di Avvocato Giorgia Motta e Avvocato Andrea Scuderi
L’articolo – muovendo dalla rassegna delle azioni che l’Unione Europea, nell’ambito delle sue competenze, ha avviato per fronteggiare l’impatto della emergenza sanitaria ed aiutare l’economia europea e i suoi cittadini – vuole proporre una riflessione sulla incisività delle misure, con specifico riferimento a quelle immediatamente mobilitate dai fondi strutturali per consentire una rapida risposta alla crisi. Le importanti modifiche introdotte – in nome della flessibilità – dal Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020 che consente di mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di COVID-19, vanno guidate e attentamente monitorate, anche attraverso procedimenti amministrativi semplificati ed accelerati.
La misura e la tempestività degli interventi economici che sul piano europeo si sono succeduti già dalla seconda metà di marzo e sino ad oggi per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria globale sono al centro di un animato dibattito, alimentato dalle recenti celebrazioni della Festa dell’Europa, che ricorda quel 9 maggio del 1950 in cui venne presentata la Dichiarazione Schuman.
Tali interventi hanno
persino costituito il termometro della compattezza politica dell’Unione, su un
confronto spesso non scevro da suggestioni ideologiche che, al di là dei
singoli scetticismi, si è poggiato anche e probabilmente sulle insufficienti
doti di comunicazione delle istituzioni europee che – per loro stessa natura –
non dimostrano grandi abilità nel “parlare” ai propri cittadini europei dei 27
Stati membri.
L’adeguatezza di ciascuna
misura va tuttavia misurata collocandola nello specifico ambito della politica
europea nella quale è iscritta, secondo le norme del Trattato e dei
Regolamenti, ma anche rispetto allo specifico territorio al quale è rivolta,
sostenendone – anche in chiave prospettica – l’immediatezza degli effetti con
strumenti e azioni ulteriori sul piano amministrativo ed anche locale, sul
quale – anche in base al principio di sussidiarietà – si pretendono risposte
tangibili, pur in una situazione di emergenza.
Gli strumenti europei di contrasto concreto al dilagare del virus o al suo contenimento sono invero anzitutto condizionati dall’operare del principio di attribuzione di cui all’articolo 6 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) per effetto del quale l’Unione europea ha solo le competenze che le sono state conferite dai trattati.
In particolare, l’UE disponendo in quest’ambito unicamente di competenze di sostegno e coordinamento, come indicato dall’articolo 168 TFUE, può intervenire nel settore della “tutela e miglioramento della salute umana” solo a supporto di misure nazionali.
Tanto è vero che ciascuno degli Stati membri, nella fase di lockdown, nonché in quella attuale di allentamento delle restrizioni, si è mosso sulla base di decisioni nazionali, benché nel campo dei programmi di ricerca per l’individuazione di vaccini e terapie l’UE pare possa avere un passo unico.
Quanto al sostegno sul fronte dell’emergenza economica, le risposte dell’Unione europea per contrastare la crisi causata dall’epidemia da Covid-19 appaiono in effetti molteplici, laddove il principio di “solidarietà” che fonda tali interventi trova una esplicita base giuridica – soprattutto sul piano economico-sociale – nell’articolo 122 del TFUE che consente “…in uno spirito di solidarietà tra Stati membri…” di concedere assistenza finanziaria agli stati “…in difficoltà o seriamente minacciati da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo…”.
Su tale
impulso avanzano i negoziati sulla raccolta di capitali da erogarsi,
eventualmente anche a fondo perduto, con la ricerca di soluzioni, anche
innovative, che possano permettere ai 27 Paesi membri di non sprofondare in una
spirale recessiva.
Il Consiglio ha quindi già approvato, su proposta della Commissione, l’attivazione della clausola di sospensione del Patto di Stabilità (cioè l’impianto di regole per i Paesi membri sul rispetto dei conti pubblici); la BCE ha annunciato un aumento del programma di acquisto di titoli sui mercati secondari volto ad immettere liquidità nei mercati degli stati membri (e ciò al di là del discusso impatto della “tempestiva” decisione della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio 2020 sull’effetto di tali misure); si sono attivati prestiti da BEI e COSME per quasi 250 miliardi di euro; 100 miliardi di euro contro la disoccupazione saranno disponibili grazie al SURE, la c.d. cassa integrazione europea, quale nuovo strumento europeo di sostegno temporaneo che consente di proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono dello shock pandemico; altra linea di credito, che sarà operativa dall’1 giugno prossimo è quella che accede al MES, ovvero lo strumento del Meccanismo Europeo di Stabilità, la cui base di accordo è stata individuata dai ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, e che consentirebbe all’Italia di acquisire circa 36 miliardi col solo requisito di “condizionalità” dell’impiego delle risorse per spese sanitarie dirette e indirette; ed ancora ampliamento della possibilità di erogare aiuti di stato alle imprese, appalti comuni e aiuti alla ricerca.
La mera rassegna di tali
iniziative, seppure la massa finanziaria che muovono appaia significativa, non
è sufficiente a misurare l’incisività e l’adeguatezza delle misure stesse, se
non verificando – come si diceva – l’immediata disponibilità delle risorse, da
cui dovrebbe discendere l’immediatezza del loro impiego anche in deroga agli
ordinari tempi di programmazione, come in deroga al normale funzionamento delle
procedure vanno d’altronde erogati tali aiuti.
La tempestività delle misure deve infatti consentire un valido innesto di tali incentivi economici e finanziari nell’organizzazione e gestione delle attività produttive che ne possano prontamente beneficiare, per recuperare gravi carenze di liquidità del sistema quale primo ed eclatante effetto della crisi, e ciò anche per gli investimenti già programmati, al fine di non frenarne la crescita.
L’auspicio ad una spesa immediata, in effetti, trova più concreta risposta nella attivazione della clausola di “flessibilità”, già prevista nelle disposizioni dell’articolo 107 paragrafo 3, lettera b), del TFUE che dispone che, in situazioni economiche particolarmente gravi, le norme dell’UE sugli aiuti di Stato consentano agli Stati membri di erogare risorse “…per porre rimedio a un grave turbamento della loro economia…”.
