Diritti elettorali attivi e passivi: fondamento e caratteristiche
Il diritto di voto — lo ricorda l’espressa statuizione della Corte costituzionale nella sentenza numero 1/2014 — “costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare secondo l’articolo 1 della Costituzione” (“La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”).
Attraverso il diritto di voto il popolo esercita la sovranità in modo indiretto, eleggendo i suoi rappresentanti alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica (che sono organi fondamentali del nostro sistema di governo parlamentare).
L’elettorato attivo
L’insieme di individui che abbiano cittadinanza italiana e diritto di elettorato attivo costituisce il corpo elettorale.
Del corpo elettorale fanno parte anche i cittadini italiani residenti all’estero.
Per “elettorato attivo” si intende quindi la capacità d’ogni cittadino elettore, di esprimere la propria volontà politica attraverso il voto.
Può votare:
i) il cittadino italiano ii) che abbia la maggiore età.
La titolarità del voto è disciplinata dall’articolo 48 della Costituzione, che ne individua le caratteristiche specificando, al comma 1, che “…Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età…”.
Per poter essere “elettori”, oltre la cittadinanza italiana occorre quindi che i cittadini abbiano la maggiore età, che oggi costituisce condizione per l’esercizio dell’elettorato attivo oltreché per la Camera dei Deputati, anche per il Senato della Repubblica, a seguito delle modifiche introdotte all’articolo 58 primo comma della Costituzione dall’articolo 1 della legge costituzionale 18 ottobre 2021 numero 1 (che ha soppresso il precedente limite minimo di 25 anni).
Con la conseguenza che per la prima volta in occasione delle prossime elezioni politiche del 25 settembre 2022 potranno votare anche per il Senato della Repubblica tutti gli elettori che, alla data del 25 settembre, avranno raggiunto l’età di 18 anni.
L’articolo 48 stabilisce per converso, oltre ai precedenti requisiti positivi, alcune condizioni che incidono in negativo e non consentono di poter esercitare il diritto di elettorato attivo. Il diritto di elettorato attivo può essere limitato soltanto per incapacità civile o per effetto di una sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge (Costituzione, art. 48, quarto comma).
Oggi tuttavia, numerose limitazioni precedentemente vigenti, tra cui le ipotesi di incapacità civile per provvedimenti di interdizioni e inabilitazione di individui affetti da infermità di mente, sordomutismo ecc…, di fallimento degli imprenditori civili sono state progressivamente abrogate, poiché tali limitazioni incidono sul principio democratico.
La legge elenca quindi in modo tassativamente le cause di perdita dell’elettorato attivo (si veda il testo vigente dell’articolo 2 del Decreto del Presidente della Repubblica numero 223 del 1967).
Nel dettaglio, non può votare:
- chi è sottoposto, per effetto di provvedimenti definitivi: 1) a misure di prevenzione personali, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi; 2) a misure di sicurezza personali detentive oppure alla libertà vigilata oppure al divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province, a norma dell’art. 215 del codice penale, finché durano gli effetti dei provvedimenti stessi;
- il condannato a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici;
- chi è sottoposto all’interdizione temporanea dai pubblici uffici, per tutto il tempo della sua durata.
La sospensione condizionale della pena non ha effetto ai fini della privazione del diritto di elettorato attivo.
Caratteristiche del voto
L’articolo 48 della Costituzione, dopo aver affermato che “…Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne…” afferma che “…Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico…”.
Il testo individua anzitutto tra le caratteristiche del voto quella della universalità: la nostra Carta Costituzionale rende concreto il principio di solidarietà e di eguaglianza formale e sostanziale di cui agli articoli 2 e 3 della Costituzione proprio attraverso la garanzia del diritto di voto a “…tutti i cittadini…” prevedendo l’estensione del suffragio e del diritto di voto senza differenze di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali.
Le caratteristiche del voto che si ricavano da questa disposizione sono associate in due coppie di garanzie fondamentali: la personalità-uguaglianza e la libertà-segretezza del voto.
Quanto alla garanzia personalità/uguaglianza: il voto, essendo personale, deve essere espresso solo da chi è titolare del relativo diritto.
