Legami parentali, frequentazioni e interdittive antimafia
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con la recente sentenza n.323 del 16.04.2021, è tornato a pronunziarsi in tema di informative antimafia.
Richiamati i principali approdi della giurisprudenza in materia, sia amministrativa (CGARS, 20.07.2020, n. 641; e 29.7.2016 n. 257; Consiglio di Stato, Sez. III, 25.1.2016 n. 253), che costituzionale (Corte Costituzionale, 26.03.2020, n. 57; ma anche sentenze nn. 2/1956, 23/1964, 68/1964, 113/1975 e 177/1980), che sovranazionale (Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 23.02.2017, De Tommaso c/ Italia), il Giudice Amministrativo d’Appello siciliano ha riaffermato il principio per cui “il legame parentale non costituisce di per sé un indizio dell’infiltrazione mafiosa, specie laddove il parente deriva la propria presunta pericolosità dalla frequentazione di altri soggetti. La pericolosità sociale non si trasferisce infatti automaticamente da un parente all’altro ma occorre almeno ipotizzare che dal rapporto di parentela sia scaturita una cointeressenza in illeciti rapporti o compartecipazione in azioni sospette“.
Muovendo da una tale premessa, si è dunque ritenuta l’illegittimità della informativa interdittiva antimafia oggetto del giudizio d’appello, rilevandosi come, ai superiori fini, non sia sufficiente che la Prefettura si limiti allegare in seno al provvedimento interdittivo, la semplice esistenza di “rapporti parentali” tra esponenti della compagine sociale (attinta dall’informativa) e soggetti esterni ritenuti “controindicati“, “specie se in carenza di elementi (così nella richiamata sentenza n. 640/2020) che la facciano considerare strumento di realizzazione di interessi mafiosi“.
Di talchè, “laddove il nucleo forte della motivazione del provvedimento prefettizio consista nella valorizzazione dei legami affettivi o parentali intercorrenti tra esponenti della compagine sociale e soggetti affiliati o vicini alle consorterie criminali, dovranno con chiarezza emergere gli elementi concreti che abbiano indotto l’Autorità a ritenere il predetto legame affettivo o parentale una via d’accesso agevolata alla gestione dell’impresa. A tal proposito, questo Collegio condivide e ribadisce le posizioni da tempo raggiunte nella giurisprudenza, nel senso che non può dedursi, dal mero vincolo parentale con un soggetto controindicato, non supportato da ulteriori elementi validi, la vocazione criminale del parente stesso: tuttavia, è anche vero che, se non si può scegliere la propria parentela, si può cionondimeno scegliere di prendere le definitive distanze da essa, ove ponga in essere attività non accettabili. Detto altrimenti, ben può il parente di un soggetto riconosciuto affiliato alle consorterie mafiose svolgere attività imprenditoriale, anche interfacciandosi con la committenza pubblica: a condizione, però, che sia chiara la sua distanza concreta e certa dal metodo e dal mondo criminale” (Consiglio di Stato, Sez. III, 08.07.2020, n. 4372).