Obbligatorietà del vaccino anti Covid-19: profili di costituzionalità

Il virus da cui è scaturita la pandemia com’è noto, si è caratterizzato per la sua pervasività e diffusione, oltre che per l’elevata possibilità di varianti, con la conseguenza che per fronteggiare l’emergenza sono state adottate misure di protezione molto stringenti per le libertà personali e individuali – come il lock-down – e si è subito proceduto alla preparazione di vaccini.
In tale contesto, il recente dibattito si è concentrato sulla prospettiva di un obbligo vaccinale – non più circoscritto ai soli operatori sanitari e e socio-sanitari, ma – esteso a tutta la popolazione.
La questione è di particolare rilevanza in quanto, alcuni lamentano che la somministrazione del vaccino comporterebbe il rischio di reazioni avverse e di pregiudizi per la salute dei vaccinati, più gravi di quelli che si intenderebbe prevenire, sostenendo che il legislatore non potrebbe imporla obbligatoriamente; al contrario, la comunità scientifica ritiene che la più ampia vaccinazione dei cittadini costituisce una misura necessaria, per garantire la salute soprattutto alle fasce più deboli (anziani e malati) e a coloro che, per particolari patologie non possono vaccinarsi, grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’immunità di gregge.
Si tratta dunque di capire se ricorrano i presupposti e le condizioni per poter dichiarare obbligatoria per tutti i cittadini e trattare alla stessa stregua degli altri vaccini obbligatori, la vaccinazione per prevenire e neutralizzare il virus Covid-19.
Al riguardo, l’articolo 32 della Costituzione prevede che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Dunque, secondo l’articolo 32, nessun trattamento sanitario può essere imposto se non per disposizione di legge (come avviene per i c.d. trattamenti sanitari obbligatori TSO) e la salute non è soltanto un “diritto dell’individuo ma è anche un interesse della collettività”.
Lo ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale con la sentenza numero 5/2018 (Cartabia), respingendo il ricorso della Regione Veneto, che si era opposta all’obbligatorietà dei vaccini previsti dal D.L. n. 73/2017 (c.d. decreto Lorenzin).
Nel nostro paese espliciti obblighi vaccinali sono stati disposti nel 1939 per la difterite, nel 1963 per la vaccinazione antitetanica, nel 1966 per la poliomelite, nel 1991 contro l’epatite virale B e nel 2017 per la pertosse, per l’Haemophilus influenzae tipo B, per il meningococcico B, il meningococcico C, il morbillo, la rosolia, la parotite e la varicella; e la loro violazione determina l’applicazione di sanzioni (in tal senso il citrato D.L. n. 73/2017, che richiede la vaccinazione obbligatoria quale requisito di ammissione ai servizi educativi e per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia).
L’obbligo del vaccino ciononostante, viene percepito da alcuni come una limitazione del “diritto alla salute”, inteso come diritto al rifiuto del trattamento sanitario, di chi non vuole vaccinarsi.
Ciò tuttavia, non ne esclude la legittimità alla luce di quanto prescritto dal comma 2 dell’articolo 32 della Costituzione, poiché il diritto a rifiutare il trattamento sanitario può subire limitazioni ove queste siano volte, non solo alla tutela della salute del singolo che rifiuta il trattamento, ma anche alla tutela di diritti fondamentali di altri consociati che, al contrario, sarebbero lesi proprio dalla scelta del singolo di non curarsi.
Solo se l’obbligo vaccinale fosse accompagnato dall’applicazione di misure di coercizione – che al momento sono escluse – si porrebbero problemi in termini di rispetto della libertà personale di cui all’articolo 13 Costituzione.
La Corte costituzionale si è pronunciata più volte sul tema, a partire dalla sentenza numero 307/1990, passando alla sentenza n. 258/1994 per giungere alla più recente pronuncia resa con la sentenza n. 5/201, con cui ha individuato i presupposti di legittimità dell’obbligo vaccinale rispetto ai principi previsti dall’articolo 32 Costituzione.
