Decadenza dell’autorizzazione commerciale per irregolarità urbanistico/edilizia dei locali

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 7 novembre 2022 numero 9786, conferma l’illegittimità del provvedimento comunale di decadenza dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività commerciale (di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) derivata da una irregolarità urbanistico/edilizia dell’immobile.

Il caso concreto e le posizioni contrapposte anche in appello

Nel caso di specie, il Comune di Roma disponeva la decadenza dell’autorizzazione amministrativa di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sul presupposto che il locale in cui si svolgeva la relativa attività commerciale non era in regola dal punto di vista edilizio/urbanistico, essendo catastalmente diviso in tre unità indipendenti, ma urbanisticamente risultante come un unico locale (con variazioni, peraltro, prive dei relativi titoli edilizi) e posto che alcune delle unità immobiliari appartenevano ad unità edilizie diverse e per le quali non era consentito l’accorpamento (invece abusivamente realizzato).

La Società ricorrente, rappresentando come unico il locale in questione – ritenuto che l’abusivismo non integrasse una causa di decadenza dell’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande (posti ulteriori profili di illegittimità formale anche per la sproporzione della sanzione comminata rispetto all’infrazione rilevata) – impugnava la decadenza innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, anche in relazione a precedente procedimento in sanatoria pendente sin dal lontano 2004.

Il Giudice di prime cure respingeva il ricorso, ritenendo non solo che l’esistenza degli abusi edilizi in specie contestati incidevano sulla destinazione urbanistica (anche d’uso) dei locali (così determinando un significativo mutamento del territorio rispetto al contesto preesistente), ma avendo anche considerato che la decadenza gravata era atto vincolato dell’Amministrazione, dovendo comunque l’attività commerciale subordinarsi al requisito della conformità della stessa alle norme, prescrizioni e autorizzazioni edilizie/urbanistiche.

Introdotto l’ appello, la Società ricorrente lamentava il mancato adeguato rilievo conferito alla sanatoria pendente ma soprattutto che l’Amministrazione nell’esercizio dei relativi poteri di revoca aveva omesso di effettuare una comparazione degli interessi in conflitto, ignorando il gravissimo pregiudizio derivato dal provvedimento di decadenza dell’autorizzazione all’esercizio di attività commerciale, in rapporto al contrapposto interesse al mero ripristino della legalità violata.

La decisione del Giudice di ultima istanza

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso d’appello proposto dal privato, confermando la legittimità del provvedimento di decadenza originariamente gravato, precisando quanto segue.

Sulla relazione fra autorizzazione commerciale e conformità urbanistico/edilizia

In particolare, il Consiglio di Stato rifacendosi all’orientamento della propria giurisprudenza (anche della presente Sezione decidente) che contribuisce a consolidare, evidenzia che “…nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico/edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr. Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011, n.5537; Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590)…”, assumendo che “…Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è, pertanto, ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico/edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi, che accertano l’abusività delle opere realizzate e applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015,n. 4880)…” e, infine, sottolineando “…L’affermazione che la regolarità urbanistico/edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale nel suo intero, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico/edilizia è stata riferita anche alla disciplina del commercio di cui alla legge n. 426 del 1971 (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2002, n. 5656, e 28 giugno 2000, n. 3639)…”.

Peraltro, allo scopo di ribadire tale condizionamento (del presupposto della regolarità urbanistico/edilizia dei locali rispetto alla possibilità di ivi esercitarvi regolarmente attività commerciale), la stessa Sezione decidente dà atto di un proprio risalente e opposto orientamento, “…che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di annullamento o di trasferimento di esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura e implicasse perciò criteri valutativi differenti (Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1997, n. 380)…”, osservando, però, che il mutamento giurisprudenziale ad oggi intervenuto “…si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio (Cons. Stato, sez. V,29 maggio 2018, n. 3212)…”, così qualificando come legittimo l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Amministrazione in causa, data l’irregolarità urbanistico/edilizia dei locali in cui la ricorrente svolgeva attività di somministrazione di bevande e alimenti.

Sul punto, con riferimento alla fattispecie, il Collegio osserva che “…La regolarità urbanistica dell’opera va valutata per l’intero e per l’intero condiziona l’esercizio dell’attività commerciale, anche perché, diversamente opinando, ne scaturirebbe l’elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi…” (posto che nel caso specifico le rilevate difformità non possono essere riferite alla singola unità abitativa, delle tre che compongono l’esercizio commerciale, ma all’intero complesso accorpato in violazione delle disposizioni urbanistiche della zona). Con riferimento alla fattispecie concreta ancora, l’attività di ristorazione era svolta in diversi locali accorpati successivamente e in difetto di titoli autorizzativi; “…a nulla rilevando che in alcuni di essi sarebbe in ipotesi consentito svolgere attività di somministrazione di alimenti e bevande, atteso che la conformità urbanistica ed edilizia va valutata nel complesso della struttura ove si svolge l’attività…”.