La considerazione che la
clausola di flessibilità possa fare da volano a risorse già istantaneamente
disponibili per sostenere gli Stati membri colpiti dalla crisi sanitaria ha però
“fatto i conti” con la attuale fase di programmazione del Bilancio dell’Unione.
Il Bilancio dell’UE è infatti adottato ogni anno, ma deve essere definito entro i limiti del quadro finanziario pluriennale (QFP), che copre un periodo di 7 anni, e il 2020 è l’ultimo dei sette anni in corso.
Sicché, mentre il bilancio per gli anni 2021-2027 non è
ancora definito, considerati i ristretti margini di bilancio del periodo che si
conclude, le risorse della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, anch’esse distribuite tra programmi regionali e
nazionali che fissano obiettivi e priorità per 7 anni
ma la cui attuazione è sempre in ritardo anch’esso oramai strutturale di
qualche anno, possono costituire una fonte imprescindibile, nonché privilegiata
sui territori, dalla quale attingere risorse economiche di facile fruizione e/o
riconversione.
Non è un caso che la CRII – Coronavirus Response Investment Initiative, iniziativa nata ad hoc dalla Commissione, attribuisca proprio ai Fondi Strutturali una temporanea ed eccezionale flessibilità.
La misura è entrata in
vigore il 1° aprile, ed ha proposto di consentire lo spostamento di risorse tra
programmi, tra fondi, tra regioni, e tra priorità, di snellire il funzionamento
della politica e di permettere ai paesi di rinunciare all’obbligo di cofinanziare
le risorse europee (in modo da procedere più speditamente).
L’iniziativa ha prodotto il Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020, che consiste in una modifica del regolamento comune dei Fondi strutturali e d’investimento europei (Reg (UE) 1301/2013) dei regolamenti relativi al FESR-Fondo europeo di sviluppo regionale (Reg.(UE)1303/2013) e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Reg.(UE)508/2014), ed individua misure specifiche volte a mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di COVID-19 (Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus).
Il Regolamento, nel suo primo considerando, fa infatti
riferimento all’esigenza di reagire alla ingente carenza di liquidità dovute
all’importante aumento degli investimenti pubblici necessari nei sistemi
sanitari degli Stati membri e in altri settori delle economie degli stessi
Stati. Con ciò raccomandando che la mancanza di liquidità e di fondi pubblici
negli Stati membri non ostacoli gli investimenti nell’ambito dei programmi
sostenuti dai Fondi Strutturali.
Per tali ragioni, e per consentire di avvalersi di risorse “liquide”, il Regolamento modifica e semplifica la rendicontazione dei fondi, introduce Relativamente al FESR la possibilità di utilizzo delle risorse per sostenere il capitale circolante delle PMI, nonché per sostenere nuove e diverse priorità d’investimento, tra cui quella di promuovere gli investimenti necessari a rafforzare le capacità di risposta alle crisi dei servizi sanitari (con auspicato ritorno sui territori dove i programmi operativi dei Fondi già operano).
Disposizione di specifico rilievo si rinviene poi nel testo dell’articolo 30 del Regolamento FESR il quale consente – allo stato membro – per i programmi sostenuti dal FESR, dal Fondo di coesione e dal FSE, una modifica di destinazione delle risorse fino all’8 % della dotazione di una priorità al 1° febbraio 2020, ed entro il limite del 4% del bilancio del programma a un’altra priorità dello stesso Fondo (tenuto peraltro conto che l’articolo 93 comma 2 del Regolamento Generale sui Fondi Strutturali (1303/2013) prevede che il divieto di trasferimento di risorse tra categorie di Regioni sia limitato al 3% delle risorse disponibili e sia motivato).
Tali trasferimenti non incidono sugli anni precedenti, e non richiedono una decisione di modifica del programma da parte della Commissione, ma pur restando conformi ai requisiti di regolamentazione, devono essere preventivamente approvati dal comitato di sorveglianza.
Tocca quindi al piano regionale, porre mano a tali modifiche.
Operazione che va compiuta con enorme prudenza, posto che –
si consideri in via esemplificativa – risorse del Fondo europeo di sviluppo
regionale destinate a investimenti su infrastrutture, reti e trasporti possono
essere dislocate sul Fondo sociale europeo per sostenere la cassa integrazione
o che risorse previste per investimenti in una regione meno colpita dal virus
possono essere messe a disposizione del sistema sanitario di un’altra regione
più esposta.
Ma la flessibilità – va inteso – è una opportunità, non un obbligo.
E poiché l’efficacia di
tutti gli interventi europei va guidata, e poi misurata, muovendo dalla
prospettiva delle aree territoriali (non è un caso che la concertazione degli
interventi si muova “dal basso”) anche in tale caso, la prospettiva di impatto
di tali modifiche va osservata e condotta sui territori locali.
Ciò vale anche nell’attuale emergenza sanitaria posto che, come già osservato da molti, se l’emergenza sanitaria costituisce uno shock economico simmetrico (degradando i diritti fondamentali e costituzionali delle persone in nome dell’esigenza primaria e preponderante della tutela della salute, nonché degradando la libertà delle attività economiche) essa tuttavia produce effetti asimmetrici sui territori e sulle diverse economie, oltre che nazionali, anche regionali e locali.
È innegabile infatti che
le misure di chiusura e l’obbligo di fermata imposto alle attività economiche abbiano
avuto un impatto certamente differenziato sulle regioni e sulla economia delle
grandi e medie imprese delle regioni del Settentrione, rispetto alla economia
del Mezzogiorno su cui pesano le percentuali drammatiche del lavoro sommerso,
nonché la stessa difficoltà delle piccole imprese del meridione di accedere al
credito bancario, non potendo esse fornire le necessarie garanzie.
Ne deriva che l’impatto
negativo della emergenza che dovrebbe attirare e consentire interventi economici
sul territorio va indirizzato anche in ragione della capacità di tenuta delle
economie e dei settori specifici sui quali si è prodotto l’arresto delle
diverse attività economiche.
Sicché, le modifiche al
funzionamento dei Fondi Strutturali, di cui si è detto, dovranno massimizzare
il potenziale di “flessibilità” degli interventi, allo scopo semmai di riallineare
gli effetti asimmetrici che si sono prodotti.
