Natura dei Trattamenti improntati sul metodo “Applied Behaviour Analysis” secondo il Consiglio di Stato
La Terza Sezione del Consiglio di Stato con una pronuncia di considerevole rilievo (sentenza numero 8708, pubblicata il 6 ottobre 2023) si è espressa in ordine alla natura dei trattamenti improntati sul metodo Applied Behaviour Analysis, richiamando il principio già enunciato dal Supremo Consesso – sulla scorta della giurisprudenza della Consulta – a mente del quale “il trattamento A.B.A. rientra certamente tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) a norma dell’articolo 60 del D.P.C.M. 12 gennaio 2017 e delle conseguenti Linee di indirizzo dell’Istituto Superiore di Sanità, da ultimo approvate in Conferenza unificata in data 10 maggio 2017, in attuazione della legge 18 agosto 2015, n. 134 (cfr. sent. n. 2129/2022)”.
La fattispecie oggetto di causa
La vicenda ha preso le mosse dal rigetto dell’istanza dei ricorrenti – quali genitori esercenti la potestà sul figlio minore gravemente affetto dal disturbo dello spettro autistico – rivolta alle competenti Aziende Sanitarie, intesa a ricevere l’erogazione, in via diretta o indiretta, delle prestazioni inerenti all’intervento cognitivo comportamentale A.B.A. “in regime anche domiciliare e nei contesti di vita per almeno 25 ore settimanali”.
Ciò, sul rilievo che – a parere dell’Amministrazione sanitaria – l’intervento educativo comportamentale domiciliare richiesto per il minore non rientrerebbe “nel livello essenziale di assistenza autorizzato dalla regione” essendo, invece, prevista la possibilità di erogazione indiretta attraverso contributi da parte della competente Azienda Sanitaria.
Tale diniego è stato formulato sul presupposto della mancanza di un’“espressa e diretta disposizione in tal senso” che, secondo la predetta Amministrazione, rappresentava un insuperabile ostacolo per poter far fronte alle esigenze del minore.
Il ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche
Avverso il menzionato provvedimento di rigetto, gli istanti hanno proposto ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche, deducendo che le prestazioni assistenziali in oggetto rientrerebbero in via interpretativa nei LEA, avuto riguardo all’analisi ermeneutica delle disposizioni normative di cui agli articoli 1, comma 7, e 3 septies, commi 4 e 5, d.lgs. n. 502 del 1992, come riconosciuto peraltro dalla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato (sezione III, sentenza n. 2129/2022).
Istruita la causa, il T.A.R., con sentenza del 13 febbraio 2023, ha dichiarato l’inammissibilità parziale del ricorso e, respingendolo nel merito, ha sostenuto che l’Azienda Sanitaria avesse correttamente fatto applicazione delle norme regionali di riferimento, le quali non prevedono l’erogazione diretta del trattamento A.B.A. da parte dell’Amministrazione competente, ritenendo, inoltre, che i ricorrenti – nel giungere in via interpretativa al ragionamento di cui sopra – non avessero individuato le norme, i provvedimenti o gli atti organizzativi, che disponevano l’erogazione in via diretta della prestazione in oggetto.
L’appello dinanzi al Consiglio di Stato
Avverso la suddetta pronuncia, i ricorrenti, soccombenti in primo grado, hanno proposto appello contestando la statuizione del primo giudice in ordine all’interpretazione delle citate disposizioni normative (articoli 1, comma 7, e 3 septies, commi 4 e 5, del Decreto Legislativo numero 502 del 1992), chiedendo la riforma della stessa, previa sospensione cautelare accolta dalla Sezione.
I motivi di gravame e il compendio normativo di riferimento
Nella specie, le disposizioni normative invocate da parte appellante prevedono, ai sensi dell’articolo 1, comma 7 del Decreto Legislativo numero 502 del 1992, che: “Sono posti a carico del Servizio sanitario le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che presentano, per specifiche condizioni cliniche o di rischio, evidenze scientifiche di un significativo beneficio in termini di salute, a livello individuale o collettivo, a fronte delle risorse impiegate. Inoltre: sono esclusi dai livelli di assistenza erogati a carico del Servizio sanitario nazionale le tipologie di assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie che: a) non rispondono a necessità assistenziali tutelate in base ai princìpi ispiratori del Servizio sanitario nazionale di cui al comma 2; b) non soddisfano il principio dell’efficacia e dell’appropriatezza, ovvero la cui efficacia non è dimostrabile in base alle evidenze scientifiche disponibili o sono utilizzati per soggetti le cui condizioni cliniche non corrispondono alle indicazioni raccomandate; c) in presenza di altre forme di assistenza volte a soddisfare le medesime esigenze, non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse, ovvero non garantiscono un uso efficiente delle risorse quanto a modalità di organizzazione ed erogazione dell’assistenza”.
In proposito, è stato richiamato il contenuto dell’articolo 3 septies, commi 4 e 5, del Decreto Legislativo numero 502 del 1992, a mente del quale: “Le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria e attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da HIV e patologie in fase terminale, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico-degenerative”.
Con ciò, è stato osservato che “le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria sono assicurate dalle aziende sanitarie e comprese nei livelli essenziali di assistenza sanitaria, secondo le modalità individuate dalla vigente normativa e dai piani nazionali e regionali, nonché dai progetti-obiettivo nazionali e regionali. L’art. 60 del d.P.C.M. 12 gennaio 2017, al comma 1, prevede infine che: “Ai sensi della legge 18 agosto 2015, n. 134, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone -OMISSIS-, le prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche”.
