclusione
del procedimento, i quali ricominceranno a decorrere dieci giorni dopo la
presentazione delle osservazioni (o alla scadenza del relativo termine);
b) il provvedimento finale dovrà contenere le motivazioni del
mancato accoglimento delle osservazioni del cittadino;
c) in sede di riesercizio del potere a seguito di annullamento giurisdizionale
del provvedimento di rigetto, l’amministrazione non potrà opporre per la prima
volta motivi ostativi che già emergevano dall’istruttoria del provvedimento
annullato.
Insomma, una amministrazione che collabora ed agisce in buona
fede, ha il dovere di “scoprire
tutte le carte” in un’unica soluzione in sede procedimentale (si tratta del
cosiddetto “one shot”).
Una nuova visione del potere
Le due novelle, sono ispirate alla necessità:
- di garantire adeguata ed effettiva tutela al privato che si
relaziona col potere autoritativo;
- di restringere gli spazi, sin qui certamente troppo ampi, entro
cui si muove il potere decisionale della pubblica amministrazione;
- di diminuire la distanza tra cittadini ed amministrazione
- che l’amministrazione renda finalmente conto al cittadino del
proprio operato.
Resta da vedere quanto i pubblici amministratori, siano
effettivamente pronti ad un simile cambio di mentalità.
Ancora semplificando: la buona fede non è più solo orizzontale. Una nuova visione del potere pubblico.
Con il Decreto Semplificazioni 2020 (decreto legge 76/2020 convertito con la legge 120/2020), il legislatore ha preso atto della necessità, non più procrastinabile a causa della pandemia, di agevolare investimenti e infrastrutture attraverso ulteriori e più incisivi interventi di semplificazione (con l’obiettivo di “fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19”).
Accanto all’ulteriore spinta verso la diffusione dell’amministrazione digitale ed alla semplificazione in tema di attività imprenditoriali, ambiente e green economy, assumono rilievo centrale le modifiche alla disciplina del procedimento amministrativo, come noto contenuta nella legge 241 del 1990.
Ne segnaliamo qui due di particolare rilievo.
1) Collaborazione e buona fede.
Il nuovo comma 2 bis inserito all’articolo 1, prevede che “…i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede…”.
La novella così introdotta può sembrar scontata, posto che i giuristi più attenti, dentro e fuori le aule di giustizia, affermano da decenni una simile esigenza, sposata anche dalle corti nazionali e sovranazionali.
Insomma era stato già affermato che al canone di buona fede devono essere improntati non soltanto i rapporti tra i consociati (i quali sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà) ma anche l’agire della pubblica amministrazione (sulla quale a mente dell’articolo 97 della Costituzione incombe il dovere di agire con imparzialità).
Lo stesso articolo 1, come riscritto dalla legge 15 del 2005, assoggettava già l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali assume rilievo centrale la tutela dell’affidamento legittimo del cittadino, la quale limita fortemente il potere dell’amministrazione di intervenire in autotutela su un precedente provvedimento ampliativo.
Tuttavia, la novella è più che significativa per varie ragioni.
La prima è che, finalmente, rimane definitivamente confermato e scritto a chiare lettere, che la pubblica amministrazione deve operare ed essere giudicata secondo i canoni di buona fede e di lealtà.
La seconda è che, tale esigenza di conformazione del potere, opera rispetto a parametri tipici del diritto privato e dei rapporti paritetici.
La terza è che se era già previsto (al comma 1 bis dello stesso articolo 1) che l’amministrazione nell’adozione di atti di natura paritetica dovesse agire secondo le norme di diritto privato (tra cui ovviamente i principi di collaborazione, buona fede e lealtà), non era al contrario affatto pacifico che ciò dovesse avvenire anche nell’esercizio di attività autoritative.
Insomma, in una nuova visione del potere, il fondamentale canone di buona fede non opera più solo tra cittadini (a livello orizzontale) ma anche a livello verticale, tra cittadini e pubblica amministrazione, ed anche nell’esercizio di potestà autoritative.
La nuova norma, costituisce quasi un “nuovo portale di ingresso” della disciplina sul procedimento, che dovrà pertanto “illuminare” l’interpretazione di tutte le norme successive ed esser ben presente nella mente di chi verificherà la loro applicazione.
Pensiamo ad esempio, all’esigenza sempre più pressante, di superare la tipica tendenza di molte amministrazioni, non sufficientemente deplorata dal potere giudiziario, di instaurare una vera e propria caccia all’errore nell’operato di cittadini ed imprese.
Pensiamo al principio, che dalla buona fede discende direttamente, che impone di operare per salvaguardare l’altrui utilità (esigenza lontana dal modo di agire della pubblica amministrazione e che da oggi ne dovrà permeare l’operato).
2) Il “nuovo” preavviso di rigetto.
La riscrittura dell’articolo 10 bis sembra ispirata proprio al principio di buona fede, prevedendo che:
a) la comunicazione del preavviso di rigetto sospende – e non più interrompe – i termini di conclusione del procedimento, i quali ricominceranno a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni (o alla scadenza del relativo termine);
b) il provvedimento finale dovrà contenere le motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni del cittadino;
c) in sede di riesercizio del potere a seguito di annullamento giurisdizionale del provvedimento di rigetto, l’amministrazione non potrà opporre per la prima volta motivi ostativi che già emergevano dall’istruttoria del provvedimento annullato.
