La tutela del consumatore in presenza di clausole vessatorie nei contratti con il professionista
Nei contratti conclusi tra consumatore e professionista, molto spesso, sono presenti delle clausole che prevedono obblighi solo a carico del primo, determinando così uno squilibrio del rapporto contrattuale in favore del contraente forte ovvero del professionista.
Tali clausole sono dette vessatorie e la loro disciplina è contenuta nella Direttiva 93/13/CEE e negli articoli da 33 a 38 del Codice del Consumo (D. Lgs. n. 206 del 6 settembre 2005).
Il caso
La Terza Sezione della Corte di Cassazione, con la recente ordinanza del 26.03.204 n. 8120, ha riconosciuto la vessatorietà delle clausole inserite in un contratto di partecipazione ad un corso professionale per estetisti che consentivano il recesso ad libitum soltanto ad una delle parti e che prevedevano comunque l’obbligo di pagare le rate residue del corso a prescindere dalla causa del recesso.
La Suprema Corte, infatti, ha riconosciuto la qualifica di consumatore della ricorrente sul presupposto che la medesima “…non ha stipulato il contratto nell’esercizio della sua professione, o per scopi inerenti all’attività professionale svolta…”, bensì “…allo scopo di acquisire una professione ossia di diventare professionista in futuro…”.
Secondo i Giudici di legittimità, dunque, si definisce professionista chi “…nel momento in cui stipula, esercita la professione e agisce per finalità a questa inerenti…”; di contro, “…non si può ritenere professionista, e dunque non consumatore, chiunque aspiri ad una professione, che in quel momento tuttavia non ha ancora…”.
L’art. 3 del Codice del Consumo, infatti, definisce il consumatore come “…la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta…”.
Sulla scorta dei su esposti motivi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’aspirante estetista.
Il quadro normativo in tema di “clausole vessatorie”
La disciplina generale delle clausole vessatorie è contenuta nell’art. 1341 c.c., rubricato “Condizioni generali di contratto”, che al secondo comma prevede la specifica approvazione per iscritto, a pena di inefficacia, delle “…condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria…”.
Alla disciplina generale prevista dal citato articolo, era stata affiancata una disciplina specifica delle clausole vessatorie, con l’aggiunta del Capo XIV bis al codice civile, rubricato “Dei contratti del consumatore” e composto da cinque articoli, dal 1469 bis al 1469 sexies.
Senonché, la crescente diffusione dei c.d. contratti per adesione, conclusi mediante la sottoscrizione di moduli precompilati o formulari, ha indotto il legislatore a prevedere una maggiore tutela in favore della parte più debole contrattualmente, quale appunto il consumatore, attraverso la trasposizione dell’intera disciplina relativa ai contratti del consumatore nel Codice del Consumo (artt. 33-38), con conseguente abrogazione degli articoli 1469 bis-1469 sexies del codice civile.
Il Codice del consumo, quindi, raccoglie le principali disposizioni vigenti in materia di tutela dei consumatori, anche in attuazione della normativa europea sulle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori prevista dalla Direttiva 93/13/CEE.
Il Codice del consumo
Si definiscono vessatorie, ai sensi dell’art. 33, comma 1 del Codice del Consumo, quelle clausole che determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
La citata disposizione contiene, al comma 2, un’elencazione delle clausole che si presumono vessatorie sino a prova contraria, tra queste ad esempio, quelle che hanno ad oggetto o per l’effetto: a) di escludere o limitare i diritti del consumatore nei confronti del professionista in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto di quest’ultimo; b) di prevedere un impegno definitivo del consumatore mentre l’esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà; c) di imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo; d) di stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione.
L’accertamento in merito alla vessatorietà o meno di una clausola contrattuale, in ogni caso, compete all’Organo giurisdizionale al quale il consumatore dovrà sempre rivolgersi al fine di ottenere la declaratoria di nullità della clausola abusiva.
Al di là delle ipotesi previste dal comma 2 dell’art. 36, la vessatorietà di una clausola deve essere valutata tenendo conto della natura del bene o del servizio oggetto del contratto oltre che facendo riferimento alle circostanze esistenti al momento della sua conclusione e alle altre clausole del contratto medesimo o di un altro collegato o da cui lo stesso dipende (art. 34 Cod. cons.).
Non sono considerate vessatorie le clausole (o gli elementi di clausola) che siano stati oggetto di specifica negoziazione tra il consumatore e il professionista.
A tal riguardo, il citato art. 34 pone a carico del professionista l’onere di provare che le clausole (o gli elementi di clausola) – specie nei contratti conclusi mediante sottoscrizione di moduli o formulari – siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
La nullità delle clausole vessatorie
L’acclarata vessatorietà delle clausole inserite in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, pertanto, determina la nullità delle stesse, rimanendo il contratto valido per tutto il resto.
Sono da considerarsi nulle, in ogni caso e quindi a prescindere dalle intervenute trattative individuali, quelle clausole che abbiano per oggetto o per effetto:
- escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista;
- escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
- prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
La nullità di cui all’art. 36 Cod. Cons., infatti, rientra nell’ambito delle cd. nullità di protezione, cioè di invalidità poste a tutela degli interessi di una determinata categoria di soggetti, considerati meritevoli di protezione particolare da parte dell’ordinamento giuridico e che, in deroga alla disciplina codicistica in materia di nullità, possono essere fatte valere soltanto dal soggetto protetto dalla sanzione di invalidità e possono essere rilevate d’ufficio dal Giudice.
Conclusioni
Il Codice del Consumo, a differenza della disciplina generale dettata dagli artt. 1341 e 1342 c.c., si rivolge esclusivamente ai contratti sottoscritti tra un consumatore e un professionista, con l’obiettivo di realizzare una tutela più incisiva nei confronti del contraente debole.
Al fine di realizzare tale risultato, il legislatore ha previsto l’applicazione di una sanzione diversa e più efficace rispetto a quella prevista dalle norme del codice civile, volta a riequilibrare il rapporto contrattuale apprestando una maggiore tutela al consumatore quale contraente debole e al fine di contemperare gli interessi delle parti coinvolte.