Il principio vale non solo nel momento in cui viene identificato il votante ma anche al momento dell’espressione del voto. Tali regole – fatte salve le giustificate eccezioni di delega del voto (es. casi di disabilità fisica per le quali è possibile farsi assistere nella cabina elettorale da un elettore familiare o da altro accompagnatore) – sono poste per evitare quelle ipotesi di c.d. “mercificazione del voto” che evidentemente viola il principio di uguaglianza consentendo ad alcuni soggetti di esercitare in via di fatto voti plurimi.
Ciò spiega la ragione per la quale, dovendosi garantire la personalità del voto, non è consentito l’e-vote a distanza o l’home vote o voto da casa, che impedirebbe di identificare con certezza al momento dell’esercizio del voto che lo stesso sia espresso proprio da chi ne ha diritto.
Per quanto concerne la garanzia libertà-segretezza, l’unico modo in cui può assicurarsi la libertà formale del voto – ovvero la facoltà di esprimere il proprio voto a chi si ritiene e senza costringimenti – è quello di farlo esprimere in segreto.
In tal senso – proprio per rafforzare la tutela della segretezza del voto – vanno interpretate quelle regole che pongono il divieto di accedere alla cabina elettorale con cellulare, dispositivi mobili e macchine fotografiche.
In definitiva, le garanzie costituzionali del diritto di voto di cui all’articolo 48 che sono state poste come prevede l’articolo 3 della Costituzione, a difesa della libertà e genuinità del diritto di voto, hanno l’obiettivo di eliminare discriminazioni sociali ed economiche, così da consentire al singolo di esprimere la propria personalità tramite la partecipazione alla vita politica del paese e della propria comunità di appartenenza.
Pertanto è pienamente comprensibile la previsione per cui l’esercizio del diritto di voto integra un diritto ma anche un dovere civico, tanto che il disimpegno elettorale possa essere considerato contrario al ruolo sociale e civile di ogni cittadino, poiché non votare significa delegare ad altri le proprie scelte.
L’elettorato passivo
L’espressione “elettorato passivo” si riferisce alla capacità di presentare la propria candidatura e accedere dunque alle “cariche elettive” all’interno di organi rappresentativi statali, regionali o locali (così da concorrere all’organizzazione politica e alla definizione dell’indirizzo politico di tali organi).
Costituisce un vero e proprio diritto soggettivo, che spetta ad ogni cittadino, ai sensi degli artt. 51 e 2 della nostra Carta Costituzionale, manifestazione del principio di sovranità popolare di cui all’art. 1.
Anche se fondamentale, tale diritto soggettivo può incontrare delle limitazioni: lo stesso articolo 51 della Costituzione, dopo aver precisato che tale diritto è riconosciuto a tutti i cittadini, “dell’uno e dell’altro sesso” e “in condizioni di eguaglianza”, contiene una specifica “riserva di legge”, consentendo al Legislatore (ordinario) di determinare nel dettaglio i “requisiti” necessari per l’accesso a dette cariche elettive (e dunque di individuare i casi nei quali tale diritto può essere appunto limitato).
Le eccezionali limitazioni del diritto di elettorato passivo previste dalla legge possono essere ricondotte a cinque macro-ipotesi: 1) limitazioni determinate dal dato anagrafico; 2) limitazioni determinate dal venir meno dell’elettorato attivo per incapacità civile, indegnità morale e/o sentenze penali irrevocabili; 3) ineleggibilità, determinata dalla sussistenza di particolari e specifiche situazioni ostative all’esercizio del diritto di elettorato passivo (e “rimovibili”, mediante un atto di volontà dell’interessato); 4) incompatibilità, determinata dalla impossibilità materiale o giuridica di ricoprire contemporaneamente più cariche e/o uffici; 5) incandidabilità.
Le limitazioni collegate al dato anagrafico
Una prima limitazione al diritto di elettorato passivo è posta dagli art. 56 e 58 della nostra Costituzione riguardo all’età minima che si deve avere per poter essere eletti, rispettivamente, deputati alla Camera o Senatori.
Tale limite anagrafico è di 25 anni per accedere alla Camera dei deputati (art. 56, comma 3) e di 40 anni per accedere al Senato (art. 58 comma 2).
