Brevi riflessioni a favore del SI al referendum

Published On: 12 Agosto 2016Categories: Varie

I  contenuti della riforma costituzionale – segnalo in particolare gli articoli 55 sul bicameralismo “differenziato”, 57 sul Senato “delle Autonomie”, 70 sull’esercizio “collettivo” delle competenze legislative, 72 sulla semplificazione del procedimento legislativo mediante il “voto a data certa”, 75 sul superamento del “quorum strutturale” del 50% nei referendum, 77 sui “paletti” posti al governo nella decretazione d’urgenza, 117 sull’eliminazione della competenza “concorrente” tra Stato e Regioni, 119 sull’abolizione delle province – sono complessivamente positivi e vanno approvati.
A ben vedere, prendendo le mosse dalle criticità di cui ci si lamenta da anni e anni – lentezze e farragini legislative, conflitti tra Stato e Regioni, eccessi nella decretazione d’urgenza, sovrapposizioni di competenze amministrative, ma soprattutto contrasti e lotte di potere politico all’esterno ed all’interno di malferme maggioranze che paralizzano la democrazia trasformandola in “vetocrazia” – si pongono finalmente alcune premesse per il loro superamento (anche se c’è sempre qualcuno che, più o meno strumentalmente, dirà che si sarebbe potuto fare meglio, senza peraltro dire come!).
Il “SI” va perciò espresso in modo convinto ed abbandonando quelle riserve che si fondano sul contenuto dell’Italicum.
A tal proposito, non va ignorato il carattere di “sovraordinazione” e “stabilità” delle norme costituzionali rispetto alle leggi ordinarie, ivi comprese quelle elettorali.
Sul punto – sul rapporto cioè tra Costituzione e legge elettorale – occorre un fondamentale chiarimento: la norma costituzionale invero, precede, prevale e condiziona quella elettorale (non viceversa).
Sicché, solo dopo aver ridefinito il quadro dei principi costituzionali, si potrà verificare se l’Italicum rimanga o meno compatibile con gli stessi.
E’ perciò viziata l’impostazione di chi – ignorando una precisa gerarchia del sistema costituzionale rispetto a quello legislativo ordinario – solleva dubbi sulla riforma costituzionale, fondandosi su obiezioni tratte invece dalla legge elettorale.
Qui infatti, la cronologia non governa: buoi sono i principi costituzionali, mentre la legge elettorale è il carro!
Se comunque, fermo restando l’ordine gerarchico di cui si diceva prima, volessimo guardare al contenuto dell’Italicum in rapporto al nuovo quadro costituzionale, l’obiezione fondamentale – quella cioè secondo cui il criterio maggioritario previsto dalla legge elettorale finirebbe per consegnare ad una maggioranza politica, assieme al potere legislativo, anche quello di nomina di organi costituzionali di garanzia quali il Presidente della Repubblica e la maggioranza dei Giudici della Consulta – a ben vedere non regge fino in fondo.
Quanto al principio maggioritario, ricordiamoci che il 18 aprile 1993 – approvando con larghissima maggioranza il referendum abrogativo della legge elettorale per il Senato (quanto alla Camera, il metodo abrogativo rendeva inammissibile il quesito) – emerse chiarissima una volontà popolare favorevole!
Già allora ci eravamo accorti – e “mani pulite” lo aveva certificato – che dal proporzionalismo derivava la paralisi della democrazia, soffocata da intrecci illeciti di potere.
La 276 del 1993 o “Mattarellum” a quel punto – seppure Pannella gridò al “referendum tradito” – fu allora un onorevole compromesso, se non fosse venuto a sconvolgere il quadro degli equilibri costituzionali il “Porcellum” del 2005.
In questo quadro e per un più immediato aspetto, non convince come si diceva prima la tesi secondo cui alla maggioranza promossa col “premio” verrebbe consegnato un potere decisivo nella nomina degli organi di garanzia (ed in particolare, del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale).