In particolare si è ha stabilito che – laddove il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è sottoposto e sia prevista nell’ipotesi di danno del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio la corresponsione di un’equa indennità – la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art 32 Costituzione.
Questa è stata la posizione che la Corte costituzionale ha assunto con la prima decisione in materia, la sentenza n. 307 del 1990 con la quale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della L. 4 febbraio 1966, n. 51 sull’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica.
In questa sentenza, la si afferma che “la vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l’ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l’art. 32 della Costituzione. Tale precetto nel primo comma definisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana ….; ed inoltre che, la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’articolo 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto a migliorare o a preservare lo Stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”.
In altri termini, la Corte Costituzionale ha enunciato una serie di principi che disciplinano il bilanciamento del diritto alla salute, con la libertà personale e l’autodeterminazione, operando una valutazione sulla base della dimensione collettiva di tale diritto e del principio di solidarietà, ricavabile dall’articolo 2 della Costituzione, con cui ha giustificato l’imposizione del trattamento sanitario e la compressione del diritto all’autodeterminazione.
La stessa linea è stata seguita sia con la con sentenza n. 218 del 02.06.1994, con cui si è stabilito che la tutela della salute implica anche il “dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri; sia ancora  più di recente, con la sentenza n. 268/2017 che ha stabilito che gli obblighi di vaccinazioni obbligatorie possono essere considerati necessari in una società democratica.
E da ultimo, con la sentenza numero n. 5 del 2018, relativa alla legittimità costituzionale del D.L. n. 73 del 2017, convertito dalla L. n. 119 del 2017, in materia di vaccinazioni obbligatorie per i minori fino a 16 anni di età in seguito al quesito sottoposto alla Corte dalla Regione Veneto.
Anche in tale occasione, la Consulta ha sottolineato che, ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione che pone accanto al diritto della salute l’interesse della collettività,  la scelta di imporre come obbligatori determinati trattamenti vaccinali, poiché volta a tutelare la salute individuale e collettiva, fondata sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie, non è una scelta illegittima o irragionevole.
Rimane ferma in ogni caso la necessità, prevista dal Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2021/953 del 14.06.2021, al punto 36, di “evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti Covid -19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate”.
La pandemia ci ha mostrato che ciascuno, potendo influenzare gli altri e la loro vita solamente respirando, non è un’entità isolata e a sé stante ed ha fatto emergere l’esigenza di una ridefinizione delle nostre libertà sul nostro corpo e sui doveri morali che siamo tenuto a considerare verso noi stessi e gli altri.
Se è vero poi, che la pandemia da Covid-19 costituisce una grave emergenza sanitaria e che i vaccini sono efficaci e sicuri, allora dal punto di vista etico è doveroso vaccinarsi, perché ciascuno di noi ha il diritto di tutelare la propria vita e la propria salute ed il dovere di non mettere a rischio quella degli altri (traendo il dovere morale della vaccinazione fondamento proprio dal principio di tutela della salute e della vita come valori assoluti).
L’aumento delle conoscenze ed il controllo che le scienze mediche stanno via via assumendo sul controllo delle malattie e della vita porta a far sì che, l’autonomia individuale allarghi l’ambito delle responsabilità personali e assuma una dimensione sociale e socializzante ed in tale nuovo contesto di autonomia socializzata non può che ammettersi che, sul piano etico e morale, vaccinarsi è giusto e doveroso e non il contrario.
 

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Obbligatorietà del vaccino anti Covid-19: profili di costituzionalità

Published On: 22 Settembre 2021

Il virus da cui è scaturita la pandemia com’è noto, si è caratterizzato per la sua pervasività e diffusione, oltre che per l’elevata possibilità di varianti, con la conseguenza che per fronteggiare l’emergenza sono state adottate misure di protezione molto stringenti per le libertà personali e individuali – come il lock-down – e si è subito proceduto alla preparazione di vaccini.
