Asimmetria nei rapporti tra privato ed amministrazione alla luce della sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 23.04.2021 n.7

La sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 23.04.2021 n. 7, si è diffusamente soffermata sul delicato tema della natura della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, concedendo l’occasione per ulteriori riflessioni sotto il profilo dell’equilibrio dei rapporti tra privato ed amministrazione.
 

Rassegna dei principi enunciati dall’Adunanza plenaria.

L’Adunanza Plenaria, con la decisione n. 7/2021, che abbiamo più puntualmente analizzato anche qui, ha in primo luogo ritenuto che la responsabilità dell’amministrazione connessa all’esercizio della funzione pubblica consistente nell’emanazione di atti illegittimi o nell’inerzia colpevole lesiva di interessi legittimi “ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale”, (applicando gli artt. 7 e 30, c.p.a. e 2 e 2-bis, c. 1 della l. n. 241/1990), sempre che sia accertato il danno ingiusto al bene della vita (in specie, il “tempo”).
In secondo luogo, ha sottolineato che, di fronte all’inerzia della P.A., il privato ha comunque un onere di cooperazione o di ordinaria diligenza acché il danno derivante dal cattivo o dall’omesso uso del potere amministrativo non si verifichi. Pertanto, la mancata attivazione da parte dello stesso degli strumenti di natura procedimentale (attivazione del potere di avocazione di cui all’art. 2, c. 9-bis e ss. della l. n. 241/1990) o di rango processuale (azione avverso il silenzio della P.A. ex artt. 31 e 117 c.p.a. e ricorso per ottemperanza ex art. 112 c.p.a.) non gli preclude l’esperibilità dell’azione risarcitoria, ma resta sintomo della misura del suo interesse all’adempimento della P.A. e condotta che può determinare l’esclusione o la riduzione dell’entità del danno a lui risarcibile.
In terzo luogo, in ordine alla valutazione ed alla quantificazione del nocumento risarcibile (nei termini di danno emergente e di lucro cessante), ha statuito che, ai sensi dell’art. 2056 c.c., si fa uso della causalità giuridica, quindi, di quei criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 c.c. (eccettuato il criterio della prevedibilità del danno disciplinato dall’art. 1225 c.c., perché allignato alla responsabilità da inadempimento contrattuale), considerato sempre che il danno liquidabile da perdita di chancenon può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione”.
Infine – quanto all’accertamento del rapporto di causalità tra l’evento lesivo (il ritardo nella conclusione del procedimento) e il danno-conseguenza (la perdita degli incentivi), dovuto alla soppressione degli aiuti per sopravvenienza normativa – l’Adunanza plenaria ha svelato la sussistenza del “nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso agli incentivi tariffari” anche con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, ove la legge abbia fatto salvi e sottratto all’abrogazione gli incentivi già in corso di erogazione e fino al termine finale originariamente stabilito per gli stessi. Sostanzialmente addossando alla pubblica amministrazione il rischio di un mutamento normativo sopravvenuto che per il privato “non avrebbe avuto rilievo se i tempi del procedimento autorizzativo fossero stati rispettati”.
 

Le tesi contrapposte sulla natura della responsabilità civile della P.A.

