Interdittiva antimafia e obbligo della Prefettura di valutare le misure alternative di prevenzione collaborativa
Il Tribunale Amministrativo Regionale di Reggio Calabria, con la sentenza del 5 luglio 2023 numero 598 in materia di informazione interdittiva antimafia, si è pronunciato sull’obbligo della Prefettura di valutare, prima dell’emissione del provvedimento definitivo, i presupposti per la concessione di una misura alternativa, quale ad esempio la misura di prevenzione collaborativa prevista all’articolo 94 bis del decreto legislativo n. 159/2011, introdotta dal decreto legge n. 152/2021.
Il Collegio in particolare, ha ritenuto che “…il Prefetto, così come accade per il giudice della prevenzione, dovrà servirsi del materiale probatorio reso disponibile dall’impresa istante per decidere se essa, grazie all’applicazione della misura, possa attrezzarsi in modo adeguato al fine di scongiurare in futuro quegli «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa diretti a condizionare l’impresa» che – subìti in passato secondo le indagini prefettizie – hanno fatto scattare l’interdizione amministrativa…”.
La vicenda
La pronuncia giunge all’esito di una lunga e complessa vicenda giudiziaria, parzialmente e solo ove di interesse ripercorsa dal Tribunale.
La ditta ricorrente, in particolare, è una piccola società a conduzione familiare operativa nel settore della cantieristica navale e gestita da due coniugi, soci della stessa società.
Tale società è stata per una prima volta attinta da informativa antimafia nel luglio 2019, stante “…l’appartenenza dei due soci, accomandatario e accomandante nonché coniugi, a due famiglie della cui mafiosità non sarebbe lecito dubitare anche per la pregnanza dei precedenti penali che ne avevano colpito i componenti, alcuni dei quali titolari di imprese operanti nel medesimo settore della nautica…”.
A quel primo provvedimento, stragiudizialmente contestato per difetto di istruttoria, ne è seguito un secondo di pari contenuto, emendato dal vizio rilevato.
Giunti dinnanzi alla Giustizia Amministrativa, sia il TAR che il Consiglio di Stato hanno confermato la legittimità dell’interdittiva e di tutti gli atti presupposti e conseguenti, pronunciando sentenza definitiva nell’agosto 2020.
Con istanza dell’ottobre 2020, la ditta ha richiesto l’aggiornamento dell’interdittiva ai sensi dell’articolo 91, comma 5, del D.lgs. n. 159/2011, giustificando una nuova istruttoria sui seguenti presupposti: la risalenza nel tempo dei precedenti penali; l’assenza di coinvolgimento di altri familiari nella gestione societaria; una sopravvenuta sentenza penale di assoluzione dei cognati; la “marcata evanescenza” del quadro indiziario, così definito da un decreto della Corte d’Appello Penale; la sopravvenuta adozione, da parte della società, di modelli organizzativi di gestione ex L. n. 231/2002.
In riscontro, la Prefettura ha adottato nel settembre 2022 una nuova interdittiva, valutando in maniera negativa tutti i nuovi elementi proposti.
Dall’impugnazione di quest’ultimo provvedimento è scaturito il giudizio conclusosi con la sentenza in commento (riunito ad un successivo giudizio per l’impugnazione di una ulteriore interdittiva).
Ai soli fini di cronaca, si rileva che il TAR ha dapprima rigettato una misura cautelare monocratica, accogliendo poi la misura cautelare collegiale e, nel successivo ricorso poi riunito, accogliendo sin da subito la misura monocratica, poi confermata in contradditorio.
I motivi di gravame
La ditta ricorrente ha affidato il primo ricorso introduttivo a molteplici censure.
Con il primo e il secondo motivo, entrambi molto articolarti, è stata censurata l’asserita illegittimità costituzionale degli articoli 92 e 94 bis del D.lgs. n. 159/2011 in relazione agli articoli 3, 4, 23, 24, 25, 27, 41 e 111 della Costituzione, nonché all’articolo 6, par. 2 e 3 del Trattato CEDU e al generale principio di legalità.
Con il terzo motivo, rubricato “…Violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 84, 85, 86 co.2, 91 e 93 e 94 bis D.lgs. n. 159/2011-difetto di motivazione, eccesso di potere per difetto di istruttoria, travisamento dei fatti, contraddittorietà, irragionevolezza e ingiustizia manifesta…”, è stata contestata “…l’omessa e/o la contraddittoria valutazione degli elementi di asserita novità evidenziati nella richiesta di aggiornamento dell’informativa antimafia…”.
A conclusione di questo terzo gruppo di censure, in subordine, il ricorrente ha dichiarato che “…seppure si aderisse al debole quadro indiziario ipotizzato dalla Prefettura, si prospetterebbe, quale ulteriore motivo di illegittimità dell’atto impugnato, la violazione dell’art. 94 bis D.lgs n. 159/2011, avendo la stessa omesso di valutare i margini per l’applicazione delle misure di prevenzione collaborativa previste dalla disposizione in parola, verificando in concreto se i tentativi di infiltrazione mafiosa fossero riconducibili a situazioni di agevolazione occasionale…”.
