Il sistema sin qui complessivamente tratteggiato, risente inevitabilmente di una serie di specifici e puntuali interventi che abbiamo definito come “irruzioni esterne” al sistema stesso.
Il referendum costituzionale del 2016
Una prima “irruzione”, che riguarda la posizione e le funzioni delle due camere, discende dagli esiti del “referendum costituzionale” che si è tenuto il 4 dicembre 2016.
La riforma costituzionale sulla quale gli italiani erano chiamati a esprimersi, toccava tra l’altro il bicameralismo perfetto o paritario, caratterizzato dalla presenza di due camere con gli stessi poteri.
L’assunto alla base della riforma era essenzialmente quello secondo cui un assetto pienamente paritario finisce col rallentare il procedimento legislativo. Si prevedeva dunque il superamento di tale piena parità, attraverso un forte ridimensionamento del ruolo del Senato la cui funzione nel processo di approvazione delle leggi veniva limitata a poche e specifiche materie e l’istituzione di un nuovo procedimento legislativo caratterizzato dal cosiddetto “procedimento monocamerale rafforzato” in cui il Senato aveva il solo potere di proporre modifiche alle leggi in discussione alla Camera, senza tuttavia alcun ulteriore passaggio (dunque con la soppressione della cosiddetta “navetta parlamentare”).
Accanto a tale drastica riduzione dei poteri del Senato – in cui la Camera rimaneva l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto mentre il Senato aveva una funzione di rappresentanza delle autonomie regionali – la riforma aveva introdotto un procedimento legislativo caratterizzato da tempi celeri e certi.
L’esito negativo del referendum – analogo alla sorte di tutte le altre “riforme estese” della Costituzione (ricordiamo tra gli altri, la Commissione Bicamerale del 1997 e il referendum costituzionale del 2006 su una riforma che anche in quel caso prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto) – ci restituisce ancora una volta un sistema in cui le due Camere hanno identiche posizioni e funzioni, scelto dai Padri Costituenti per i noti vantaggi in termini di garanzia, equilibrio e maggiore ponderazione nella formazione dei provvedimenti legislativi (vigilando ciascuna camera sull’operato dell’altra) e che, tuttavia, è al tempo stesso caratterizzato da svantaggi altrettanto evidenti, in termini di appesantimento e lentezza del procedimento di legiferazione (in un contesto storico, peraltro, in cui il ruolo del Parlamento è sempre più marginale nonché residuale rispetto a quello del Governo).
Il referendum del 2020 e la riduzione dei parlamentari
Una seconda “irruzione” esterna, riguarda gli esiti del referendum del 20 settembre 2020, sulla legge di revisione costituzionale approvata nell’ottobre del 2019 che ha previsto il taglio del 36,5% del numero dei componenti di entrambi i rami del Parlamento (da 630 a 400 seggi alla Camera dei deputati, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato).
Con tale riforma, da un lato si è voluto favorire il miglioramento del processo decisionale delle Camere (che si riteneva ingolfato anche dall’elevato numero dei parlamentari) e dall’altro, si è voluto incidere sui cosiddetti “costi della politica” (con un risparmio stimato in circa 500 milioni di euro per ciascuna legislatura).
L’esito referendario, differentemente dalle altre occasioni, ha visto una larga approvazione della riforma da parte del corpo elettorale, sicché il 19 ottobre 2020 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge costituzionale 1 del 2020 con cui l’Italia si è sostanzialmente allineata ai più avanzati paesi europei (il sistema parlamentare tedesco, ad esempio, prevede circa 700 parlamentari, quello britannico 650, quello francese poco meno di 600).
I nuovi Collegi e la nuova geografia elettorale
La riforma, che entra in vigore proprio con l’inizio della diciannovesima legislatura ormai alle porte, ha richiesto l’adeguamento della legislazione elettorale (senza alterazione del sistema elettorale vigente) mediante la ridefinizione del numero e della dimensione dei collegi uninominali e plurinominali.
Tale ridefinizione, come stabilito dalla delega contenuta all’articolo 3 della legge 27 maggio 2019 numero 51, è stata affidata ad una Commissione di esperti (la medesima che, nel 2017, aveva elaborato i collegi elettorali) istituita presso il Dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri (presieduta dal Presidente dell’ISTAT e composta da dieci esperti in materia).