L’articolo 83 della riforma costituzionale infatti, rafforzando le garanzie relative ad un’elezione condivisa del Presidente della Repubblica, rende necessaria una maggioranza qualificata dei due terzi di tutti i parlamentari sino al terzo scrutinio e dei tre quinti dal quarto al sesto scrutinio (mentre, dal settimo scrutinio in poi, la maggioranza dei tre quinti, diviene semplice e viene limitata solamente ai parlamentari votanti).
Orbene – al di là della considerazione che tutte le valutazioni numeriche assumono connotazioni profondamente diverse in relazione alla variabile composizione del Senato (che costituirà un corpo elettorale assolutamente distinto, rispetto a quello formatosi attraverso l’Italicum) – la maggioranza parlamentare ottenuta col premio alla Camera, raggiungendo i 340 membri, non attinge comunque a quel limite dei tre quinti, che è pari a 378 membri.
La conseguenza è che, laddove le minoranze garantiscano responsabilmente una loro completa presenza, la maggioranza “premiata” dovrebbe necessariamente raggiungere un accordo su personalità che garantiscano equilibrio ed imparzialità.
Il che riflette quella nomina di cinque giudici della Corte Costituzionale che, essendo affidata al Presidente della Repubblica, dovrà riflettere i medesimi requisiti di equilibrio ed imparzialità di cui lo stesso è investito.
Sicché, come ben si vede, non v’è alcuna profonda alterazione nel quadro delle elezioni, delle nomine e delle funzioni degli organi di garanzia: tutto rimane affidato, anche su questo terreno, a quella corretta dialettica e capacità di mediazione politica, che caratterizza ogni sistema democratico.
Se poi ci si volesse concentrare sui requisiti fondamentali che possono rendere costituzionalmente legittimo un sistema elettorale nel quale il rispetto del criterio maggioritario voluto dall’esito referendario del 1993 viene affidato all’introduzione di un premio di maggioranza, basterebbe leggere la sentenza della Corte Costituzionale numero 1/2014 con la quale, dichiarando l’illegittimità costituzionale del “Porcellum”, vengono indicati quali requisiti: l’esistenza d’una ragionevole “soglia”, senza la quale il premio non può essere ottenuto e la necessità che l’elezione dei parlamentari quali rappresentanti del popolo, scaturisca da un rapporto diretto tra gli stessi ed i loro elettori.
Orbene: per quanto concerne l’introduzione della “soglia” necessaria al fine di conseguire il premio di maggioranza, dall’Italicum viene certamente fornita una congrua soluzione (la “soglia” del 40% infatti, è certamente adeguata ad ottenere quella maggioranza di 340 parlamentari che, garantendo la governabilità del paese, equivale al 56% dei componenti della Camera).
Diversa osservazione va fatta invece, per quanto concerne il requisito del diretto rapporto tra eletto ed elettore.
Per questo aspetto, considerato che nei singoli collegi, comprendenti sei o sette seggi ciascuno, appare possibile l’elezione di più di un “capolista bloccato”, non va ignorata la possibilità che un notevole numero di rappresentanti del popolo, finisca per essere fatto di “nominati”.
Si tratterebbe tuttavia d’un difetto che deve essere apprezzato e valutato allorchè, compiuta la riforma costituzionale – dalla quale un simile aspetto, inserito in un sistema monocamerale, emergerebbe con ancor più forte evidenza – rimane aperta la via più corretta, che è quella del ricorso alla Corte Costituzionale (che peraltro, è già investita della questione in via “anticipata”).
Come si vede, sono i “buoi” che devono stare avanti al “carro”.
I sostenitori della posizione opposta, pur nel rispetto di ogni libera opinione, rischiano di apparire come coloro i quali, per difendere posizioni di potere, si spingono al ricatto delle speranze di rinnovamento del Paese!
