Autorizzazione commerciale per grande struttura di vendita in assenza di programmazione commerciale
La Terza Sezione Interna del Tribunale Amministrativo Regionale di Palermo, con la decisione del 14 novembre 2018 n. 2353, ha ritenuto legittimo il diniego opposto da una amministrazione comunale dinanzi alla domanda di autorizzazione all’ampliamento d’una preesistente superficie di vendita a dettaglio, da media struttura a grande struttura di vendita di livello inferiore, in assenza della relativa pianificazione commerciale (id est: in mancanza di una disciplina pianificatoria di dettaglio sull’insediamento delle grandi strutture di vendita).
Al riguardo, il Collegio – dopo aver rammentato, in generale, che in base all’art. 6 del d. lgs. n. 114/1998 la Regione dispone di poteri di regolamentazione nei confronti dei comuni competenti per la fase di programmazione urbanistica (v. Consiglio di Stato, Sez. IV, 1° giugno 2018, n. 3316) – ha richiamato la normativa regionale siciliana contenuta nella l.r. n. 28/1999, emanata in dichiarata applicazione di quanto previsto dall’articolo 14, lettera d), dello Statuto regionale in materia di legislazione esclusiva, e la quale prevede che la Regione siciliana, ai fini della razionalizzazione della rete commerciale, emani direttive ed indirizzi di programmazione commerciale (per la persistenza di uno spazio di competenza regionale, v. anche Consiglio di Stato, Sez. V, 26 ottobre 2018, n. 6116).
Ciò premesso, il Tribunale Amministrativo palermitano, con la decisione in rassegna, ha respinto la tesi di parte ricorrente (secondo cui il Comune avrebbe dovuto pronunciarsi sull’istanza di autorizzazione per l’apertura di una grande struttura di vendita, anche in assenza della previa programmazione commerciale), rilevando come a ciò, in primo luogo, ostasse “…il chiaro disposto normativo contenuto nell’art. 9, co. 1, della l.r. n. 28/1999 secondo cui “L’apertura, il trasferimento di sede e l’ampliamento della superficie di una grande struttura di vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal Comune competente per territorio nel rispetto della programmazione urbanistico-commerciale di cui all’articolo 5 ed in conformità alle determinazioni adottate dalla conferenza di servizi di cui al comma 3.” L’art. 5, a sua volta, disciplina la programmazione della rete distributiva al dichiarato fine di razionalizzazione della rete commerciale, prevedendo sia l’adozione, da parte del Presidente della Regione, di direttive e indirizzi di programmazione commerciale; sia, l’obbligo dei Comuni di adeguare gli strumenti urbanistici generali e attuativi per mezzo di apposite varianti da trasmettere all’Assessorato regionale Territorio e Ambiente (art. 5, co. 5)…”.
Ciò premesso, il Collegio ha rilevato come, in un tale contesto, non possa aderirsi a quanto sostenuto da parte ricorrente, secondo cui “…la disposizione transitoria contenuta nell’art. 23, co. 7, della stessa legge regionale si riferirebbe anche alla programmazione comunale – dalla quale, pertanto, si dovrebbe prescindere dal diciottesimo mese successivo all’entrata in vigore della l.r. n. 28/1999 “anche in assenza delle disposizioni di cui all’articolo 5” – e ciò per due ordini di ragioni: a) in primo luogo, in quanto la norma transitoria fa espresso riferimento alle “disposizioni” di cui all’art. 5, cioè agli indirizzi regionali; b) in secondo luogo, in quanto l’art. 5, co. 6, della l.r. n. 28/1999 detta una disciplina ad hoc per il caso di inerzia del Comune, attribuendo alla Regione un potere sostitutivo – pure richiamato dalla stessa ricorrente – che non avrebbe alcuna giustificazione, se si potesse procedere a prescindere dall’adeguamento della pianificazione comunale (v. art. 5, co. 6)…”.