La Commissione tecnica, valorizzando essenzialmente i dati demografici, ha quindi elaborato la nuova “geografia elettorale” italiana, trasmettendo al Governo una proposta che, senza esercizio di alcuna discrezionalità politica, è stata integralmente recepita nella predisposizione dello schema di decreto legislativo recante la “Determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, culminata infine nel decreto legislativo del 23 dicembre 2020 numero 177.
Una riforma a metà: gli ulteriori necessari correttivi
A seguito della riforma dell’assetto parlamentare, è stata da più parti avvertita l’esigenza di introdurre ulteriori correttivi finalizzati a bilanciare e riorganizzare gli equilibri interni al Parlamento (con il dichiarato intento di non lasciare incompiuta la riforma iniziata con il taglio dei parlamentari).
Il dibattito si è tra l’altro imperniato sui seguenti temi: riforma dei regolamenti di entrambi i rami del Parlamento; abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato; superamento della base regionale per l’elezione di palazzo Madama a favore di quella circoscrizionale; riduzione da 3 a 2 dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Il tema delle riforme istituzionali è tuttavia uscito dalla discussione pubblica e dall’agenda del parlamento, a seguito della caduta del secondo governo Conte e della necessità di dare priorità agli interventi connessi al piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Il voto ai diciottenni
L’unico correttivo cui ha posto mano il Parlamento è stato l’abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato.
La proposta di legge costituzionale, che abroga la previsione contenuta all’articolo 58 della Costituzione che limitava l’elettorato attivo per il Senato a coloro che avevano compiuto il venticinquesimo anno di età, è stata approvata dal Senato, in seconda deliberazione, l’8 luglio 2021 con una larga maggioranza.
La riforma, anche in tal caso di carattere puntuale, si pone l’obiettivo di rafforzare la partecipazione dei giovani alla vita politica del paese.
Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti, il testo della legge è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2021. Il termine di tre mesi previsto per la richiesta di referendum confermativo è tuttavia scaduto il 14 ottobre 2021. Sicché, la legge costituzionale 18 ottobre 2021 numero 1 recante “Modifica all’articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l’elezione del Senato della Repubblica” è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2021 numero 251.
Con tale riforma, l’elettorato attivo per il Senato della Repubblica è stato uniformato a quello già previsto per la Camera dei deputati, rafforzando ulteriormente quella parità di posizione e funzioni di cui abbiamo detto in premessa, a proposito del bicameralismo pienamente paritario e degli esiti del referendum del 2016.
Le “irruzioni esterne” al sistema elettorale
Il sistema sin qui complessivamente tratteggiato, risente inevitabilmente di una serie di specifici e puntuali interventi che abbiamo definito come “irruzioni esterne” al sistema stesso.
Il referendum costituzionale del 2016
Una prima “irruzione”, che riguarda la posizione e le funzioni delle due camere, discende dagli esiti del “referendum costituzionale” che si è tenuto il 4 dicembre 2016.
La riforma costituzionale sulla quale gli italiani erano chiamati a esprimersi, toccava tra l’altro il bicameralismo perfetto o paritario, caratterizzato dalla presenza di due camere con gli stessi poteri.
L’assunto alla base della riforma era essenzialmente quello secondo cui un assetto pienamente paritario finisce col rallentare il procedimento legislativo. Si prevedeva dunque il superamento di tale piena parità, attraverso un forte ridimensionamento del ruolo del Senato la cui funzione nel processo di approvazione delle leggi veniva limitata a poche e specifiche materie e l’istituzione di un nuovo procedimento legislativo caratterizzato dal cosiddetto “procedimento monocamerale rafforzato” in cui il Senato aveva il solo potere di proporre modifiche alle leggi in discussione alla Camera, senza tuttavia alcun ulteriore passaggio (dunque con la soppressione della cosiddetta “navetta parlamentare”).
Accanto a tale drastica riduzione dei poteri del Senato – in cui la Camera rimaneva l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto mentre il Senato aveva una funzione di rappresentanza delle autonomie regionali – la riforma aveva introdotto un procedimento legislativo caratterizzato da tempi celeri e certi.