La sentenza in argomento consolida quell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggioritario che, in tema di illegittimo esercizio di attività provvedimentale, ha ricondotto la responsabilità della P.A. al principio del neminem laedere e, dunque, allo schema tipico della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c..
Tale orientamento, storicamente, è nato dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 22.07.1999 n. 500, che ha dato la stura alla risarcibilità degli interessi legittimi c.d. pretensivi ingiustamente lesi e correlati ad un determinato bene della vita contestualmente meritevole di tutela.
In seguito, il legislatore, dapprima con l’art. 7 della legge del 21.07.2000 n. 205 (che ha apportato modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80) e poi con l’art. 30 del d.lgs. del 02.07.2010 n. 104 (recante il c.d. codice del processo amministrativo), ha disciplinato il potere del giudice amministrativo di conoscere (anche) delle questioni attinenti alle fattispecie di risarcimento del “danno ingiusto” proprio per lesione di interessi legittimi, senza tuttavia richiamare espressamente né l’art. 2043 c.c., né tutti i suoi concetti altri chiave (evento dannoso, nesso causale tra evento e condotta dolosa o colpevole dell’amministrazione).
In tale contesto ed in estrema sintesi, quanto alle ipotesi di illegittimo esercizio dell’attività amministrativa provvedimentale o di mancato esercizio di quella obbligatoria (inerzia della PA), i fautori della tesi avvinta al modello della responsabilità aquiliana della P.A. (radicata sulla clausola generale del danno ingiusto) sostengono che in tali casi l’amministrazione pone in essere una condotta che viola oggettivamente norme o principi generali efficaci erga omnes posti a presidio d’interessi pubblici indifferenziati e non particolari, specchio del principio del neminem laedere.
Invero, anche sulla scorta della sentenza della Sezione I della Corte di Cassazione del 10 gennaio 2003 n. 157, v’è da precisare che non sono mancati fondati contrasti e rilievi critici messi in luce da un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale radicalmente opposto, che, seppur minoritario, ha proposto, ex art. 1218 c.c., la sussunzione al paradigma della responsabilità contrattuale delle fattispecie di danno per lesione di interessi legittimi dovuto all’esercizio illegittimo del potere amministrativo od al mancato esercizio dell’attività obbligatoria della P.A.
In tal senso, quanto alla natura dell’obbligo risarcitorio nascente in capo all’amministrazione, secondo i sostenitori di tale diverso indirizzo, occorrerebbe invece attribuire maggiore importanza non tanto al giudizio sulla spettanza o meno del bene della vita (la cui lesione può non verificarsi ai fini del risarcimento), ma alla “circostanza” che determina un rapporto di parità e non di estraneità tra il privato e l’amministrazione: il procedimento amministrativo di cui sono parti e dal quale potrebbe scaturire la lesione dell’affidamento del privato al legittimo esercizio dell’attività provvedimentale.
 

Riflessi sui rapporti tra cittadino ed amministrazione.

L’attuale contesto di organizzazione dei pubblici poteri e l’esercizio della pubblica funzione è saldamente ispirato ai fondamentali principi di legalità, buon andamento, imparzialità e trasparenza, di cui all’art. 97 della Costituzione.
Pure in questa dimensione, però, è evidente che le due tesi contrapposte testé richiamate, oltre a determinare rilevanti conseguenze applicative sostanzialmente difformi (e si pensi, esemplificativamente, al regime probatorio applicabile, al tema della prescrizione, alla quantificazione dei danni risarcibili), segnano un diverso approccio teorico e culturale circa la concezione dei rapporti tra privato ed amministrazione pubblica.
Difatti, ove l’obbligazione risarcitoria venga “relegata” al modello della responsabilità aquiliana, ne consegue un’accentuazione della disparità di relazione tra cittadino ed apparato pubblico, mentre, se riconducibile allo schema della responsabilità contrattuale, la medesima asimmetria di rapporti si attenua, stante l’iter procedimentale che presuppone un contatto qualificato tra privato ed amministrazione strettamente informato al principio di legalità, proprio in ordine alla richieste modalità di svolgimento della pubblica funzione.
All’interno del procedimento amministrativo sostanziale, infatti, non può negarsi che la legge (e si pensi ai principi generali dell’attività amministrativa già indicati in premessa e disciplinati dalla legge n. 241/1990) tenda a riequilibrare i rapporti tra privato e pubblica amministrazione.
Tuttavia – avendo l’Adunanza plenaria con la decisione in commento optato per il primo dei due orientamenti sin qui trattati – rimane di fatto un segnale poco incoraggiante riguardo l’affermazione dell’ideale di collaborazione e cooperazione nei rapporti (di fiducia) tra cittadino e pubblica amministrazione, che, purtroppo, vede sempre il primo “soggiogato” agli effetti del principio di autorità e, pertanto, sensibilmente meno tutelato nelle ipotesi di illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o di mancato esercizio di quella obbligatoria lesive d’interessi legittimi.
 

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Asimmetria nei rapporti tra privato ed amministrazione alla luce della sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 23.04.2021 n.7

Published On: 16 Settembre 2021

La sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 23.04.2021 n. 7, si è diffusamente soffermata sul delicato tema della natura della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, concedendo l’occasione per ulteriori riflessioni sotto il profilo dell’equilibrio dei rapporti tra privato ed amministrazione.
 