La seconda categoria di limitazioni: l’inabilità (o incapacità) elettorale passiva determinata dal venir meno dei diritti di elettorato attivo
Una seconda limitazione del diritto di elettorato passivo si correla, in maniera speculare, al venir meno del diritto di elettorato attivo, per effetto delle cause di incapacità civile, indegnità morale e/o di sentenze penali irrevocabili, contemplate dalla legge, per effetto della riserva stabilita all’art. 48, comma 4, della Costituzione, di cui si è parlato in precedenza.
La terza categoria di limitazioni: le cause di ineleggibilità
Si definisce “ineleggibile” colui il quale si trovi a ricoprire già determinate “cariche” o “uffici” e quindi a svolgere “funzioni”, tali da ingenerare una posizione di indebito vantaggio rispetto ad altri candidati ovvero di indiretta pressione sul corpo elettorale e sulle sue libere scelte.
Le cause di ineleggibilità sono dunque previste dalla legge a garanzia del principio di uguaglianza tra i candidati e a tutela della libera manifestazione della volontà degli elettori.
Esse possono peraltro essere rimosse, mediante un atto di volontà del diretto interessato il quale ha la possibilità di rinunziare alla “carica” e/o all’“ufficio” già ricoperto, cessando le relative funzioni entro un certo termine. Per quel che riguarda, nello specifico, le elezioni parlamentari, tale termine è di 180 giorni prima della data di scadenza della legislatura (cfr. art. 7, comma 3, del DPR 361/1957); ovvero di 7 giorni dalla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto di scioglimento delle Camere, ove anticipato di oltre 120 giorni rispetto alla scadenza naturale della legislatura (cfr. art. 7, ultimo comma, del DPR 361/1957).
L’istituto dell’ineleggibilità si traduce, pertanto, in un preesistente e appunto rimovibile “impedimento giuridico” all’elezione e in una causa di invalidità/nullità dell’elezione che sia avvenuta a favore di un soggetto che versava nella condizione di “ineleggibilità”, senza averla tempestivamente rimossa (ciò, che potrà, se del caso, essere dichiarata dall’organo competente, successivamente all’elezione).
Le cause di ineleggibilità a deputato e senatore sono, in massima parte, disciplinate dagli articoli 7 e ss. del D.P.R. 361/1957, recante il “Testo unico delle leggi per la elezione della Camera”, applicabile anche alla elezione del Senato (cfr. art. 5 del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, recante il “Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica”) e riguardano in particolare e fra l’altro: i presidenti delle giunte provinciali; i sindaci dei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti; i prefetti, viceprefetti e funzionari di pubblica sicurezza; i magistrati – esclusi quelli in servizio presso le giurisdizioni superiori – nelle sole “circoscrizioni sottoposte, in tutto o in parte, alla giurisdizione degli uffici ai quali si sono trovati assegnati o presso i quali hanno esercitato le loro funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura” e in ogni caso quelli che “all’atto dell’accettazione della candidatura, non si trovino in aspettativa” (v. anche L. 71/2022, art. 15); nonché numerose categorie di alti funzionari dello Stato, tutte specificatamente indicate dalla legge.
La quarta categoria di limitazioni: le cause di incompatibilità
Un’ulteriore ipotesi di limitazione al diritto elettorale passivo si ha in presenza delle c.d. cause di incompatibilità le quali discendono dall’articolo 97 della nostra Costituzione e in particolare dai principi di imparzialità e buon andamento dell’amministrazione, vietando il cumulo di più cariche in capo allo stesso soggetto (anche al fine di evitare possibili situazioni di “conflitto di interessi”).
Esse, a differenza delle cause di ineleggibilità, non impediscono l’elezione, ma implicano “solo” che l’eletto, ove versi in una causa di incompatibilità prevista dalla legge, debba optare fra la nuova carica elettiva e quella già ricoperta, entro un certo termine. Se l’interessato non effettua tale scelta, la condizione di incompatibilità comporta la decadenza (dalla carica elettiva).