Parimenti non meritevole di accoglimento, ad avviso del Collegio, è risultata l’ulteriore censura tramite cui parte ricorrente sosteneva in atti “…che la normativa regionale in interesse non sarebbe più compatibile con la sopravvenuta normativa proconcorrenziale di derivazione comunitaria, con particolare riferimento agli articoli 31 e 34 del d.l. n. 201/2011…”.
Richiamando un proprio precedente, il Collegio ha sul punto riaffermato come “..non persuade neppure la presunta sopravvenuta incompatibilità della normativa regionale con la disciplina comunitaria di liberalizzazione. Secondo l’orientamento finora prevalso nella giurisprudenza del giudice di appello “…La premessa di fondo è che la disciplina comunitaria della liberalizzazione non può essere intesa in senso assoluto come primazia del diritto di stabilimento delle imprese ad esercitare sempre e comunque l’attività economica, dovendo, anche tale libertà economica, confrontarsi con il potere, demandato alla pubblica amministrazione, di pianificazione urbanistica degli insediamenti, ivi compresi quelli produttivi e commerciali…” (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 maggio 2017, n. 2026). Inoltre – con riferimento alla tesi per cui la programmazione urbanistica sarebbe divenuta recessiva a fronte della progressiva liberalizzazione commerciale sulla scorta della legislazione statale più recente, di derivazione eurounitaria – è stato, altresì, rilevato che “…Si tratta, tuttavia, di una tesi che in termini generali la giurisprudenza amministrativa ha sin qui già mostrato di non condividere, riaffermando il potere delle amministrazioni regionali e comunali correlato al governo del territorio, nel cui ambito sono ancora possibili e legittime limitazioni alla libertà economica (v., ad esempio, Cons. St., IV, n. 3574/2017 e 2026/2017)…” (cfr. C.G.A., Adunanza delle Sezioni riunite del 12 settembre 2017, parere n. 824/2017)…” (cfr. T.A.R. Sicilia, Sez. III, 2 agosto 2018, n. 1743; v. anche Cons. Stato n. 6116/2018 cit.).
Infine, il Collegio ha ritenuto non fondata anche la censura relativa alla denunciata violazione della direttiva Bolkstein n. 123/2006, stante l’assenza – nello specifico caso concreto – del concreto esercizio del potere amministrativo da parte del Comune.
E ciò, rammentando come anche la Corte Costituzionale, con la decisione dell’11 novembre 2016, n. 239, pronunziandosi sulla legge della Regione Puglia n. 24/2015, abbia dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della predetta normativa, laddove stabilisce la previsione di una zonizzazione commerciale negli strumenti urbanistici generali e la necessità di piani attuativi per gli insediamenti commerciali di maggiori dimensioni.
In tale decisione, ricorda il Collegio “… la Consulta, nel richiamare l’art. 31, co. 2, del d.l. n. 201/2011, oltre a ritenere tale disposizione non preclusiva di un intervento regionale, ha ribadito una “nozione di liberalizzazione intesa come “razionalizzazione della regolazione”, compatibile con il mantenimento degli oneri “necessari alla tutela di superiori beni costituzionali”…” (cfr. Corte Costituzionale n. 239/2016 cit.); ed ha ulteriormente osservato che “…la previsione di zonizzazioni commerciali negli strumenti urbanistici generali e di piani attuativi per gli insediamenti più grandi, rientra proprio in quegli spazi di intervento regionale che lo stesso legislatore statale, con il citato art. 31 del D.L. n. 201 del 2011, ha salvaguardato a condizione che, come è possibile e doveroso fare, la zonizzazione commerciale non si traduca nell’individuazione di aree precluse allo sviluppo di esercizi commerciali in termini assoluti e che le finalità del “dimensionamento della funzione commerciale” e dell'”impatto socio-economico”, siano volte alla cura di interessi di rango costituzionale, indicati nella medesima disposizione…”.