Andrea Scuderi

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Brevi riflessioni a favore del SI al referendum

Published On: 12 Agosto 2016

I  contenuti della riforma costituzionale – segnalo in particolare gli articoli 55 sul bicameralismo “differenziato”, 57 sul Senato “delle Autonomie”, 70 sull’esercizio “collettivo” delle competenze legislative, 72 sulla semplificazione del procedimento legislativo mediante il “voto a data certa”, 75 sul superamento del “quorum strutturale” del 50% nei referendum, 77 sui “paletti” posti al governo nella decretazione d’urgenza, 117 sull’eliminazione della competenza “concorrente” tra Stato e Regioni, 119 sull’abolizione delle province – sono complessivamente positivi e vanno approvati.
A ben vedere, prendendo le mosse dalle criticità di cui ci si lamenta da anni e anni – lentezze e farragini legislative, conflitti tra Stato e Regioni, eccessi nella decretazione d’urgenza, sovrapposizioni di competenze amministrative, ma soprattutto contrasti e lotte di potere politico all’esterno ed all’interno di malferme maggioranze che paralizzano la democrazia trasformandola in “vetocrazia” – si pongono finalmente alcune premesse per il loro superamento (anche se c’è sempre qualcuno che, più o meno strumentalmente, dirà che si sarebbe potuto fare meglio, senza peraltro dire come!).
Il “SI” va perciò espresso in modo convinto ed abbandonando quelle riserve che si fondano sul contenuto dell’Italicum.
A tal proposito, non va ignorato il carattere di “sovraordinazione” e “stabilità” delle norme costituzionali rispetto alle leggi ordinarie, ivi comprese quelle elettorali.
Sul punto – sul rapporto cioè tra Costituzione e legge elettorale – occorre un fondamentale chiarimento: la norma costituzionale invero, precede, prevale e condiziona quella elettorale (non viceversa).
Sicché, solo dopo aver ridefinito il quadro dei principi costituzionali, si potrà verificare se l’Italicum rimanga o meno compatibile con gli stessi.
E’ perciò viziata l’impostazione di chi – ignorando una precisa gerarchia del sistema costituzionale rispetto a quello legislativo ordinario – solleva dubbi sulla riforma costituzionale, fondandosi su obiezioni tratte invece dalla legge elettorale.
Qui infatti, la cronologia non governa: buoi sono i principi costituzionali, mentre la legge elettorale è il carro!
Se comunque, fermo restando l’ordine gerarchico di cui si diceva prima, volessimo guardare al contenuto dell’Italicum in rapporto al nuovo quadro costituzionale, l’obiezione fondamentale – quella cioè secondo cui il criterio maggioritario previsto dalla legge elettorale finirebbe per consegnare ad una maggioranza politica, assieme al potere legislativo, anche quello di nomina di organi costituzionali di garanzia quali il Presidente della Repubblica e la maggioranza dei Giudici della Consulta – a ben vedere non regge fino in fondo.
Quanto al principio maggioritario, ricordiamoci che il 18 aprile 1993 – approvando con larghissima maggioranza il referendum abrogativo della legge elettorale per il Senato (quanto alla Camera, il metodo abrogativo rendeva inammissibile il quesito) – emerse chiarissima una volontà popolare favorevole!
Già allora ci eravamo accorti – e “mani pulite” lo aveva certificato – che dal proporzionalismo derivava la paralisi della democrazia, soffocata da intrecci illeciti di potere.
La 276 del 1993 o “Mattarellum” a quel punto – seppure Pannella gridò al “referendum tradito” – fu allora un onorevole compromesso, se non fosse venuto a sconvolgere il quadro degli equilibri costituzionali il “Porcellum” del 2005.
In questo quadro e per un più immediato aspetto, non convince come si diceva prima la tesi secondo cui alla maggioranza promossa col “premio” verrebbe consegnato un potere decisivo nella nomina degli organi di garanzia (ed in particolare, del Presidente della Repubblica e dei giudici della Corte Costituzionale).