Alcune cause di incompatibilità sono previste già dalla nostra Costituzione (v. gli artt. 65, 84, 104, 122 e 135 della Costituzione che stabiliscono, rispettivamente, l’incompatibilità fra le cariche di deputato e senatore, Presidente della Repubblica e qualsiasi altra carica, tra parlamentare e membro del CSM o di Giunte e consigli regionali, e tra parlamentare e giudice della Corte Costituzionale); altre sono disciplinate dalla legge ordinaria, a fronte della riserva di legge stabilita dall’art. 65, comma 1, della Costituzione (v. fra le tante, e senza pretesa di esaustività: la legge 78/2004 sull’incompatibilità fra parlamentare europeo e l’ufficio di deputato o senatore; la legge 60/1953 e il decreto legislativo 39/2013 che prevedono l’incompatibilità fra parlamentare e determinate cariche di nomina governativa e incarichi amministrativi “di vertice”).
La quinta categoria di limitazioni: le cause di incandidabilità
Un’ultima e ancora differente categoria di limitazioni al diritto elettorale passivo è data dalle c.d. cause di incandidabilità (o di non candidabilità), oggi previste dal Decreto Legislativo 235/2012, recante appunto il “Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto a ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi”, modificato dalla nota “Legge Severino” numero 190/2012.
Le cause di incandidabilità, a differenza delle cause di ineleggibilità, sono assolute e cioè non possono essere rimosse con un atto di volontà dal diretto interessato, nella misura in cui e per l’arco temporale per il quale dette cause operano.
L’accertamento della loro esistenza è svolto in occasione della presentazione delle liste dei candidati a cura dell’Ufficio centrale circoscrizionale, per la Camera, dall’Ufficio elettorale regionale, per il Senato, e dall’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero, sulla base delle dichiarazioni presentate dai diretti interessati. Laddove la causa di incandidabilità sopravvenga o comunque sia accertata nel corso del mandato elettivo, la Camera di appartenenza – cui le sentenze definitive di condanna emesse nei confronti di deputati o senatori in carica, sono immediatamente comunicate, a cura del pubblico ministero – delibera ai sensi dell’art. 66 della Costituzione.
Il Testo Unico prevede in particolare che non possa essere candidato alla Camera, al Senato e al Parlamento europeo, e che comunque non possa ricoprire la carica di deputato, senatore e parlamentare europeo, colui il quale sia stato condannato, in via definitiva, ad una pena superiore a 2 anni di reclusione, o abbia patteggiato una pena per i delitti contemplati dallo stesso Testo Unico e riconducibili a tre “gruppi” o “categorie”.
La prima categoria riguarda i delitti previsti dall’art. 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale e dalle ulteriori disposizioni di legge ivi richiamate, variamente relativi a reati di stampo mafioso, compreso lo scambio elettorale politico-mafioso, nonché il traffico illecito di rifiuti e i reati con finalità di terrorismo (v. art. 1, comma 1, lettera a)).
La seconda categoria è costituita, per effetto di quanto previsto dall’art. 1, comma 1, lettera b) del citato Testo Unico, dai delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, previsti dal Libro II, Titolo II, Capo I del codice penale, agli artt. da 314 a 335-bis (e quindi, fra gli altri e in particolare, quelli di Peculato; Malversazione di erogazioni pubbliche; Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato; Concussione; Corruzione per l’esercizio della funzione; Corruzione; Abuso d’ufficio; Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione e altri analoghi reati).
La terza categoria riguarda i delitti non colposi per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni, come determinata, ai fini dell’applicazione delle misure cautelari, ai sensi dell’art. 278 del codice di procedura penale (v. art. 1, comma 1, lett. c)).
Ulteriori cause di incandidabilità, sono previste da altre leggi ordinarie e riguardano: a) i sindaci e i presidenti di provincia ritenuti responsabili del dissesto finanziario dell’ente locale, per un periodo di dieci anni (v. art. 248, comma 5 del decreto legislativo 267/2000); b) gli amministratori locali responsabili delle condotte che hanno causato lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazione mafiosa, “in relazione ai due turni elettorali successivi allo scioglimento, qualora la loro incandidabilità sia dichiarata con provvedimento definitivo” (art. 143, comma 11 del decreto legislativo 267/2000).
Articolo a cura degli Avvocati Giorgia Motta e Valentina Magnano S.Lio