Insomma, una amministrazione che collabora ed agisce in buona fede, ha il dovere di “scoprire tutte le carte” in un’unica soluzione in sede procedimentale (si tratta del cosiddetto “one shot”).
Una nuova visione del potere
Le due novelle, sono ispirate alla necessità:
Resta da vedere quanto i pubblici amministratori, siano effettivamente pronti ad un simile cambio di mentalità.
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Ancora semplificando: la buona fede non è più solo orizzontale. Una nuova visione del potere pubblico.
Con il Decreto Semplificazioni 2020 (decreto legge 76/2020 convertito con la legge 120/2020), il legislatore ha preso atto della necessità, non più procrastinabile a causa della pandemia, di agevolare investimenti e infrastrutture attraverso ulteriori e più incisivi interventi di semplificazione (con l’obiettivo di “fronteggiare le ricadute economiche conseguenti all’emergenza epidemiologica da Covid-19”).
Accanto all’ulteriore spinta verso la diffusione dell’amministrazione digitale ed alla semplificazione in tema di attività imprenditoriali, ambiente e green economy, assumono rilievo centrale le modifiche alla disciplina del procedimento amministrativo, come noto contenuta nella legge 241 del 1990.
Ne segnaliamo qui due di particolare rilievo.
1) Collaborazione e buona fede.
Il nuovo comma 2 bis inserito all’articolo 1, prevede che “…i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede…”.
La novella così introdotta può sembrar scontata, posto che i giuristi più attenti, dentro e fuori le aule di giustizia, affermano da decenni una simile esigenza, sposata anche dalle corti nazionali e sovranazionali.
Insomma era stato già affermato che al canone di buona fede devono essere improntati non soltanto i rapporti tra i consociati (i quali sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione, al rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà) ma anche l’agire della pubblica amministrazione (sulla quale a mente dell’articolo 97 della Costituzione incombe il dovere di agire con imparzialità).
Lo stesso articolo 1, come riscritto dalla legge 15 del 2005, assoggettava già l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali assume rilievo centrale la tutela dell’affidamento legittimo del cittadino, la quale limita fortemente il potere dell’amministrazione di intervenire in autotutela su un precedente provvedimento ampliativo.
Tuttavia, la novella è più che significativa per varie ragioni.
La prima è che, finalmente, rimane definitivamente confermato e scritto a chiare lettere, che la pubblica amministrazione deve operare ed essere giudicata secondo i canoni di buona fede e di lealtà.
La seconda è che, tale esigenza di conformazione del potere, opera rispetto a parametri tipici del diritto privato e dei rapporti paritetici.
La terza è che se era già previsto (al comma 1 bis dello stesso articolo 1) che l’amministrazione nell’adozione di atti di natura paritetica dovesse agire secondo le norme di diritto privato (tra cui ovviamente i principi di collaborazione, buona fede e lealtà), non era al contrario affatto pacifico che ciò dovesse avvenire anche nell’esercizio di attività autoritative.
Insomma, in una nuova visione del potere, il fondamentale canone di buona fede non opera più solo tra cittadini (a livello orizzontale) ma anche a livello verticale, tra cittadini e pubblica amministrazione, ed anche nell’esercizio di potestà autoritative.
La nuova norma, costituisce quasi un “nuovo portale di ingresso” della disciplina sul procedimento, che dovrà pertanto “illuminare” l’interpretazione di tutte le norme successive ed esser ben presente nella mente di chi verificherà la loro applicazione.
Pensiamo ad esempio, all’esigenza sempre più pressante, di superare la tipica tendenza di molte amministrazioni, non sufficientemente deplorata dal potere giudiziario, di instaurare una vera e propria caccia all’errore nell’operato di cittadini ed imprese.
Pensiamo al principio, che dalla buona fede discende direttamente, che impone di operare per salvaguardare l’altrui utilità (esigenza lontana dal modo di agire della pubblica amministrazione e che da oggi ne dovrà permeare l’operato).
2) Il “nuovo” preavviso di rigetto.
La riscrittura dell’articolo 10 bis sembra ispirata proprio al principio di buona fede, prevedendo che:
a) la comunicazione del preavviso di rigetto sospende – e non più interrompe – i termini di conclusione del procedimento, i quali ricominceranno a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni (o alla scadenza del relativo termine);
b) il provvedimento finale dovrà contenere le motivazioni del mancato accoglimento delle osservazioni del cittadino;
c) in sede di riesercizio del potere a seguito di annullamento giurisdizionale del provvedimento di rigetto, l’amministrazione non potrà opporre per la prima volta motivi ostativi che già emergevano dall’istruttoria del provvedimento annullato.
Insomma, una amministrazione che collabora ed agisce in buona fede, ha il dovere di “scoprire tutte le carte” in un’unica soluzione in sede procedimentale (si tratta del cosiddetto “one shot”).
Una nuova visione del potere
Le due novelle, sono ispirate alla necessità:
Resta da vedere quanto i pubblici amministratori, siano effettivamente pronti ad un simile cambio di mentalità.
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