L’esito negativo del referendum – analogo alla sorte di tutte le altre “riforme estese” della Costituzione (ricordiamo tra gli altri, la Commissione Bicamerale del 1997 e il referendum costituzionale del 2006 su una riforma che anche in quel caso prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto) – ci restituisce ancora una volta un sistema in cui le due Camere hanno identiche posizioni e funzioni, scelto dai Padri Costituenti per i noti vantaggi in termini di garanzia, equilibrio e maggiore ponderazione nella formazione dei provvedimenti legislativi (vigilando ciascuna camera sull’operato dell’altra) e che, tuttavia, è al tempo stesso caratterizzato da svantaggi altrettanto evidenti, in termini di appesantimento e lentezza del procedimento di legiferazione (in un contesto storico, peraltro, in cui il ruolo del Parlamento è sempre più marginale nonché residuale rispetto a quello del Governo).
Il referendum del 2020 e la riduzione dei parlamentari
Una seconda “irruzione” esterna, riguarda gli esiti del referendum del 20 settembre 2020, sulla legge di revisione costituzionale approvata nell’ottobre del 2019 che ha previsto il taglio del 36,5% del numero dei componenti di entrambi i rami del Parlamento (da 630 a 400 seggi alla Camera dei deputati, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato).
Con tale riforma, da un lato si è voluto favorire il miglioramento del processo decisionale delle Camere (che si riteneva ingolfato anche dall’elevato numero dei parlamentari) e dall’altro, si è voluto incidere sui cosiddetti “costi della politica” (con un risparmio stimato in circa 500 milioni di euro per ciascuna legislatura).
L’esito referendario, differentemente dalle altre occasioni, ha visto una larga approvazione della riforma da parte del corpo elettorale, sicché il 19 ottobre 2020 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge costituzionale 1 del 2020 con cui l’Italia si è sostanzialmente allineata ai più avanzati paesi europei (il sistema parlamentare tedesco, ad esempio, prevede circa 700 parlamentari, quello britannico 650, quello francese poco meno di 600).
I nuovi Collegi e la nuova geografia elettorale
La riforma, che entra in vigore proprio con l’inizio della diciannovesima legislatura ormai alle porte, ha richiesto l’adeguamento della legislazione elettorale (senza alterazione del sistema elettorale vigente) mediante la ridefinizione del numero e della dimensione dei collegi uninominali e plurinominali.
Tale ridefinizione, come stabilito dalla delega contenuta all’articolo 3 della legge 27 maggio 2019 numero 51, è stata affidata ad una Commissione di esperti (la medesima che, nel 2017, aveva elaborato i collegi elettorali) istituita presso il Dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri (presieduta dal Presidente dell’ISTAT e composta da dieci esperti in materia).
La Commissione tecnica, valorizzando essenzialmente i dati demografici, ha quindi elaborato la nuova “geografia elettorale” italiana, trasmettendo al Governo una proposta che, senza esercizio di alcuna discrezionalità politica, è stata integralmente recepita nella predisposizione dello schema di decreto legislativo recante la “Determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, culminata infine nel decreto legislativo del 23 dicembre 2020 numero 177.
Una riforma a metà: gli ulteriori necessari correttivi
A seguito della riforma dell’assetto parlamentare, è stata da più parti avvertita l’esigenza di introdurre ulteriori correttivi finalizzati a bilanciare e riorganizzare gli equilibri interni al Parlamento (con il dichiarato intento di non lasciare incompiuta la riforma iniziata con il taglio dei parlamentari).
Il dibattito si è tra l’altro imperniato sui seguenti temi: riforma dei regolamenti di entrambi i rami del Parlamento; abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato; superamento della base regionale per l’elezione di palazzo Madama a favore di quella circoscrizionale; riduzione da 3 a 2 dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Il tema delle riforme istituzionali è tuttavia uscito dalla discussione pubblica e dall’agenda del parlamento, a seguito della caduta del secondo governo Conte e della necessità di dare priorità agli interventi connessi al piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Il voto ai diciottenni
L’unico correttivo cui ha posto mano il Parlamento è stato l’abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato.
