Chi è responsabile del deterioramento dell’immobile locato?
La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 17 maggio 2022 numero 15839, si è pronunciata sulla responsabilità del conduttore di un immobile rispetto ai danni da deterioramento subiti dal bene durante la locazione, ritenendo che un uso conforme del bene non esime dall’obbligo di dover restituire il bene nello stato in cui è stato originariamente consegnato, ove ciò sia stato previsto nel contratto.
In particolare, la Corte ha ritenuto legittime le eccezioni sollevate dal locatore, riconoscendo che in seno al contratto di locazione fosse stato derogato l’articolo 1590 del codice civile.
La vicenda
Nella fattispecie esaminata dalla Corte, adita per l’annullamento della sentenza pronunciata in secondo grado dalla Corte d’Appello di Roma, due aziende avevano stipulato un contratto di locazione per una porzione di un capannone sito in Frosinone.
Dopo soli due anni dalla stipula, l’azienda conduttrice ha esercitato il suo diritto di recesso ma la locatrice, adducendo la sussistenza di “danni cagionati dalla conduttrice al capannone”, ha rifiutato la riconsegna e continuato a fatturare i canoni.
Sulla scorta di tali canoni non pagati, la locatrice ha ottenuto molteplici decreti ingiuntivi, tutti prontamente opposti.
Il Tribunale di Frosinone, revocati i decreti, ha dichiarato risolto il contratto per intervenuto recesso, dichiarando illegittimo il rifiuto alla riconsegna opposto dalla locatrice, effettuando parziale compensazione tra i canoni non pagati e i danni occorsi al capannone, condannando la locatrice per il residuo.
La Corte d’Appello di Roma, interpellata da entrambi i protagonisti della vicenda, ha rigettato i gravami.
I motivi e gli argomenti dedotti nel ricorso principale
La ricorrente principale, con un unico motivo di ricorso, ha chiesto alla Corte di Cassazione di ribaltare il risultato delle precedenti sentenze, sostenendo la violazione dell’articolo 1590 del codice civile, in relazione all’articolo 360, comma 1 n. 3, c.p.c..
Secondo la locatrice infatti, il Collegio avrebbe dovuto limitarsi a valutare se i danni accertati in corso di giudizio (prima con ATP e poi con CTU) derivassero dalla mancata esecuzione delle opere di piccola manutenzione o, invece, dal mancato compimento di opere di manutenzione straordinaria.
E infatti, secondo il prevalente indirizzo della giurisprudenza (viene richiamata sul punto la sentenza di Cassazione numero 12977/2013), solo nel primo caso il rifiuto alla riconsegna sarebbe illegittimo, mentre nel secondo troverebbe applicazione l’articolo 1590 del codice civile, il cui comma 1 dispone che “il conduttore deve restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui l’ha ricevuta, in conformità della descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto”.
Tale motivo tuttavia, è stato ritenuto inammissibile dalla Suprema Corte, poiché – invece di identificare una violazione o falsa applicazione dell’articolo 1590 c.c. – ha tentato di perseguire un “vero e proprio terzo grado di merito in ordine alle condizioni in cui veniva riconsegnato l’immobile oggetto del contratto locatizio”.
I motivi e gli argomenti dedotti nel ricorso incidentale
Il conduttore invece, quale ricorrente incidentale, ha con un primo motivo denunciato la violazione dell’articolo 115 del codice di procedura civile con riferimento all’interpretazione data dal Giudice d’Appello alle risultanze istruttorie, in particolare alla circostanza – accertata con CTU – che i danni all’immobile derivassero dall’uso improprio di mezzi pesanti e non dal normale uso fatto dalla locatrice.
Anche tale motivo tuttavia, è stato ritenuto radicalmente inammissibile, poiché finalizzato anch’esso ad una ricostruzione alternativa degli esiti istruttori che esulerebbe dalle competenza della Suprema Corte, con palese travalicamento del perimetro imposto dall’articolo 360 c.p.c. ai motivi di ricorso.
Il secondo motivo di ricorso incidentale, ha invece denunciato la violazione degli articoli 1590, 1362 e 1363 del codice civile, con riferimento alle clausole 13 e 17 del contratto di locazione, e in particolare la conduttrice ha sostenuto che, proprio in ottemperanza all’articolo 1590 del codice civile, aveva utilizzato il bene in conformità al contratto e che, dunque, i danni occorsi all’immobile fossero da ricondurre esclusivamente al normale utilizzo di un capannone industriale.
Anche tale terzo motivo di ricorso, è risultato inammissibile sia per mancata identificazione del cd. error in jure che avrebbe commesso il Giudice d’Appello, che per aver introdotto argomenti strettamente di merito, ancora una volta non rilevabili in Cassazione.
La Corte inoltre, seppur ritenendo inammissibile tale motivo, ha valutato di addentrarsi comunque nel merito della questione, confutando le eccezioni sollevate dalla conduttrice, condividendo invece le affermazioni di entrambi i Giudici di merito, secondo cui, seppur sia da ritenere vero che l’uso dei mezzi pesanti (nella specie carrelli elevatori) dovesse ritenersi conforme alla destinazione prevista nel contratto per il capannone, ciò non esclude l’applicazione delle clausole contenute nel contratto relative all’obbligo di ripristino integrale al momento della riconsegna.
Ciò che qui rileva è che, se in via generale l’articolo 1590 del codice civile fa salvo “il deterioramento o il consumo risultante dall’uso della cosa in conformità del contratto” al momento della riconsegna, ciò può essere escluso dalle parti al momento della stipula del contratto.
E questa circostanza rende irrilevante la tipologia e la genesi dei danni subiti dall’immobile, poiché il conduttore sarebbe comunque obbligato a restituire il bene nelle stesse condizioni in cui lo ha ricevuto al momento della stipula.
La decisione della Corte
La Corte di Cassazione ha pertanto integralmente rigettato sia il ricorso principale che quello incidentale, compensando le spese processuali per reciproca soccombenza, condannando però entrambe le parti al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso ex art. 13 del d.P.R. n. 115/2002.