Indebito arricchimento dell’ente locale per progettazione senza contratto scritto
La Prima Sezione della Cassazione Civile, con sentenza del 16 maggio 2018 n.12014, ha escluso la possibilità di agire per indebito arricchimento ex art. 2041 cod.civ., nei confronti dell’ente pubblico (locale), per il quale Professionista che ha eseguito prestazioni professionali di progettazione (esecutiva) sulla scorta di delibere di conferimento d’incarico, non seguite dalla stipula di un contratto in forma scritta, in epoca successiva alla entrata in vigore dell’art. 23, comma 4, del decreto legge 2 marzo 1989, n. 66 (convertito, con modificazioni nella I. 24 aprile 1989, n. 144; con previsione contenuta all’art. 191, comma 4 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 – c.d. TUEL), in tema di assunzione di obbligazioni da parte degli enti locali, “..qualora le obbligazioni contratte non rientrino nello schema procedimentale di spesa..”.
In tali casi infatti, ad avviso della Sezione, “..insorge un rapporto obbligatorio direttamente con l’amministratore o il funzionario che abbia consentito la prestazione, con la conseguenza che resta esclusa, per difetto del requisito della sussidiarietà, l’azione di indebito arricchimento nei confronti dell’ente, il quale può, comunque, riconoscere a posteriori il debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194 del d.lgs. n. 267 del 2000, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente stesso…”, precisandosi altresì come “..tale riconoscimento può avvenire solo espressamente, con apposita deliberazione dell’organo competente, e non può essere desunto anche dal mero comportamento tenuto dagli organi rappresentativi, insufficiente ad esprimere un apprezzamento di carattere generale in ordine alla conciliabilità dei relativi oneri con gli indirizzi di fondo della gestione economico-finanziaria dell’ente e con le scelte amministrative compiute (v., ad es., Cass. 9 dicembre 2015, n. 24860)..”.
La Prima Sezione ancora – nel confermare (sia pure con diversa motivazione) la pronunzia d’appello in quel caso impugnata – ha anche rammentato come “..l’azione dell’indebito arricchimento può essere esercitata, in materia di prestazioni professionali, se il vantaggio del cliente consegua ad una prestazione effettuata dal professionista, in assenza di un titolo giuridico valido ed efficace e se sussista l’utile versum: al tal fine, non è sufficiente, per il professionista dimostrare il solo compimento dell’opera, ma è necessario accertare il verificarsi dell’eventum utilitatis consistente nella effettiva, sebbene ingiustificata, locupletazione del cliente con correlativo depauperamento del professionista, poiché, in tema di azione generale di arricchimento, devono, per la fondatezza di essa, concorrere simultaneamente sia l’arricchimento del soggetto convenuto che la diminuzione patrimoniale dell’attore, collegati tra loro e connessi ad un unico fatto costitutivo consistente nella mancanza di giustificazione della perdita dell’uno come dell’arricchimento dell’altro…” (cfr. anche Cass. 24 novembre 2003, n. 17860).
La nozione di impoverimento, ossia di “correlativa diminuzione patrimoniale“, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. – continua la Sezione – non implica tuttavia che l’attore debba dimostrare di avere “perso” delle favorevoli occasioni per impiegare in termini alternativi e redditizi le sue energie, imponendo invece e “.. semplicemente, di verificare se l’impegno profuso senza titolo a vantaggio di altri sia suscettibile di essere valutato economicamente..”.