L'interesse "qualificato" del socio nelle azioni di impugnazioni
Rispondevo osservando come il “discrimen” debba piuttosto ritrovarsi nell’interesse concreto dedotto in giudizio, non nella tipologia della azione esercitata.
Se cioè, il socio agisce in giudizio a tutela d’una propria posizione “endosocietaria” ha l’onere di assolvere agli adempimenti previsti dall’articolo 2378, quale che sia il tipo di azione proposta e sulla base di un principio di “solidarietà” (nel quale si concentrano diversi ed ulteriori principi ed esigenze: dalla stabilità e pubblicità della persona giuridica, alla economicità ed efficienza dell’attività giurisdizionale).
Diversamente, nel caso di azioni proposte da soggetti terzi o con finalità “esosocietarie” gli adempimenti in questione diverrebbero superflui o costituirebbero addirittura un inammissibile ostacolo all’esercizio delle tutele giurisdizionali.
La posizione della dottrina – rispetto alla quale peraltro non ho trovato espliciti riscontri giurisprudenziali – mi è parsa in tal caso poco attenta a quella natura “sociale” ed a quegli “interessi generali”, che pure sono presenti nelle attività d’impresa (e che si riflettono pertanto, nelle relative tutele del socio).