In definitiva, nell’attuale momento in cui è certamente in corso una ricognizione di programmi e progetti, per diverse priorità, così da individuare ed utilizzare le risorse già disponibili, saranno le autorità responsabili e i dipartimenti attuatori dei programmi operativi regionali cofinanziati nell’ambito della politica di coesione europea a dover individuare e reindirizzare una percentuale importante di risorse alle misure anticrisi (che pare allo stato si attesti intorno al 20% delle risorse complessive ancora disponibili, per circa 10 miliardi di euro).
È ora essenziale osservare la regia di queste decisioni, per comprendere in che misura sia lasciata a ciascuna autorità regionale di decidere le misure prioritarie, o se si faranno convogliare le risorse su grandi interventi di carattere nazionale.
La necessità che tali “spostamenti” di risorse siano attentamente monitorati, non è priva di fondamento laddove lo stesso undicesimo “considerando” del Regolamento 460/2020 di cui si è detto richiama l’Unione ad “…intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea (TUE)…”.
Mentre lo stesso regolamento si limita a consentire quanto è
necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di
proporzionalità di cui allo stesso articolo 5, riconoscendosi che “…l’obiettivo
del presente regolamento, vale a dire rispondere all’impatto della crisi
sanitaria pubblica, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati
membri ma, a motivo della portata e degli effetti dell’azione in questione, può
essere conseguito meglio a livello di Unione…”.
Ora, il criterio che – sui piani di governo dove ci si
muoverà – condurrà tali scelte non è privo di valore.
Ora, affinché la “flessibilità” istituita non vada a detrimento delle regioni del Mezzogiorno, i criteri che – sui piani di governo dove ci si muoverà – condurranno tali scelte non sono privi di valore, e vanno utilizzati anche al fine di non consentire eccessivi o inadeguati spostamenti delle risorse. Così, tra le “regioni più colpite” dalla pandemia vanno certamente comprese le stesse Regioni del Mezzogiorno – che hanno l’economia più debole e che rimangono spiazzate tra l’altro dalla eclatante contrazione del turismo.
Peculiare rilevanza, ancora in tale quadro di “flessibilità”, dovrebbe assumere l’individuazione – in via anch’essa derogatoria ed eccezionale – di procedimenti semplificati sul piano delle procedure amministrative per l’erogazione degli aiuti, e ciò al fine di accelerare la capacità di spesa di tali risorse.
In chiave propositiva, nell’ambito dell’utilizzo delle risorse “flessibili” si dovrebbe infatti:
a) consentire alle
amministrazioni regionali e locali di avvalersi della “progettazione” di
interventi e di programmi di investimento già definiti, con obiettivi coerenti
e già in linea con la nuova programmazione e con l’ulteriore programmazione
degli aiuti COVID (quali solo per citarne alcuni, programmi di informatizzazione
delle imprese, Piano per le Scuole, individuazione di poli produttivi di
dispositivi di protezione dislocati nei territori dalle economie più fragili).
b) convogliare l’erogazione
delle risorse economiche oggetto di tale peculiare flessibilità su idonee e semplificate
procedure a sportello, che consentano di finanziare specifiche iniziative fino
a esaurimento dei fondi disponibili, accompagnate in ipotesi da
autocertificazioni anche ad opera di
soggetti anche privati diversi dai progettisti dei piani e degli interventi (da
individuare eventualmente attraverso gli ordini professionali) che ne attestino
completezza, cantierabilità ed immediato avvio.
Ciò che consentirebbe
alla progettazione di tali interventi e programmi di investimento di accedere
in tempi rapidi, ad una minima ed essenziale attività di verifica dei requisiti
di legge, con una razionale e semplificata contrazione dell’istruttoria.
L’obiettivo è quello di invocare e consentire che sia conferita ampia ed immediata fiducia e linfa vitale ad un sistema imprenditoriale, economico ed anche sociale, altrimenti ed inevitabilmente destinato – in questi territori – ad un collasso che aumenterebbe il gap di sviluppo con altre aree territoriali, nazionali ed europee, che gli stessi Fondi Strutturali sono sorti per colmare.
Altre misure e procedimenti in chiave di semplificazione potranno ipotizzarsi, e su queste torneremo in seguito per successivi approfondimenti.
Il sostegno dei fondi europei nell’emergenza sanitaria: la “flessibilità” va orientata
di Avvocato Giorgia Motta e Avvocato Andrea Scuderi
L’articolo – muovendo dalla rassegna delle azioni che l’Unione Europea, nell’ambito delle sue competenze, ha avviato per fronteggiare l’impatto della emergenza sanitaria ed aiutare l’economia europea e i suoi cittadini – vuole proporre una riflessione sulla incisività delle misure, con specifico riferimento a quelle immediatamente mobilitate dai fondi strutturali per consentire una rapida risposta alla crisi. Le importanti modifiche introdotte – in nome della flessibilità – dal Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020 che consente di mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di COVID-19, vanno guidate e attentamente monitorate, anche attraverso procedimenti amministrativi semplificati ed accelerati.
La misura e la tempestività degli interventi economici che sul piano europeo si sono succeduti già dalla seconda metà di marzo e sino ad oggi per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria globale sono al centro di un animato dibattito, alimentato dalle recenti celebrazioni della Festa dell’Europa, che ricorda quel 9 maggio del 1950 in cui venne presentata la Dichiarazione Schuman.
Tali interventi hanno persino costituito il termometro della compattezza politica dell’Unione, su un confronto spesso non scevro da suggestioni ideologiche che, al di là dei singoli scetticismi, si è poggiato anche e probabilmente sulle insufficienti doti di comunicazione delle istituzioni europee che – per loro stessa natura – non dimostrano grandi abilità nel “parlare” ai propri cittadini europei dei 27 Stati membri.
L’adeguatezza di ciascuna misura va tuttavia misurata collocandola nello specifico ambito della politica europea nella quale è iscritta, secondo le norme del Trattato e dei Regolamenti, ma anche rispetto allo specifico territorio al quale è rivolta, sostenendone – anche in chiave prospettica – l’immediatezza degli effetti con strumenti e azioni ulteriori sul piano amministrativo ed anche locale, sul quale – anche in base al principio di sussidiarietà – si pretendono risposte tangibili, pur in una situazione di emergenza.