La proposta di legge costituzionale, che abroga la previsione contenuta all’articolo 58 della Costituzione che limitava l’elettorato attivo per il Senato a coloro che avevano compiuto il venticinquesimo anno di età, è stata approvata dal Senato, in seconda deliberazione, l’8 luglio 2021 con una larga maggioranza.
La riforma, anche in tal caso di carattere puntuale, si pone l’obiettivo di rafforzare la partecipazione dei giovani alla vita politica del paese.
Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti, il testo della legge è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2021. Il termine di tre mesi previsto per la richiesta di referendum confermativo è tuttavia scaduto il 14 ottobre 2021. Sicché, la legge costituzionale 18 ottobre 2021 numero 1 recante “Modifica all’articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l’elezione del Senato della Repubblica” è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2021 numero 251.
Con tale riforma, l’elettorato attivo per il Senato della Repubblica è stato uniformato a quello già previsto per la Camera dei deputati, rafforzando ulteriormente quella parità di posizione e funzioni di cui abbiamo detto in premessa, a proposito del bicameralismo pienamente paritario e degli esiti del referendum del 2016.
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Le “irruzioni esterne” al sistema elettorale
Il sistema sin qui complessivamente tratteggiato, risente inevitabilmente di una serie di specifici e puntuali interventi che abbiamo definito come “irruzioni esterne” al sistema stesso.
Il referendum costituzionale del 2016
Una prima “irruzione”, che riguarda la posizione e le funzioni delle due camere, discende dagli esiti del “referendum costituzionale” che si è tenuto il 4 dicembre 2016.
La riforma costituzionale sulla quale gli italiani erano chiamati a esprimersi, toccava tra l’altro il bicameralismo perfetto o paritario, caratterizzato dalla presenza di due camere con gli stessi poteri.
L’assunto alla base della riforma era essenzialmente quello secondo cui un assetto pienamente paritario finisce col rallentare il procedimento legislativo. Si prevedeva dunque il superamento di tale piena parità, attraverso un forte ridimensionamento del ruolo del Senato la cui funzione nel processo di approvazione delle leggi veniva limitata a poche e specifiche materie e l’istituzione di un nuovo procedimento legislativo caratterizzato dal cosiddetto “procedimento monocamerale rafforzato” in cui il Senato aveva il solo potere di proporre modifiche alle leggi in discussione alla Camera, senza tuttavia alcun ulteriore passaggio (dunque con la soppressione della cosiddetta “navetta parlamentare”).
Accanto a tale drastica riduzione dei poteri del Senato – in cui la Camera rimaneva l’unico organo eletto dai cittadini a suffragio universale diretto mentre il Senato aveva una funzione di rappresentanza delle autonomie regionali – la riforma aveva introdotto un procedimento legislativo caratterizzato da tempi celeri e certi.
L’esito negativo del referendum – analogo alla sorte di tutte le altre “riforme estese” della Costituzione (ricordiamo tra gli altri, la Commissione Bicamerale del 1997 e il referendum costituzionale del 2006 su una riforma che anche in quel caso prevedeva il superamento del bicameralismo perfetto) – ci restituisce ancora una volta un sistema in cui le due Camere hanno identiche posizioni e funzioni, scelto dai Padri Costituenti per i noti vantaggi in termini di garanzia, equilibrio e maggiore ponderazione nella formazione dei provvedimenti legislativi (vigilando ciascuna camera sull’operato dell’altra) e che, tuttavia, è al tempo stesso caratterizzato da svantaggi altrettanto evidenti, in termini di appesantimento e lentezza del procedimento di legiferazione (in un contesto storico, peraltro, in cui il ruolo del Parlamento è sempre più marginale nonché residuale rispetto a quello del Governo).
Il referendum del 2020 e la riduzione dei parlamentari
Una seconda “irruzione” esterna, riguarda gli esiti del referendum del 20 settembre 2020, sulla legge di revisione costituzionale approvata nell’ottobre del 2019 che ha previsto il taglio del 36,5% del numero dei componenti di entrambi i rami del Parlamento (da 630 a 400 seggi alla Camera dei deputati, da 315 a 200 seggi elettivi al Senato).