Il secondo ricorso, poi riunito al primo, è stato fondato sulle medesime censure.
La decisione
Il Tribunale Amministrativo, parzialmente accogliendo il primo ricorso, ha innanzitutto rigettato i primi due motivi, rinvenendo la manifesta infondatezza di qualunque supposta illegittimità costituzionale delle norme regolanti le informazioni interdittive antimafia.
Quanto al terzo motivo, il Tribunale lo ha ritenuto parzialmente infondato (nella parte in cui si è sostenuto che vi siano nuovi elementi utili a giustificare una revisione della misura interdittiva) poiché “…per quanto fin qui argomentato, il terzo motivo di ricorso merita sicuro rigetto, dal momento che dalle accennate sopravvenienze fattuali emerge, in positivo, una non ancora maturata soluzione di continuità e/o cesura di rapporti tra la gestione della società ricorrente ed ambienti e/o familiari e/o situazioni che la sembrano tuttora esporre a tentativi di infiltrazione criminosa ricondotti in passato a situazioni di comprovata agevolazione mafiosa…”.
Il Tribunale, tuttavia, ha ritenuto parzialmente accoglibile tale ultimo motivo nella parte in cui si censura la scelta della Prefettura di non tener conto, in sede di riedizione del potere, dell’eventuale ricorrenza di presupposti legittimanti l’applicazione di misure alternative a quella inibitoria, incorrendo dunque nella violazione dell’articolo 94 bis del D.lgs. n. 159/2011.
Sul punto, la sentenza in commento ha disposto che “…la Prefettura di Reggio Calabria, tuttavia, ha proceduto all’esame dell’interdittiva emessa in danno della società -OMISSIS- senza tener conto in sede di riedizione del potere della eventuale ricorrenza dei presupposti legittimanti l’applicazione di misure alternative a quella inibitoria, così incorrendo nella violazione dell’art. 94 bis D.lgs. n. 159/2011 (v. pag. 50 del ricorso).
In altri termini, l’Autorità procedente non risulta aver espressamente chiarito se gli elementi valorizzati in sede di riesame dal ricorrente possano valere in subordine a ricondurre, dequotandoli, i tentativi di infiltrazione mafiosa a situazioni di agevolazione non più cronica ma occasionale, favorendo l’avvio di un percorso di “decontaminazione” della società onde restituirla al libero mercato attraverso gli strumenti di controllo, diretti o diretti, previsti dalla norma recentemente introdotta nell’ordinamento…”.
Per ragioni di completezza, il Tribunale Amministrativo ha ampiamente analizzato i nuovi strumenti collaborativi, ponendoli in rapporto con i già esistenti sistemi di controllo giurisdizionale, chiarendo che “...al pari dell’omologo strumento del controllo giudiziario previsto dall’art. 34 bis D.lgs. n. 159/2011, anche con le misure di prevenzione collaborativa si persegue l’obiettivo di “decontaminare” le attività imprenditoriali sostanzialmente sane (o non del tutto compromesse) e restituirle al libero mercato, attraverso un sistema informato al principio di progressività delle misure di prevenzione, che si intensifica o si riduce in misura proporzionale al “bisogno di prevenzione” dell’operatore economico.
La vicinanza sistematica tra le misure di collaborazione preventiva e il controllo giudiziario ex art. 34 bis D.lgs. n.159/2011 risulta, infatti, confermata dal dato normativo, e segnatamente dalle disposizioni con cui il legislatore ha definito i rapporti tra questi due istituti.
Il riferimento corre, in particolare, all’art. 34 bis, co. I, D.lgs. n. 159/2011, che, come modificato dall’art. 47 D.l. n. 152/2021, consente al Tribunale di disporre il controllo giudiziario anche in sostituzione delle nuove misure di cui all’art. 94 bis n.159/2011.
In questo modo il legislatore ha aperto la strada ad una forma di cooperazione partecipata, questa volta però non tra impresa e Tribunale, bensì tra impresa e autorità amministrativa, consentendo a quest’ultima di “entrare” in azienda e verificare la presenza o meno dei pericoli di infiltrazione mafiosa, senza però esporla al rischio di una paralisi e salvaguardando apprezzabilmente la continuità di esercizio.
L’unica differenza è che si tratta di un controllo “amministrativo” che, in caso di esito positivo, anticipa e sostituisce il controllo giudiziario, e in caso di insuccesso ne ritarda o ne rende solo eventuale l’applicazione…”.
In ragione dell’accertata violazione dell’art. 94 bis D.lgs. n. 159/2011, il primo ricorso è stato ritenuto fondato e l’originaria interdittiva annullata.
Il secondo ricorso, invece, seppur riunito al primo, è stato rigettato poiché, in tale ultima interdittiva, la Prefettura avrebbe invece correttamente giustificato la scelta di non provvedere alle misure alternative.
Quanto alle spese legali, il TAR ha compensato le spese relative al primo ricorso, condannando la ricorrente alle spese del secondo ricorso.