Gli strumenti europei di contrasto concreto al dilagare del virus o al suo contenimento sono invero anzitutto condizionati dall’operare del principio di attribuzione di cui all’articolo 6 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) per effetto del quale l’Unione europea ha solo le competenze che le sono state conferite dai trattati.
In particolare, l’UE disponendo in quest’ambito unicamente di competenze di sostegno e coordinamento, come indicato dall’articolo 168 TFUE, può intervenire nel settore della “tutela e miglioramento della salute umana” solo a supporto di misure nazionali.
Tanto è vero che ciascuno degli Stati membri, nella fase di lockdown, nonché in quella attuale di allentamento delle restrizioni, si è mosso sulla base di decisioni nazionali, benché nel campo dei programmi di ricerca per l’individuazione di vaccini e terapie l’UE pare possa avere un passo unico.
Quanto al sostegno sul fronte dell’emergenza economica, le risposte dell’Unione europea per contrastare la crisi causata dall’epidemia da Covid-19 appaiono in effetti molteplici, laddove il principio di “solidarietà” che fonda tali interventi trova una esplicita base giuridica – soprattutto sul piano economico-sociale – nell’articolo 122 del TFUE che consente “…in uno spirito di solidarietà tra Stati membri…” di concedere assistenza finanziaria agli stati “…in difficoltà o seriamente minacciati da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo…”.
Su tale impulso avanzano i negoziati sulla raccolta di capitali da erogarsi, eventualmente anche a fondo perduto, con la ricerca di soluzioni, anche innovative, che possano permettere ai 27 Paesi membri di non sprofondare in una spirale recessiva.
Il Consiglio ha quindi già approvato, su proposta della Commissione, l’attivazione della clausola di sospensione del Patto di Stabilità (cioè l’impianto di regole per i Paesi membri sul rispetto dei conti pubblici); la BCE ha annunciato un aumento del programma di acquisto di titoli sui mercati secondari volto ad immettere liquidità nei mercati degli stati membri (e ciò al di là del discusso impatto della “tempestiva” decisione della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio 2020 sull’effetto di tali misure); si sono attivati prestiti da BEI e COSME per quasi 250 miliardi di euro; 100 miliardi di euro contro la disoccupazione saranno disponibili grazie al SURE, la c.d. cassa integrazione europea, quale nuovo strumento europeo di sostegno temporaneo che consente di proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono dello shock pandemico; altra linea di credito, che sarà operativa dall’1 giugno prossimo è quella che accede al MES, ovvero lo strumento del Meccanismo Europeo di Stabilità, la cui base di accordo è stata individuata dai ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, e che consentirebbe all’Italia di acquisire circa 36 miliardi col solo requisito di “condizionalità” dell’impiego delle risorse per spese sanitarie dirette e indirette; ed ancora ampliamento della possibilità di erogare aiuti di stato alle imprese, appalti comuni e aiuti alla ricerca.
La mera rassegna di tali iniziative, seppure la massa finanziaria che muovono appaia significativa, non è sufficiente a misurare l’incisività e l’adeguatezza delle misure stesse, se non verificando – come si diceva – l’immediata disponibilità delle risorse, da cui dovrebbe discendere l’immediatezza del loro impiego anche in deroga agli ordinari tempi di programmazione, come in deroga al normale funzionamento delle procedure vanno d’altronde erogati tali aiuti.
La tempestività delle misure deve infatti consentire un valido innesto di tali incentivi economici e finanziari nell’organizzazione e gestione delle attività produttive che ne possano prontamente beneficiare, per recuperare gravi carenze di liquidità del sistema quale primo ed eclatante effetto della crisi, e ciò anche per gli investimenti già programmati, al fine di non frenarne la crescita.
L’auspicio ad una spesa immediata, in effetti, trova più concreta risposta nella attivazione della clausola di “flessibilità”, già prevista nelle disposizioni dell’articolo 107 paragrafo 3, lettera b), del TFUE che dispone che, in situazioni economiche particolarmente gravi, le norme dell’UE sugli aiuti di Stato consentano agli Stati membri di erogare risorse “…per porre rimedio a un grave turbamento della loro economia…”.
La considerazione che la clausola di flessibilità possa fare da volano a risorse già istantaneamente disponibili per sostenere gli Stati membri colpiti dalla crisi sanitaria ha però “fatto i conti” con la attuale fase di programmazione del Bilancio dell’Unione.
Il Bilancio dell’UE è infatti adottato ogni anno, ma deve essere definito entro i limiti del quadro finanziario pluriennale (QFP), che copre un periodo di 7 anni, e il 2020 è l’ultimo dei sette anni in corso.
Sicché, mentre il bilancio per gli anni 2021-2027 non è ancora definito, considerati i ristretti margini di bilancio del periodo che si conclude, le risorse della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, anch’esse distribuite tra programmi regionali e nazionali che fissano obiettivi e priorità per 7 anni ma la cui attuazione è sempre in ritardo anch’esso oramai strutturale di qualche anno, possono costituire una fonte imprescindibile, nonché privilegiata sui territori, dalla quale attingere risorse economiche di facile fruizione e/o riconversione.
Non è un caso che la CRII – Coronavirus Response Investment Initiative, iniziativa nata ad hoc dalla Commissione, attribuisca proprio ai Fondi Strutturali una temporanea ed eccezionale flessibilità.
La misura è entrata in vigore il 1° aprile, ed ha proposto di consentire lo spostamento di risorse tra programmi, tra fondi, tra regioni, e tra priorità, di snellire il funzionamento della politica e di permettere ai paesi di rinunciare all’obbligo di cofinanziare le risorse europee (in modo da procedere più speditamente).
L’iniziativa ha prodotto il Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020, che consiste in una modifica del regolamento comune dei Fondi strutturali e d’investimento europei (Reg (UE) 1301/2013) dei regolamenti relativi al FESR-Fondo europeo di sviluppo regionale (Reg.(UE)1303/2013) e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Reg.(UE)508/2014), ed individua misure specifiche volte a mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di COVID-19 (Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus).
Il Regolamento, nel suo primo considerando, fa infatti riferimento all’esigenza di reagire alla ingente carenza di liquidità dovute all’importante aumento degli investimenti pubblici necessari nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle economie degli stessi Stati. Con ciò raccomandando che la mancanza di liquidità e di fondi pubblici negli Stati membri non ostacoli gli investimenti nell’ambito dei programmi sostenuti dai Fondi Strutturali.