La statuizione del Supremo Consesso
Tanto premesso, il Collegio giudicante ha, preliminarmente, osservato che, già nel 2018, la Corte costituzionale (sentenza n. 5/2018) ha avuto modo di chiarire che l’ambito in cui si inscrivono gli interventi previsti dalla legge regionale “è appunto quello dei livelli essenziali di assistenza, poiché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), nell’aggiornare i livelli essenziali di assistenza, ha ricompreso in essi l’assistenza sociosanitaria, tra l’altro, alle persone con disturbi mentali e disabilità”.
Analogamente, ha evidenziato – ancora – il Collegio Supremo che “il menzionato D.P.C.M., agli artt. 25, 26, 27 e 32, ricomprende, in particolare, tra i LEA, rispettivamente, l’assistenza sociosanitaria ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico e del neurosviluppo, l’assistenza sociosanitaria alle persone con disturbi mentali, l’assistenza sociosanitaria alle persone con disabilità, l’assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico e del neurosviluppo”.
Inoltre, “sono garantite alle persone… le prestazioni della diagnosi precoce, della cura e del trattamento individualizzato, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche”.
Col che, secondo il giudice del gravame, non era legittimo “… specie sotto il profilo di una tutela “piena ed effettiva” delle ragioni invocate dal minore… quanto sostenuto dal primo giudice, là dove, confermando la tesi dell’Asur… riguardo al trattamento A.B.A., ritenuto non ricompreso nei LEA, ha escluso l’erogazione per il tramite del SSN”.
E ciò, in quanto il Consiglio di Stato ha più volte affermato, “sulla scorta della giurisprudenza costituzionale, che il trattamento A.B.A… rientra certamente tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) a norma dell’articolo 60 del D.P.C.M. 12 gennaio 2017 e delle conseguenti Linee di indirizzo dell’Istituto Superiore di Sanità, da ultimo approvate in Conferenza unificata in data 10 maggio 20178, in attuazione della legge 18 agosto 2015, n. 134 (cfr. sent. n. 2129/2022)”.
Del resto, secondo il decidente non appare quindi “ragionevole opporsi alla necessità – per vero irrinunciabile – di assicurare l’effettivo trattamento A.B.A. – nella misura sufficiente prevista dalle Linee di indirizzo dell’Istituto Superiore di Sanità – dovendosi ritenere che tali prestazioni, anche attraverso l’erogazione indiretta e, dunque, strumentale, debbano concorrere a realizzare quella “prestazione di risultato” rappresentata dal visto riconoscimento del trattamento A.B.A. nei LEA. Diversamente si giungerebbe ad imporre all’Amministrazione, nel delicato bilanciamento degli interessi in gioco, di valutare elementi non previsti né prevedibili, al momento del provvedimento, trasformando il giudizio discrezionale che le compete in una «forma di intuizionismo insindacabile» (Cons. St., sez. III, 30 maggio 2016, n. 2266), in sede di legittimità, dallo stesso giudice amministrativo, in spregio di fondamentali princìpi quali quelli affermati dagli artt. 24, 97 e 111 Cost”.
Quanto all’analisi degli elementi posti a sostegno del decreto di diniego, nonché della tesi dell’Amministrazione appellata, fondati sulle vigenti norme regionali di riferimento che, anche secondo le conclusioni del primo giudice, non avrebbero previsto l’erogazione diretta del trattamento da parte dell’Amministrazione Sanitaria, il giudice del gravame – in virtù del compendio normativo surriferito – ha rilevato che, malgrado, nelle more del giudizio in commento, era pervenuta da parte dell’Azienda appellata una comunicazione attestante la “presa in carico riabilitativa del minore” – che rappresentava un serio impegno dell’Amministrazione Sanitaria nel garantire le prestazioni de quibus aventi “natura mista, sanitaria e socio-assistenziale”, essa non risultava essere “in piena sintonia con la richiesta del minore sul trattamento”. Ed invero, la suddetta presa in carico aveva in oggetto soltanto parte del trattamento, non potendo in tal modo soddisfare “integralmente le richieste dello stesso minore, tenuto conto del trattamento A.B.A. quale intervento a “carattere multidisciplinare”… multidisciplinarietà che, sul piano concretamente assistenziale, si traduce nella presa in carico globale del paziente autistico, onde garantirne l’integrazione scolastica, sociale, familiare nei diversi “setting” assistenziali”.
Proseguendo, poi, ha chiarito come “anche le prestazioni domiciliari in via indiretta… pur ritenute utili per il minore, non integrano per intero quella prestazione minima di cui il minore ha effettivamente bisogno”.
Il Supremo Consesso ha, in ultimo, puntualizzato che “… lo sforzo dell’amministrazione appellante nel provvedere alle prestazioni invocate non risulta tuttavia sufficiente ad assicurare l’erogazione dell’intervento cognitivo comportamentale A.B.A. in regime domiciliare e nei contesti di vita per almeno 25 ore settimanali, quale numero minimo di ore indicato nelle viste Linee guida”.
Concludendo, con la pronuncia in commento la Terza sezione del Consiglio di Stato – nell’accogliere l’appello proposto, riformando la sentenza impugnata e annullando l’atto dell’Amministrazione Sanitaria – ha confermato, ancora una volta, “che il trattamento A.B.A. rientra certamente tra i livelli essenziali di assistenza (LEA) a norma dell’articolo 60 del D.P.C.M. 12 gennaio 2017 e delle conseguenti Linee di indirizzo dell’Istituto Superiore di Sanità”, assicurando in tal modo l’effettiva erogazione di tali prestazioni sanitarie e socio-assistenziali.