L’articolo 83 della riforma costituzionale infatti, rafforzando le garanzie relative ad un’elezione condivisa del Presidente della Repubblica, rende necessaria una maggioranza qualificata dei due terzi di tutti i parlamentari sino al terzo scrutinio e dei tre quinti dal quarto al sesto scrutinio (mentre, dal settimo scrutinio in poi, la maggioranza dei tre quinti, diviene semplice e viene limitata solamente ai parlamentari votanti).
Orbene – al di là della considerazione che tutte le valutazioni numeriche assumono connotazioni profondamente diverse in relazione alla variabile composizione del Senato (che costituirà un corpo elettorale assolutamente distinto, rispetto a quello formatosi attraverso l’Italicum) – la maggioranza parlamentare ottenuta col premio alla Camera, raggiungendo i 340 membri, non attinge comunque a quel limite dei tre quinti, che è pari a 378 membri.
La conseguenza è che, laddove le minoranze garantiscano responsabilmente una loro completa presenza, la maggioranza “premiata” dovrebbe necessariamente raggiungere un accordo su personalità che garantiscano equilibrio ed imparzialità.
Il che riflette quella nomina di cinque giudici della Corte Costituzionale che, essendo affidata al Presidente della Repubblica, dovrà riflettere i medesimi requisiti di equilibrio ed imparzialità di cui lo stesso è investito.
Sicché, come ben si vede, non v’è alcuna profonda alterazione nel quadro delle elezioni, delle nomine e delle funzioni degli organi di garanzia: tutto rimane affidato, anche su questo terreno, a quella corretta dialettica e capacità di mediazione politica, che caratterizza ogni sistema democratico.
Se poi ci si volesse concentrare sui requisiti fondamentali che possono rendere costituzionalmente legittimo un sistema elettorale nel quale il rispetto del criterio maggioritario voluto dall’esito referendario del 1993 viene affidato all’introduzione di un premio di maggioranza, basterebbe leggere la sentenza della Corte Costituzionale numero 1/2014 con la quale, dichiarando l’illegittimità costituzionale del “Porcellum”, vengono indicati quali requisiti: l’esistenza d’una ragionevole “soglia”, senza la quale il premio non può essere ottenuto e la necessità che l’elezione dei parlamentari quali rappresentanti del popolo, scaturisca da un rapporto diretto tra gli stessi ed i loro elettori.
Orbene: per quanto concerne l’introduzione della “soglia” necessaria al fine di conseguire il premio di maggioranza, dall’Italicum viene certamente fornita una congrua soluzione (la “soglia” del 40% infatti, è certamente adeguata ad ottenere quella maggioranza di 340 parlamentari che, garantendo la governabilità del paese, equivale al 56% dei componenti della Camera).
Diversa osservazione va fatta invece, per quanto concerne il requisito del diretto rapporto tra eletto ed elettore.
Per questo aspetto, considerato che nei singoli collegi, comprendenti sei o sette seggi ciascuno, appare possibile l’elezione di più di un “capolista bloccato”, non va ignorata la possibilità che un notevole numero di rappresentanti del popolo, finisca per essere fatto di “nominati”.
Si tratterebbe tuttavia d’un difetto che deve essere apprezzato e valutato allorchè, compiuta la riforma costituzionale – dalla quale un simile aspetto, inserito in un sistema monocamerale, emergerebbe con ancor più forte evidenza – rimane aperta la via più corretta, che è quella del ricorso alla Corte Costituzionale (che peraltro, è già investita della questione in via “anticipata”).
Come si vede, sono i “buoi” che devono stare avanti al “carro”.
I sostenitori della posizione opposta, pur nel rispetto di ogni libera opinione, rischiano di apparire come coloro i quali, per difendere posizioni di potere, si spingono al ricatto delle speranze di rinnovamento del Paese!
Andrea Scuderi

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