Beni abbandonati e tutela del patrimonio culturale
Nell’ambito della tutela dei beni culturali, la Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con sentenza del 9 maggio 2022 numero 3605, ha fornito alcuni importanti chiarimenti in ordine al quadro normativo applicabile in materia di tutela dei beni culturali e del connesso regime proprietario, ai rapporti di genere a specie fra le disposizioni riferibili alla medesima tutela e, conseguentemente, alla derivazione della natura culturale di un bene sottoposto al relativo vincolo.
Il caso concreto
La vicenda ha ad oggetto la revoca di un’autorizzazione rilasciata ad un operatore del settore delle telecomunicazioni finalizzata all’installazione di una stazione radio base nel giardino della Villa Pignatelli Monteleone di Napoli e la correlata dismissione delle connesse opere già realizzate, poiché le aree individuate, con riferimento alla “Pianta Carafa del 1775”, avrebbero dovuto ritenersi d’interesse storico e artistico, essendo parte dell’originario parco della villa Pignatelli Monteleone interessata dalla esistenza di un vincolo culturale.
L’atto di ritiro è stato annullato dal Giudice di prime cure, che ha accolto il ricorso principale dell’operatore del settore delle telecomunicazioni, contro il quale le Amministrazioni competenti hanno poi proposto ricorso in appello.
Le contrapposte posizioni
Ripercorrendo brevemente solo gli aspetti sostanziali più salienti della vicenda, si riporta quanto segue.
Secondo le Amministrazioni appellanti, il Giudice di prime cure avrebbe errato, dapprima, nel disconoscere su tutto il bene in questione (anche sul giardino o aree pertinenziali) la sussistenza ex lege del vincolo culturale, conseguentemente, nell’interpretare la normativa applicabile all’ambito della tutela dei beni culturali (in particolare, della norma di cui all’articolo 4 della legge dell’1 giugno 1939 numero 1089, ai sensi della quale risultano soggette alla tutela prevista dalla citata normativa i beni di “spettanza” dei soggetti pubblici ivi contemplati) e, in definitiva, nel ritenere perduto il valore culturale e la relativa tutela del bene sol perché in stato di abbandono e di degrado ed a causa della massiccia trasformazione edilizia e urbanistica subita dai luoghi.
Peraltro, ritenendo il significato del concetto di “spettanza” ben più ampio di quello che sta alla base del concetto dell’istituto giuridico della “proprietà”.
Contrariamente, la Società appellata ha sostenuto e provato in modo tranciante come l’area su cui sorge la stazione radio base non fosse situata nell’originario parco della Villa Pignatelli Monteleone, ma in un ambito di antica edificazione che del parco non conserva più alcuna reminiscenza, risultando a tal fine insufficiente ed inidoneo il riferimento delle Amministrazioni appellanti alla “Pianta Carafa del 1775”, utile, tutt’al più, a dare conto soltanto dell’originaria esistenza del giardino molto tempo prima dell’emanazione della normativa vincolistica e non a comprovarne la perdurante presenza e, conseguentemente, l’applicazione della normativa vincolistica di tutela.
La decisione
La Sezione Sesta del Consiglio di Stato – avendo modificato il percorso argomentativo e motivazionale addotto dal Giudice di prime cure, pur confermando gli esiti della relativa pronuncia – ha ritenuto prevalenti gli interessi della Società appellata, rigettando l’appello perché infondato nel merito, per le ragioni che seguono.
Sul quadro normativo applicabile in materia di tutela dei beni culturali
Preliminarmente, il Giudice d’appello – con riferimento al caso concreto – ha inquadrato la disciplina di tutela di cui alla legge numero 587/1971, che «Allo scopo di provvedere alla conservazione, al restauro e alla valorizzazione del patrimonio artistico costituito dalle ville vesuviane del secolo XVIII» (art. 1) ha istituito un apposito soggetto pubblico, l’Ente per le ville vesuviane” cui spetta provvedere, tra l’altro, a molteplici incombenze relative al restauro e al consolidamento degli immobili, all’acquisto o alla espropriazione di ville, alla valorizzazione di tutto il patrimonio artistico, compresi i relativi parchi o giardini, alla destinazione delle ville di proprietà dell’ente a biblioteche, sale di lettura, musei, mostre d’arte o ad altro uso compatibile con la natura del bene artistico. Specificando, altresì, che “…Ai sensi delle menzionate norme, quindi, le ville vesuviane incluse nell’apposito elenco approvato dal Ministero, indipendentemente da chi ne sia proprietario, fanno parte, ex lege, del «patrimonio artistico»…” e che “…l’art. 1, comma 3, della L. 1/6/1939 n. 1089 – con disposizione ripresa prima dall’art. 2, comma 2, lett. f), del D. Lgs. 29/10/1999, n. 490 e poi dall’art. 10, comma 4, lett. f), del D. Lgs. 22/1/2004, n. 42 – elenca tra i beni culturali «le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico»…”.