Rassegna dei principi enunciati dall’Adunanza plenaria.

L’Adunanza Plenaria, con la decisione n. 7/2021, che abbiamo più puntualmente analizzato anche qui, ha in primo luogo ritenuto che la responsabilità dell’amministrazione connessa all’esercizio della funzione pubblica consistente nell’emanazione di atti illegittimi o nell’inerzia colpevole lesiva di interessi legittimi “ha natura di responsabilità da fatto illecito aquiliano e non già di responsabilità da inadempimento contrattuale”, (applicando gli artt. 7 e 30, c.p.a. e 2 e 2-bis, c. 1 della l. n. 241/1990), sempre che sia accertato il danno ingiusto al bene della vita (in specie, il “tempo”).
In secondo luogo, ha sottolineato che, di fronte all’inerzia della P.A., il privato ha comunque un onere di cooperazione o di ordinaria diligenza acché il danno derivante dal cattivo o dall’omesso uso del potere amministrativo non si verifichi. Pertanto, la mancata attivazione da parte dello stesso degli strumenti di natura procedimentale (attivazione del potere di avocazione di cui all’art. 2, c. 9-bis e ss. della l. n. 241/1990) o di rango processuale (azione avverso il silenzio della P.A. ex artt. 31 e 117 c.p.a. e ricorso per ottemperanza ex art. 112 c.p.a.) non gli preclude l’esperibilità dell’azione risarcitoria, ma resta sintomo della misura del suo interesse all’adempimento della P.A. e condotta che può determinare l’esclusione o la riduzione dell’entità del danno a lui risarcibile.
In terzo luogo, in ordine alla valutazione ed alla quantificazione del nocumento risarcibile (nei termini di danno emergente e di lucro cessante), ha statuito che, ai sensi dell’art. 2056 c.c., si fa uso della causalità giuridica, quindi, di quei criteri limitativi della consequenzialità immediata e diretta e dell’evitabilità con l’ordinaria diligenza del danneggiato, di cui agli artt. 1223 e 1227 c.c. (eccettuato il criterio della prevedibilità del danno disciplinato dall’art. 1225 c.c., perché allignato alla responsabilità da inadempimento contrattuale), considerato sempre che il danno liquidabile da perdita di chancenon può equivalere a quanto l’impresa istante avrebbe lucrato se avesse svolto l’attività nei tempi pregiudicati dal ritardo dell’amministrazione”.
Infine – quanto all’accertamento del rapporto di causalità tra l’evento lesivo (il ritardo nella conclusione del procedimento) e il danno-conseguenza (la perdita degli incentivi), dovuto alla soppressione degli aiuti per sopravvenienza normativa – l’Adunanza plenaria ha svelato la sussistenza del “nesso di consequenzialità immediata e diretta tra la ritardata conclusione del procedimento autorizzativo ex art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 e il mancato accesso agli incentivi tariffari” anche con riferimento al periodo successivo alla sopravvenienza normativa, ove la legge abbia fatto salvi e sottratto all’abrogazione gli incentivi già in corso di erogazione e fino al termine finale originariamente stabilito per gli stessi. Sostanzialmente addossando alla pubblica amministrazione il rischio di un mutamento normativo sopravvenuto che per il privato “non avrebbe avuto rilievo se i tempi del procedimento autorizzativo fossero stati rispettati”.
 

Le tesi contrapposte sulla natura della responsabilità civile della P.A.