Per tali ragioni, e per consentire di avvalersi di risorse “liquide”, il Regolamento modifica e semplifica la rendicontazione dei fondi, introduce Relativamente al FESR la possibilità di utilizzo delle risorse per sostenere il capitale circolante delle PMI, nonché per sostenere nuove e diverse priorità d’investimento, tra cui quella di promuovere gli investimenti necessari a rafforzare le capacità di risposta alle crisi dei servizi sanitari (con auspicato ritorno sui territori dove i programmi operativi dei Fondi già operano).
Disposizione di specifico rilievo si rinviene poi nel testo dell’articolo 30 del Regolamento FESR il quale consente – allo stato membro – per i programmi sostenuti dal FESR, dal Fondo di coesione e dal FSE, una modifica di destinazione delle risorse fino all’8 % della dotazione di una priorità al 1° febbraio 2020, ed entro il limite del 4% del bilancio del programma a un’altra priorità dello stesso Fondo (tenuto peraltro conto che l’articolo 93 comma 2 del Regolamento Generale sui Fondi Strutturali (1303/2013) prevede che il divieto di trasferimento di risorse tra categorie di Regioni sia limitato al 3% delle risorse disponibili e sia motivato).
Tali trasferimenti non incidono sugli anni precedenti, e non richiedono una decisione di modifica del programma da parte della Commissione, ma pur restando conformi ai requisiti di regolamentazione, devono essere preventivamente approvati dal comitato di sorveglianza.
Tocca quindi al piano regionale, porre mano a tali modifiche.
Operazione che va compiuta con enorme prudenza, posto che – si consideri in via esemplificativa – risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale destinate a investimenti su infrastrutture, reti e trasporti possono essere dislocate sul Fondo sociale europeo per sostenere la cassa integrazione o che risorse previste per investimenti in una regione meno colpita dal virus possono essere messe a disposizione del sistema sanitario di un’altra regione più esposta.
Ma la flessibilità – va inteso – è una opportunità, non un obbligo.
E poiché l’efficacia di tutti gli interventi europei va guidata, e poi misurata, muovendo dalla prospettiva delle aree territoriali (non è un caso che la concertazione degli interventi si muova “dal basso”) anche in tale caso, la prospettiva di impatto di tali modifiche va osservata e condotta sui territori locali.
Ciò vale anche nell’attuale emergenza sanitaria posto che, come già osservato da molti, se l’emergenza sanitaria costituisce uno shock economico simmetrico (degradando i diritti fondamentali e costituzionali delle persone in nome dell’esigenza primaria e preponderante della tutela della salute, nonché degradando la libertà delle attività economiche) essa tuttavia produce effetti asimmetrici sui territori e sulle diverse economie, oltre che nazionali, anche regionali e locali.
È innegabile infatti che le misure di chiusura e l’obbligo di fermata imposto alle attività economiche abbiano avuto un impatto certamente differenziato sulle regioni e sulla economia delle grandi e medie imprese delle regioni del Settentrione, rispetto alla economia del Mezzogiorno su cui pesano le percentuali drammatiche del lavoro sommerso, nonché la stessa difficoltà delle piccole imprese del meridione di accedere al credito bancario, non potendo esse fornire le necessarie garanzie.
Ne deriva che l’impatto negativo della emergenza che dovrebbe attirare e consentire interventi economici sul territorio va indirizzato anche in ragione della capacità di tenuta delle economie e dei settori specifici sui quali si è prodotto l’arresto delle diverse attività economiche.
Sicché, le modifiche al funzionamento dei Fondi Strutturali, di cui si è detto, dovranno massimizzare il potenziale di “flessibilità” degli interventi, allo scopo semmai di riallineare gli effetti asimmetrici che si sono prodotti.
In definitiva, nell’attuale momento in cui è certamente in corso una ricognizione di programmi e progetti, per diverse priorità, così da individuare ed utilizzare le risorse già disponibili, saranno le autorità responsabili e i dipartimenti attuatori dei programmi operativi regionali cofinanziati nell’ambito della politica di coesione europea a dover individuare e reindirizzare una percentuale importante di risorse alle misure anticrisi (che pare allo stato si attesti intorno al 20% delle risorse complessive ancora disponibili, per circa 10 miliardi di euro).
È ora essenziale osservare la regia di queste decisioni, per comprendere in che misura sia lasciata a ciascuna autorità regionale di decidere le misure prioritarie, o se si faranno convogliare le risorse su grandi interventi di carattere nazionale.
La necessità che tali “spostamenti” di risorse siano attentamente monitorati, non è priva di fondamento laddove lo stesso undicesimo “considerando” del Regolamento 460/2020 di cui si è detto richiama l’Unione ad “…intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea (TUE)…”.
Mentre lo stesso regolamento si limita a consentire quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità di cui allo stesso articolo 5, riconoscendosi che “…l’obiettivo del presente regolamento, vale a dire rispondere all’impatto della crisi sanitaria pubblica, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della portata e degli effetti dell’azione in questione, può essere conseguito meglio a livello di Unione…”.
Ora, il criterio che – sui piani di governo dove ci si muoverà – condurrà tali scelte non è privo di valore.
Ora, affinché la “flessibilità” istituita non vada a detrimento delle regioni del Mezzogiorno, i criteri che – sui piani di governo dove ci si muoverà – condurranno tali scelte non sono privi di valore, e vanno utilizzati anche al fine di non consentire eccessivi o inadeguati spostamenti delle risorse. Così, tra le “regioni più colpite” dalla pandemia vanno certamente comprese le stesse Regioni del Mezzogiorno – che hanno l’economia più debole e che rimangono spiazzate tra l’altro dalla eclatante contrazione del turismo.
Peculiare rilevanza, ancora in tale quadro di “flessibilità”, dovrebbe assumere l’individuazione – in via anch’essa derogatoria ed eccezionale – di procedimenti semplificati sul piano delle procedure amministrative per l’erogazione degli aiuti, e ciò al fine di accelerare la capacità di spesa di tali risorse.