Sulla parziale domanda di condono

Sotto tale aspetto, il Giudice d’Appello conferma la pronuncia di primo grado, ritenendo in specie irrilevante la circostanza che fosse stata presentata una parziale domanda di condono, atteso peraltro che la stessa Amministrazione comunale, con deliberazione del proprio organo consiliare, per quella zona di competenza, avesse espressamente previsto che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande “…debba essere subordinata al preciso requisito della conformità del locale alle norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e di destinazione d’uso…”.

La Sezione decidente ha difatti osservato che la Deliberazione di Consiglio comunale “…sanziona con la decadenza la difformità del locale alle norme urbanistiche, con l’unica eccezione della presenza di un condono edilizio, purché non relativa ad immobili che ricadono nel territorio del Municipio I…”. Tuttavia, nel caso a mani “…il provvedimento di decadenza risulta vincolato dal fatto che i locali ricadono proprio nel territorio del Municipio I, con la conseguenza che l’eccezione prevista dall’art. 25, comma 2, lett. c) della Deliberazione, ossia la presentazione di istanza di condono, non può trovare applicazione…”.

Vincolatività dell’esercizio del potere sanzionatorio di decadenza dell’autorizzazione commerciale

Infine, la Sezione decidente del Consiglio di Stato, escludendo qualsivoglia discrezionalità dell’ente comunale sulla decadenza di cui si discute, conferma che “…Trattandosi di un provvedimento vincolato, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, non è invocabile neppure la valutazione alla stregua dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, atteso che quando l’amministrazione adotta un provvedimento vincolato non ha nessun margine di apprezzamento discrezionale, senza che sia possibile una comparazione tra interessi pubblici e interessi privati…”.

In conclusione

Il Collegio, respinge l’appello, contribuendo a confermare l’orientamento della giurisprudenza che si è descritto (tenendo conto altresì di alcune specificità relative alla Città Storica di Roma) volto a valorizzare quali prevalenti sulle attività economiche gli interessi pubblici inerenti al corretto uso del territorio.

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Decadenza dell’autorizzazione commerciale per irregolarità urbanistico/edilizia dei locali

Published On: 14 Novembre 2022

La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza del 7 novembre 2022 numero 9786, conferma l’illegittimità del provvedimento comunale di decadenza dell’autorizzazione amministrativa per l’esercizio di attività commerciale (di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande) derivata da una irregolarità urbanistico/edilizia dell’immobile.

Il caso concreto e le posizioni contrapposte anche in appello

Nel caso di specie, il Comune di Roma disponeva la decadenza dell’autorizzazione amministrativa di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, sul presupposto che il locale in cui si svolgeva la relativa attività commerciale non era in regola dal punto di vista edilizio/urbanistico, essendo catastalmente diviso in tre unità indipendenti, ma urbanisticamente risultante come un unico locale (con variazioni, peraltro, prive dei relativi titoli edilizi) e posto che alcune delle unità immobiliari appartenevano ad unità edilizie diverse e per le quali non era consentito l’accorpamento (invece abusivamente realizzato).

La Società ricorrente, rappresentando come unico il locale in questione – ritenuto che l’abusivismo non integrasse una causa di decadenza dell’autorizzazione per la somministrazione di alimenti e bevande (posti ulteriori profili di illegittimità formale anche per la sproporzione della sanzione comminata rispetto all’infrazione rilevata) – impugnava la decadenza innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, anche in relazione a precedente procedimento in sanatoria pendente sin dal lontano 2004.

Il Giudice di prime cure respingeva il ricorso, ritenendo non solo che l’esistenza degli abusi edilizi in specie contestati incidevano sulla destinazione urbanistica (anche d’uso) dei locali (così determinando un significativo mutamento del territorio rispetto al contesto preesistente), ma avendo anche considerato che la decadenza gravata era atto vincolato dell’Amministrazione, dovendo comunque l’attività commerciale subordinarsi al requisito della conformità della stessa alle norme, prescrizioni e autorizzazioni edilizie/urbanistiche.

Introdotto l’ appello, la Società ricorrente lamentava il mancato adeguato rilievo conferito alla sanatoria pendente ma soprattutto che l’Amministrazione nell’esercizio dei relativi poteri di revoca aveva omesso di effettuare una comparazione degli interessi in conflitto, ignorando il gravissimo pregiudizio derivato dal provvedimento di decadenza dell’autorizzazione all’esercizio di attività commerciale, in rapporto al contrapposto interesse al mero ripristino della legalità violata.

La decisione del Giudice di ultima istanza

Il Consiglio di Stato respinge il ricorso d’appello proposto dal privato, confermando la legittimità del provvedimento di decadenza originariamente gravato, precisando quanto segue.