Con tale riforma, da un lato si è voluto favorire il miglioramento del processo decisionale delle Camere (che si riteneva ingolfato anche dall’elevato numero dei parlamentari) e dall’altro, si è voluto incidere sui cosiddetti “costi della politica” (con un risparmio stimato in circa 500 milioni di euro per ciascuna legislatura).
L’esito referendario, differentemente dalle altre occasioni, ha visto una larga approvazione della riforma da parte del corpo elettorale, sicché il 19 ottobre 2020 il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge costituzionale 1 del 2020 con cui l’Italia si è sostanzialmente allineata ai più avanzati paesi europei (il sistema parlamentare tedesco, ad esempio, prevede circa 700 parlamentari, quello britannico 650, quello francese poco meno di 600).
I nuovi Collegi e la nuova geografia elettorale
La riforma, che entra in vigore proprio con l’inizio della diciannovesima legislatura ormai alle porte, ha richiesto l’adeguamento della legislazione elettorale (senza alterazione del sistema elettorale vigente) mediante la ridefinizione del numero e della dimensione dei collegi uninominali e plurinominali.
Tale ridefinizione, come stabilito dalla delega contenuta all’articolo 3 della legge 27 maggio 2019 numero 51, è stata affidata ad una Commissione di esperti (la medesima che, nel 2017, aveva elaborato i collegi elettorali) istituita presso il Dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri (presieduta dal Presidente dell’ISTAT e composta da dieci esperti in materia).
La Commissione tecnica, valorizzando essenzialmente i dati demografici, ha quindi elaborato la nuova “geografia elettorale” italiana, trasmettendo al Governo una proposta che, senza esercizio di alcuna discrezionalità politica, è stata integralmente recepita nella predisposizione dello schema di decreto legislativo recante la “Determinazione dei collegi elettorali uninominali e plurinominali per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica”, culminata infine nel decreto legislativo del 23 dicembre 2020 numero 177.
Una riforma a metà: gli ulteriori necessari correttivi
A seguito della riforma dell’assetto parlamentare, è stata da più parti avvertita l’esigenza di introdurre ulteriori correttivi finalizzati a bilanciare e riorganizzare gli equilibri interni al Parlamento (con il dichiarato intento di non lasciare incompiuta la riforma iniziata con il taglio dei parlamentari).
Il dibattito si è tra l’altro imperniato sui seguenti temi: riforma dei regolamenti di entrambi i rami del Parlamento; abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato; superamento della base regionale per l’elezione di palazzo Madama a favore di quella circoscrizionale; riduzione da 3 a 2 dei delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica.
Il tema delle riforme istituzionali è tuttavia uscito dalla discussione pubblica e dall’agenda del parlamento, a seguito della caduta del secondo governo Conte e della necessità di dare priorità agli interventi connessi al piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).
Il voto ai diciottenni
L’unico correttivo cui ha posto mano il Parlamento è stato l’abbassamento della soglia d’età per il voto al Senato.
La proposta di legge costituzionale, che abroga la previsione contenuta all’articolo 58 della Costituzione che limitava l’elettorato attivo per il Senato a coloro che avevano compiuto il venticinquesimo anno di età, è stata approvata dal Senato, in seconda deliberazione, l’8 luglio 2021 con una larga maggioranza.
La riforma, anche in tal caso di carattere puntuale, si pone l’obiettivo di rafforzare la partecipazione dei giovani alla vita politica del paese.
Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi dei componenti, il testo della legge è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 luglio 2021. Il termine di tre mesi previsto per la richiesta di referendum confermativo è tuttavia scaduto il 14 ottobre 2021. Sicché, la legge costituzionale 18 ottobre 2021 numero 1 recante “Modifica all’articolo 58 della Costituzione, in materia di elettorato per l’elezione del Senato della Repubblica” è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 2021 numero 251.
Con tale riforma, l’elettorato attivo per il Senato della Repubblica è stato uniformato a quello già previsto per la Camera dei deputati, rafforzando ulteriormente quella parità di posizione e funzioni di cui abbiamo detto in premessa, a proposito del bicameralismo pienamente paritario e degli esiti del referendum del 2016.
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