In chiave propositiva, nell’ambito dell’utilizzo delle risorse “flessibili” si dovrebbe infatti:
a) consentire alle amministrazioni regionali e locali di avvalersi della “progettazione” di interventi e di programmi di investimento già definiti, con obiettivi coerenti e già in linea con la nuova programmazione e con l’ulteriore programmazione degli aiuti COVID (quali solo per citarne alcuni, programmi di informatizzazione delle imprese, Piano per le Scuole, individuazione di poli produttivi di dispositivi di protezione dislocati nei territori dalle economie più fragili).
b) convogliare l’erogazione delle risorse economiche oggetto di tale peculiare flessibilità su idonee e semplificate procedure a sportello, che consentano di finanziare specifiche iniziative fino a esaurimento dei fondi disponibili, accompagnate in ipotesi da autocertificazioni anche ad opera di soggetti anche privati diversi dai progettisti dei piani e degli interventi (da individuare eventualmente attraverso gli ordini professionali) che ne attestino completezza, cantierabilità ed immediato avvio.
Ciò che consentirebbe alla progettazione di tali interventi e programmi di investimento di accedere in tempi rapidi, ad una minima ed essenziale attività di verifica dei requisiti di legge, con una razionale e semplificata contrazione dell’istruttoria.
L’obiettivo è quello di invocare e consentire che sia conferita ampia ed immediata fiducia e linfa vitale ad un sistema imprenditoriale, economico ed anche sociale, altrimenti ed inevitabilmente destinato – in questi territori – ad un collasso che aumenterebbe il gap di sviluppo con altre aree territoriali, nazionali ed europee, che gli stessi Fondi Strutturali sono sorti per colmare.
Altre misure e procedimenti in chiave di semplificazione potranno ipotizzarsi, e su queste torneremo in seguito per successivi approfondimenti.
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Il sostegno dei fondi europei nell’emergenza sanitaria: la “flessibilità” va orientata
di Avvocato Giorgia Motta e Avvocato Andrea Scuderi
L’articolo – muovendo dalla rassegna delle azioni che l’Unione Europea, nell’ambito delle sue competenze, ha avviato per fronteggiare l’impatto della emergenza sanitaria ed aiutare l’economia europea e i suoi cittadini – vuole proporre una riflessione sulla incisività delle misure, con specifico riferimento a quelle immediatamente mobilitate dai fondi strutturali per consentire una rapida risposta alla crisi. Le importanti modifiche introdotte – in nome della flessibilità – dal Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020 che consente di mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di COVID-19, vanno guidate e attentamente monitorate, anche attraverso procedimenti amministrativi semplificati ed accelerati.
La misura e la tempestività degli interventi economici che sul piano europeo si sono succeduti già dalla seconda metà di marzo e sino ad oggi per fronteggiare l’attuale emergenza sanitaria globale sono al centro di un animato dibattito, alimentato dalle recenti celebrazioni della Festa dell’Europa, che ricorda quel 9 maggio del 1950 in cui venne presentata la Dichiarazione Schuman.
Tali interventi hanno persino costituito il termometro della compattezza politica dell’Unione, su un confronto spesso non scevro da suggestioni ideologiche che, al di là dei singoli scetticismi, si è poggiato anche e probabilmente sulle insufficienti doti di comunicazione delle istituzioni europee che – per loro stessa natura – non dimostrano grandi abilità nel “parlare” ai propri cittadini europei dei 27 Stati membri.
L’adeguatezza di ciascuna misura va tuttavia misurata collocandola nello specifico ambito della politica europea nella quale è iscritta, secondo le norme del Trattato e dei Regolamenti, ma anche rispetto allo specifico territorio al quale è rivolta, sostenendone – anche in chiave prospettica – l’immediatezza degli effetti con strumenti e azioni ulteriori sul piano amministrativo ed anche locale, sul quale – anche in base al principio di sussidiarietà – si pretendono risposte tangibili, pur in una situazione di emergenza.
Gli strumenti europei di contrasto concreto al dilagare del virus o al suo contenimento sono invero anzitutto condizionati dall’operare del principio di attribuzione di cui all’articolo 6 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea) per effetto del quale l’Unione europea ha solo le competenze che le sono state conferite dai trattati.
In particolare, l’UE disponendo in quest’ambito unicamente di competenze di sostegno e coordinamento, come indicato dall’articolo 168 TFUE, può intervenire nel settore della “tutela e miglioramento della salute umana” solo a supporto di misure nazionali.
Tanto è vero che ciascuno degli Stati membri, nella fase di lockdown, nonché in quella attuale di allentamento delle restrizioni, si è mosso sulla base di decisioni nazionali, benché nel campo dei programmi di ricerca per l’individuazione di vaccini e terapie l’UE pare possa avere un passo unico.
Quanto al sostegno sul fronte dell’emergenza economica, le risposte dell’Unione europea per contrastare la crisi causata dall’epidemia da Covid-19 appaiono in effetti molteplici, laddove il principio di “solidarietà” che fonda tali interventi trova una esplicita base giuridica – soprattutto sul piano economico-sociale – nell’articolo 122 del TFUE che consente “…in uno spirito di solidarietà tra Stati membri…” di concedere assistenza finanziaria agli stati “…in difficoltà o seriamente minacciati da gravi difficoltà a causa di calamità naturali o di circostanze eccezionali che sfuggono al suo controllo…”.
Su tale impulso avanzano i negoziati sulla raccolta di capitali da erogarsi, eventualmente anche a fondo perduto, con la ricerca di soluzioni, anche innovative, che possano permettere ai 27 Paesi membri di non sprofondare in una spirale recessiva.