La sentenza in argomento consolida quell’orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggioritario che, in tema di illegittimo esercizio di attività provvedimentale, ha ricondotto la responsabilità della P.A. al principio del neminem laedere e, dunque, allo schema tipico della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c..
Tale orientamento, storicamente, è nato dalla pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 22.07.1999 n. 500, che ha dato la stura alla risarcibilità degli interessi legittimi c.d. pretensivi ingiustamente lesi e correlati ad un determinato bene della vita contestualmente meritevole di tutela.
In seguito, il legislatore, dapprima con l’art. 7 della legge del 21.07.2000 n. 205 (che ha apportato modifiche al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80) e poi con l’art. 30 del d.lgs. del 02.07.2010 n. 104 (recante il c.d. codice del processo amministrativo), ha disciplinato il potere del giudice amministrativo di conoscere (anche) delle questioni attinenti alle fattispecie di risarcimento del “danno ingiusto” proprio per lesione di interessi legittimi, senza tuttavia richiamare espressamente né l’art. 2043 c.c., né tutti i suoi concetti altri chiave (evento dannoso, nesso causale tra evento e condotta dolosa o colpevole dell’amministrazione).
In tale contesto ed in estrema sintesi, quanto alle ipotesi di illegittimo esercizio dell’attività amministrativa provvedimentale o di mancato esercizio di quella obbligatoria (inerzia della PA), i fautori della tesi avvinta al modello della responsabilità aquiliana della P.A. (radicata sulla clausola generale del danno ingiusto) sostengono che in tali casi l’amministrazione pone in essere una condotta che viola oggettivamente norme o principi generali efficaci erga omnes posti a presidio d’interessi pubblici indifferenziati e non particolari, specchio del principio del neminem laedere.
Invero, anche sulla scorta della sentenza della Sezione I della Corte di Cassazione del 10 gennaio 2003 n. 157, v’è da precisare che non sono mancati fondati contrasti e rilievi critici messi in luce da un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale radicalmente opposto, che, seppur minoritario, ha proposto, ex art. 1218 c.c., la sussunzione al paradigma della responsabilità contrattuale delle fattispecie di danno per lesione di interessi legittimi dovuto all’esercizio illegittimo del potere amministrativo od al mancato esercizio dell’attività obbligatoria della P.A.
In tal senso, quanto alla natura dell’obbligo risarcitorio nascente in capo all’amministrazione, secondo i sostenitori di tale diverso indirizzo, occorrerebbe invece attribuire maggiore importanza non tanto al giudizio sulla spettanza o meno del bene della vita (la cui lesione può non verificarsi ai fini del risarcimento), ma alla “circostanza” che determina un rapporto di parità e non di estraneità tra il privato e l’amministrazione: il procedimento amministrativo di cui sono parti e dal quale potrebbe scaturire la lesione dell’affidamento del privato al legittimo esercizio dell’attività provvedimentale.
 

Riflessi sui rapporti tra cittadino ed amministrazione.

L’attuale contesto di organizzazione dei pubblici poteri e l’esercizio della pubblica funzione è saldamente ispirato ai fondamentali principi di legalità, buon andamento, imparzialità e trasparenza, di cui all’art. 97 della Costituzione.
Pure in questa dimensione, però, è evidente che le due tesi contrapposte testé richiamate, oltre a determinare rilevanti conseguenze applicative sostanzialmente difformi (e si pensi, esemplificativamente, al regime probatorio applicabile, al tema della prescrizione, alla quantificazione dei danni risarcibili), segnano un diverso approccio teorico e culturale circa la concezione dei rapporti tra privato ed amministrazione pubblica.
Difatti, ove l’obbligazione risarcitoria venga “relegata” al modello della responsabilità aquiliana, ne consegue un’accentuazione della disparità di relazione tra cittadino ed apparato pubblico, mentre, se riconducibile allo schema della responsabilità contrattuale, la medesima asimmetria di rapporti si attenua, stante l’iter procedimentale che presuppone un contatto qualificato tra privato ed amministrazione strettamente informato al principio di legalità, proprio in ordine alla richieste modalità di svolgimento della pubblica funzione.
All’interno del procedimento amministrativo sostanziale, infatti, non può negarsi che la legge (e si pensi ai principi generali dell’attività amministrativa già indicati in premessa e disciplinati dalla legge n. 241/1990) tenda a riequilibrare i rapporti tra privato e pubblica amministrazione.
Tuttavia – avendo l’Adunanza plenaria con la decisione in commento optato per il primo dei due orientamenti sin qui trattati – rimane di fatto un segnale poco incoraggiante riguardo l’affermazione dell’ideale di collaborazione e cooperazione nei rapporti (di fiducia) tra cittadino e pubblica amministrazione, che, purtroppo, vede sempre il primo “soggiogato” agli effetti del principio di autorità e, pertanto, sensibilmente meno tutelato nelle ipotesi di illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o di mancato esercizio di quella obbligatoria lesive d’interessi legittimi.
 

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