Sulla relazione fra autorizzazione commerciale e conformità urbanistico/edilizia

In particolare, il Consiglio di Stato rifacendosi all’orientamento della propria giurisprudenza (anche della presente Sezione decidente) che contribuisce a consolidare, evidenzia che “…nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico/edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo, ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (cfr. Cons. Stato, IV, 14 ottobre 2011, n.5537; Cons. Stato, sez. V, 8 maggio 2012, n. 5590)…”, assumendo che “…Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è, pertanto, ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico/edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi, che accertano l’abusività delle opere realizzate e applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale (Cons. Stato, VI, 23 ottobre 2015,n. 4880)…” e, infine, sottolineando “…L’affermazione che la regolarità urbanistico/edilizia dell’opera condiziona l’esercizio dell’attività commerciale nel suo intero, con la conseguente inibizione, per l’autorità amministrativa, di assentire l’attività nel caso di non conformità della stessa alla disciplina urbanistico/edilizia è stata riferita anche alla disciplina del commercio di cui alla legge n. 426 del 1971 (Cons. Stato, sez. V, 17 ottobre 2002, n. 5656, e 28 giugno 2000, n. 3639)…”.

Peraltro, allo scopo di ribadire tale condizionamento (del presupposto della regolarità urbanistico/edilizia dei locali rispetto alla possibilità di ivi esercitarvi regolarmente attività commerciale), la stessa Sezione decidente dà atto di un proprio risalente e opposto orientamento, “…che affermava l’illegittimità del diniego di autorizzazione commerciale (o di annullamento o di trasferimento di esercizio) per ragioni di ordine urbanistico, sul presupposto che l’interesse pubblico nella materia del commercio fosse di diversa natura e implicasse perciò criteri valutativi differenti (Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1997, n. 380)…”, osservando, però, che il mutamento giurisprudenziale ad oggi intervenuto “…si fonda su un criterio di ragionevolezza e sul principio di buona amministrazione per cui non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio (Cons. Stato, sez. V,29 maggio 2018, n. 3212)…”, così qualificando come legittimo l’esercizio del potere sanzionatorio dell’Amministrazione in causa, data l’irregolarità urbanistico/edilizia dei locali in cui la ricorrente svolgeva attività di somministrazione di bevande e alimenti.

Sul punto, con riferimento alla fattispecie, il Collegio osserva che “…La regolarità urbanistica dell’opera va valutata per l’intero e per l’intero condiziona l’esercizio dell’attività commerciale, anche perché, diversamente opinando, ne scaturirebbe l’elusione delle sanzioni previste per gli illeciti edilizi…” (posto che nel caso specifico le rilevate difformità non possono essere riferite alla singola unità abitativa, delle tre che compongono l’esercizio commerciale, ma all’intero complesso accorpato in violazione delle disposizioni urbanistiche della zona). Con riferimento alla fattispecie concreta ancora, l’attività di ristorazione era svolta in diversi locali accorpati successivamente e in difetto di titoli autorizzativi; “…a nulla rilevando che in alcuni di essi sarebbe in ipotesi consentito svolgere attività di somministrazione di alimenti e bevande, atteso che la conformità urbanistica ed edilizia va valutata nel complesso della struttura ove si svolge l’attività…”.

Sulla parziale domanda di condono

Sotto tale aspetto, il Giudice d’Appello conferma la pronuncia di primo grado, ritenendo in specie irrilevante la circostanza che fosse stata presentata una parziale domanda di condono, atteso peraltro che la stessa Amministrazione comunale, con deliberazione del proprio organo consiliare, per quella zona di competenza, avesse espressamente previsto che l’attività di somministrazione di alimenti e bevande “…debba essere subordinata al preciso requisito della conformità del locale alle norme, prescrizioni e autorizzazioni in materia edilizia, urbanistica e di destinazione d’uso…”.

La Sezione decidente ha difatti osservato che la Deliberazione di Consiglio comunale “…sanziona con la decadenza la difformità del locale alle norme urbanistiche, con l’unica eccezione della presenza di un condono edilizio, purché non relativa ad immobili che ricadono nel territorio del Municipio I…”. Tuttavia, nel caso a mani “…il provvedimento di decadenza risulta vincolato dal fatto che i locali ricadono proprio nel territorio del Municipio I, con la conseguenza che l’eccezione prevista dall’art. 25, comma 2, lett. c) della Deliberazione, ossia la presentazione di istanza di condono, non può trovare applicazione…”.

Vincolatività dell’esercizio del potere sanzionatorio di decadenza dell’autorizzazione commerciale

Infine, la Sezione decidente del Consiglio di Stato, escludendo qualsivoglia discrezionalità dell’ente comunale sulla decadenza di cui si discute, conferma che “…Trattandosi di un provvedimento vincolato, contrariamente a quanto sostiene l’appellante, non è invocabile neppure la valutazione alla stregua dei princìpi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa, atteso che quando l’amministrazione adotta un provvedimento vincolato non ha nessun margine di apprezzamento discrezionale, senza che sia possibile una comparazione tra interessi pubblici e interessi privati…”.

In conclusione

Il Collegio, respinge l’appello, contribuendo a confermare l’orientamento della giurisprudenza che si è descritto (tenendo conto altresì di alcune specificità relative alla Città Storica di Roma) volto a valorizzare quali prevalenti sulle attività economiche gli interessi pubblici inerenti al corretto uso del territorio.

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