Il Consiglio ha quindi già approvato, su proposta della Commissione, l’attivazione della clausola di sospensione del Patto di Stabilità (cioè l’impianto di regole per i Paesi membri sul rispetto dei conti pubblici); la BCE ha annunciato un aumento del programma di acquisto di titoli sui mercati secondari volto ad immettere liquidità nei mercati degli stati membri (e ciò al di là del discusso impatto della “tempestiva” decisione della Corte Costituzionale tedesca del 5 maggio 2020 sull’effetto di tali misure); si sono attivati prestiti da BEI e COSME per quasi 250 miliardi di euro; 100 miliardi di euro contro la disoccupazione saranno disponibili grazie al SURE, la c.d. cassa integrazione europea, quale nuovo strumento europeo di sostegno temporaneo che consente di proteggere i posti di lavoro e i lavoratori che risentono dello shock pandemico; altra linea di credito, che sarà operativa dall’1 giugno prossimo è quella che accede al MES, ovvero lo strumento del Meccanismo Europeo di Stabilità, la cui base di accordo è stata individuata dai ministri delle Finanze dell’Eurogruppo, e che consentirebbe all’Italia di acquisire circa 36 miliardi col solo requisito di “condizionalità” dell’impiego delle risorse per spese sanitarie dirette e indirette; ed ancora ampliamento della possibilità di erogare aiuti di stato alle imprese, appalti comuni e aiuti alla ricerca.
La mera rassegna di tali iniziative, seppure la massa finanziaria che muovono appaia significativa, non è sufficiente a misurare l’incisività e l’adeguatezza delle misure stesse, se non verificando – come si diceva – l’immediata disponibilità delle risorse, da cui dovrebbe discendere l’immediatezza del loro impiego anche in deroga agli ordinari tempi di programmazione, come in deroga al normale funzionamento delle procedure vanno d’altronde erogati tali aiuti.
La tempestività delle misure deve infatti consentire un valido innesto di tali incentivi economici e finanziari nell’organizzazione e gestione delle attività produttive che ne possano prontamente beneficiare, per recuperare gravi carenze di liquidità del sistema quale primo ed eclatante effetto della crisi, e ciò anche per gli investimenti già programmati, al fine di non frenarne la crescita.
L’auspicio ad una spesa immediata, in effetti, trova più concreta risposta nella attivazione della clausola di “flessibilità”, già prevista nelle disposizioni dell’articolo 107 paragrafo 3, lettera b), del TFUE che dispone che, in situazioni economiche particolarmente gravi, le norme dell’UE sugli aiuti di Stato consentano agli Stati membri di erogare risorse “…per porre rimedio a un grave turbamento della loro economia…”.
La considerazione che la clausola di flessibilità possa fare da volano a risorse già istantaneamente disponibili per sostenere gli Stati membri colpiti dalla crisi sanitaria ha però “fatto i conti” con la attuale fase di programmazione del Bilancio dell’Unione.
Il Bilancio dell’UE è infatti adottato ogni anno, ma deve essere definito entro i limiti del quadro finanziario pluriennale (QFP), che copre un periodo di 7 anni, e il 2020 è l’ultimo dei sette anni in corso.
Sicché, mentre il bilancio per gli anni 2021-2027 non è ancora definito, considerati i ristretti margini di bilancio del periodo che si conclude, le risorse della politica di coesione e dei suoi fondi strutturali, anch’esse distribuite tra programmi regionali e nazionali che fissano obiettivi e priorità per 7 anni ma la cui attuazione è sempre in ritardo anch’esso oramai strutturale di qualche anno, possono costituire una fonte imprescindibile, nonché privilegiata sui territori, dalla quale attingere risorse economiche di facile fruizione e/o riconversione.
Non è un caso che la CRII – Coronavirus Response Investment Initiative, iniziativa nata ad hoc dalla Commissione, attribuisca proprio ai Fondi Strutturali una temporanea ed eccezionale flessibilità.
La misura è entrata in vigore il 1° aprile, ed ha proposto di consentire lo spostamento di risorse tra programmi, tra fondi, tra regioni, e tra priorità, di snellire il funzionamento della politica e di permettere ai paesi di rinunciare all’obbligo di cofinanziare le risorse europee (in modo da procedere più speditamente).
L’iniziativa ha prodotto il Regolamento (UE) 2020/460 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 30 marzo 2020, che consiste in una modifica del regolamento comune dei Fondi strutturali e d’investimento europei (Reg (UE) 1301/2013) dei regolamenti relativi al FESR-Fondo europeo di sviluppo regionale (Reg.(UE)1303/2013) e del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Reg.(UE)508/2014), ed individua misure specifiche volte a mobilitare gli investimenti nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle loro economie in risposta all’epidemia di COVID-19 (Iniziativa di investimento in risposta al coronavirus).
Il Regolamento, nel suo primo considerando, fa infatti riferimento all’esigenza di reagire alla ingente carenza di liquidità dovute all’importante aumento degli investimenti pubblici necessari nei sistemi sanitari degli Stati membri e in altri settori delle economie degli stessi Stati. Con ciò raccomandando che la mancanza di liquidità e di fondi pubblici negli Stati membri non ostacoli gli investimenti nell’ambito dei programmi sostenuti dai Fondi Strutturali.
Per tali ragioni, e per consentire di avvalersi di risorse “liquide”, il Regolamento modifica e semplifica la rendicontazione dei fondi, introduce Relativamente al FESR la possibilità di utilizzo delle risorse per sostenere il capitale circolante delle PMI, nonché per sostenere nuove e diverse priorità d’investimento, tra cui quella di promuovere gli investimenti necessari a rafforzare le capacità di risposta alle crisi dei servizi sanitari (con auspicato ritorno sui territori dove i programmi operativi dei Fondi già operano).
Disposizione di specifico rilievo si rinviene poi nel testo dell’articolo 30 del Regolamento FESR il quale consente – allo stato membro – per i programmi sostenuti dal FESR, dal Fondo di coesione e dal FSE, una modifica di destinazione delle risorse fino all’8 % della dotazione di una priorità al 1° febbraio 2020, ed entro il limite del 4% del bilancio del programma a un’altra priorità dello stesso Fondo (tenuto peraltro conto che l’articolo 93 comma 2 del Regolamento Generale sui Fondi Strutturali (1303/2013) prevede che il divieto di trasferimento di risorse tra categorie di Regioni sia limitato al 3% delle risorse disponibili e sia motivato).
Tali trasferimenti non incidono sugli anni precedenti, e non richiedono una decisione di modifica del programma da parte della Commissione, ma pur restando conformi ai requisiti di regolamentazione, devono essere preventivamente approvati dal comitato di sorveglianza.
Tocca quindi al piano regionale, porre mano a tali modifiche.