Sui rapporti di genere a specie fra le disposizioni riferibili alla tutela vincolistica
A tal proposito, premesso tale inquadramento normativo, il Giudice d’appello ha pure rilevato che “…la L. n. 578/1971, per identità di finalità e funzioni, si pone come normativa speciale rispetto a quella generale, in tema di tutela dei beni culturali, dettata dalla L. n. 1089/1939 e successivamente dai D. Lgs. nn. 490/1999 e 42/2004…” ed indicato che, anche richiamando precedenti orientamenti consolidati sul punto, “…La previsione degli interventi e sussidi pubblici e dei particolari obblighi di fare espressamente contemplati dalla L. n. 578/1971 (artt. 14 e segg.), logicamente presuppone l’insistenza di quelli di non fare di cui alla legge generale e delle specifiche tutele da questa accordate ai beni culturali (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 6/5/2013, n. 2420)…”.
Sulla natura culturale di un bene vincolato
In tal modo, il medesimo Giudice ha poi potuto precisare la derivazione della natura culturale di un bene sottoposto al relativo vincolo, evidenziando che “…nell’impostazione della menzionata legge speciale, la natura culturale del bene deriva, dunque, direttamente dalle sue qualità intrinseche accertate dall’apposta commissione chiamata, all’uopo, a formulare un apposito elenco delle ville da tutelare da sottoporre all’approvazione del Ministero ai sensi del menzionato art. 13, comma 3…”.
Sul regime proprietario
Conseguentemente, nel caso in esame, ha pure potuto appurare “…che le ville vesuviane incluse nel suddetto elenco, nella specie approvato con D.M, 19/10/1976 e pubblicato nella G.U. del 7/1/1977, costituiscono beni culturali ex lege, indipendentemente da chi ne sia il proprietario, di modo che ai fini dell’applicazione della tutela predisposta dalla normativa generale su detti beni, è irrilevante accertare a chi spetti il diritto dominicale su di esse…”, essendo così incontestato che “…la villa «Pignatelli Monteleone» faccia parte dell’elenco di cui al suddetto D.M. 19/10/1976, la stessa deve ritenersi soggetta al vincolo culturale ex lege e come tale sottoposta alle relative norme di protezione qualunque sia il suo regime proprietario…”.
Sul principio cardine della pronuncia
In definitiva, il Consiglio di Stato ha confermato che, sebbene “…lo stato di abbandono e degrado in cui versa un bene non esclude che esso possa essere assoggettato a vincolo culturale e non comporta, per ciò solo, il venir meno della relativa tutela (cfr., Cons. Stato, Sez VI, 14/10/2015, n. 4747; 16/7/2015, n. 3560; 8/4/2015, n. 1779; 27/11/2012, n. 5989; 11/6/2012, n. 3401)…”, tuttavia, tale consolidato principio “… non vale nell’ipotesi in cui il medesimo, a causa delle modifiche apportate, abbia oggettivamente perso quelle caratteristiche intrinseche che avrebbero consentito di attribuirgli valenza culturale giustificandone la protezione…”.
Ciò ha trovato applicazione nella fattispecie concreta, non essendovi in effetti “…certezza riguardo il tempo dell’avvenuta trasformazione (che potrebbe essersi verificata anteriormente all’imposizione del vincolo) e l’estensione del vincolo (che pur potendosi logicamente estendere al giardino non è determinato precisamente nella sua estensione e potrebbe – ipoteticamente – esser fatto oggetto di eventuali approfondimenti collegati ad un piano di recupero che esula però dall’oggetto del contenzioso e si proietta in una futura azione amministrativa che non può in alcun modo rilevare nel processo)…”.
A di più, essendosi verificato nella specie in questione che “…dell’originario giardino o parco della villa non si rinviene più traccia…”, tanto è vero che “…l’amministrazione appellante non ha prodotto alcun altro atto o documento idoneo a dimostrare né l’estensione del giardino, né l’esistenza di un collegamento pertinenziale dell’area di che trattasi con la villa, elemento questo necessario per estendere ad essa il regime vincolistico del fabbricato…”.
In conclusione
La pronuncia in definitiva richiama l’attenzione sulle condizioni alla stregua delle quali può applicarsi il principio per il quale “lo stato di abbandono e degrado in cui versa un bene non esclude che esso possa essere assoggettato a vincolo culturale e non comporta, per ciò solo, il venir meno della relativa tutela”. Ciò, ancor più nei casi ed al cospetto delle circostanze – alla stregua di quelle sottoposte al vaglio del Giudice d’appello – distintive della tutela del bene principale (la Villa), da quella del giardino o delle aree pertinenziali in genere.