Operazione che va compiuta con enorme prudenza, posto che – si consideri in via esemplificativa – risorse del Fondo europeo di sviluppo regionale destinate a investimenti su infrastrutture, reti e trasporti possono essere dislocate sul Fondo sociale europeo per sostenere la cassa integrazione o che risorse previste per investimenti in una regione meno colpita dal virus possono essere messe a disposizione del sistema sanitario di un’altra regione più esposta.
Ma la flessibilità – va inteso – è una opportunità, non un obbligo.
E poiché l’efficacia di tutti gli interventi europei va guidata, e poi misurata, muovendo dalla prospettiva delle aree territoriali (non è un caso che la concertazione degli interventi si muova “dal basso”) anche in tale caso, la prospettiva di impatto di tali modifiche va osservata e condotta sui territori locali.
Ciò vale anche nell’attuale emergenza sanitaria posto che, come già osservato da molti, se l’emergenza sanitaria costituisce uno shock economico simmetrico (degradando i diritti fondamentali e costituzionali delle persone in nome dell’esigenza primaria e preponderante della tutela della salute, nonché degradando la libertà delle attività economiche) essa tuttavia produce effetti asimmetrici sui territori e sulle diverse economie, oltre che nazionali, anche regionali e locali.
È innegabile infatti che le misure di chiusura e l’obbligo di fermata imposto alle attività economiche abbiano avuto un impatto certamente differenziato sulle regioni e sulla economia delle grandi e medie imprese delle regioni del Settentrione, rispetto alla economia del Mezzogiorno su cui pesano le percentuali drammatiche del lavoro sommerso, nonché la stessa difficoltà delle piccole imprese del meridione di accedere al credito bancario, non potendo esse fornire le necessarie garanzie.
Ne deriva che l’impatto negativo della emergenza che dovrebbe attirare e consentire interventi economici sul territorio va indirizzato anche in ragione della capacità di tenuta delle economie e dei settori specifici sui quali si è prodotto l’arresto delle diverse attività economiche.
Sicché, le modifiche al funzionamento dei Fondi Strutturali, di cui si è detto, dovranno massimizzare il potenziale di “flessibilità” degli interventi, allo scopo semmai di riallineare gli effetti asimmetrici che si sono prodotti.
In definitiva, nell’attuale momento in cui è certamente in corso una ricognizione di programmi e progetti, per diverse priorità, così da individuare ed utilizzare le risorse già disponibili, saranno le autorità responsabili e i dipartimenti attuatori dei programmi operativi regionali cofinanziati nell’ambito della politica di coesione europea a dover individuare e reindirizzare una percentuale importante di risorse alle misure anticrisi (che pare allo stato si attesti intorno al 20% delle risorse complessive ancora disponibili, per circa 10 miliardi di euro).
È ora essenziale osservare la regia di queste decisioni, per comprendere in che misura sia lasciata a ciascuna autorità regionale di decidere le misure prioritarie, o se si faranno convogliare le risorse su grandi interventi di carattere nazionale.
La necessità che tali “spostamenti” di risorse siano attentamente monitorati, non è priva di fondamento laddove lo stesso undicesimo “considerando” del Regolamento 460/2020 di cui si è detto richiama l’Unione ad “…intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 del trattato sull’Unione europea (TUE)…”.
Mentre lo stesso regolamento si limita a consentire quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità di cui allo stesso articolo 5, riconoscendosi che “…l’obiettivo del presente regolamento, vale a dire rispondere all’impatto della crisi sanitaria pubblica, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della portata e degli effetti dell’azione in questione, può essere conseguito meglio a livello di Unione…”.
Ora, il criterio che – sui piani di governo dove ci si muoverà – condurrà tali scelte non è privo di valore.
Ora, affinché la “flessibilità” istituita non vada a detrimento delle regioni del Mezzogiorno, i criteri che – sui piani di governo dove ci si muoverà – condurranno tali scelte non sono privi di valore, e vanno utilizzati anche al fine di non consentire eccessivi o inadeguati spostamenti delle risorse. Così, tra le “regioni più colpite” dalla pandemia vanno certamente comprese le stesse Regioni del Mezzogiorno – che hanno l’economia più debole e che rimangono spiazzate tra l’altro dalla eclatante contrazione del turismo.
Peculiare rilevanza, ancora in tale quadro di “flessibilità”, dovrebbe assumere l’individuazione – in via anch’essa derogatoria ed eccezionale – di procedimenti semplificati sul piano delle procedure amministrative per l’erogazione degli aiuti, e ciò al fine di accelerare la capacità di spesa di tali risorse.
In chiave propositiva, nell’ambito dell’utilizzo delle risorse “flessibili” si dovrebbe infatti:
a) consentire alle amministrazioni regionali e locali di avvalersi della “progettazione” di interventi e di programmi di investimento già definiti, con obiettivi coerenti e già in linea con la nuova programmazione e con l’ulteriore programmazione degli aiuti COVID (quali solo per citarne alcuni, programmi di informatizzazione delle imprese, Piano per le Scuole, individuazione di poli produttivi di dispositivi di protezione dislocati nei territori dalle economie più fragili).
b) convogliare l’erogazione delle risorse economiche oggetto di tale peculiare flessibilità su idonee e semplificate procedure a sportello, che consentano di finanziare specifiche iniziative fino a esaurimento dei fondi disponibili, accompagnate in ipotesi da autocertificazioni anche ad opera di soggetti anche privati diversi dai progettisti dei piani e degli interventi (da individuare eventualmente attraverso gli ordini professionali) che ne attestino completezza, cantierabilità ed immediato avvio.
Ciò che consentirebbe alla progettazione di tali interventi e programmi di investimento di accedere in tempi rapidi, ad una minima ed essenziale attività di verifica dei requisiti di legge, con una razionale e semplificata contrazione dell’istruttoria.
L’obiettivo è quello di invocare e consentire che sia conferita ampia ed immediata fiducia e linfa vitale ad un sistema imprenditoriale, economico ed anche sociale, altrimenti ed inevitabilmente destinato – in questi territori – ad un collasso che aumenterebbe il gap di sviluppo con altre aree territoriali, nazionali ed europee, che gli stessi Fondi Strutturali sono sorti per colmare.
Altre misure e procedimenti in chiave di semplificazione potranno ipotizzarsi, e su queste torneremo in seguito per successivi approfondimenti.
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