In tale contesto, il recente dibattito si è concentrato sulla prospettiva di un obbligo vaccinale – non più circoscritto ai soli operatori sanitari e e socio-sanitari, ma – esteso a tutta la popolazione.
La questione è di particolare rilevanza in quanto, alcuni lamentano che la somministrazione del vaccino comporterebbe il rischio di reazioni avverse e di pregiudizi per la salute dei vaccinati, più gravi di quelli che si intenderebbe prevenire, sostenendo che il legislatore non potrebbe imporla obbligatoriamente; al contrario, la comunità scientifica ritiene che la più ampia vaccinazione dei cittadini costituisce una misura necessaria, per garantire la salute soprattutto alle fasce più deboli (anziani e malati) e a coloro che, per particolari patologie non possono vaccinarsi, grazie al raggiungimento dell’obiettivo dell’immunità di gregge.
Si tratta dunque di capire se ricorrano i presupposti e le condizioni per poter dichiarare obbligatoria per tutti i cittadini e trattare alla stessa stregua degli altri vaccini obbligatori, la vaccinazione per prevenire e neutralizzare il virus Covid-19.
Al riguardo, l’articolo 32 della Costituzione prevede che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
Dunque, secondo l’articolo 32, nessun trattamento sanitario può essere imposto se non per disposizione di legge (come avviene per i c.d. trattamenti sanitari obbligatori TSO) e la salute non è soltanto un “diritto dell’individuo ma è anche un interesse della collettività”.
Lo ha riconosciuto la stessa Corte costituzionale con la sentenza numero 5/2018 (Cartabia), respingendo il ricorso della Regione Veneto, che si era opposta all’obbligatorietà dei vaccini previsti dal D.L. n. 73/2017 (c.d. decreto Lorenzin).
Nel nostro paese espliciti obblighi vaccinali sono stati disposti nel 1939 per la difterite, nel 1963 per la vaccinazione antitetanica, nel 1966 per la poliomelite, nel 1991 contro l’epatite virale B e nel 2017 per la pertosse, per l’Haemophilus influenzae tipo B, per il meningococcico B, il meningococcico C, il morbillo, la rosolia, la parotite e la varicella; e la loro violazione determina l’applicazione di sanzioni (in tal senso il citrato D.L. n. 73/2017, che richiede la vaccinazione obbligatoria quale requisito di ammissione ai servizi educativi e per l’infanzia e alle scuole dell’infanzia).
L’obbligo del vaccino ciononostante, viene percepito da alcuni come una limitazione del “diritto alla salute”, inteso come diritto al rifiuto del trattamento sanitario, di chi non vuole vaccinarsi.
Ciò tuttavia, non ne esclude la legittimità alla luce di quanto prescritto dal comma 2 dell’articolo 32 della Costituzione, poiché il diritto a rifiutare il trattamento sanitario può subire limitazioni ove queste siano volte, non solo alla tutela della salute del singolo che rifiuta il trattamento, ma anche alla tutela di diritti fondamentali di altri consociati che, al contrario, sarebbero lesi proprio dalla scelta del singolo di non curarsi.
Solo se l’obbligo vaccinale fosse accompagnato dall’applicazione di misure di coercizione – che al momento sono escluse – si porrebbero problemi in termini di rispetto della libertà personale di cui all’articolo 13 Costituzione.
La Corte costituzionale si è pronunciata più volte sul tema, a partire dalla sentenza numero 307/1990, passando alla sentenza n. 258/1994 per giungere alla più recente pronuncia resa con la sentenza n. 5/201, con cui ha individuato i presupposti di legittimità dell’obbligo vaccinale rispetto ai principi previsti dall’articolo 32 Costituzione.
In particolare si è ha stabilito che – laddove il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è sottoposto e sia prevista nell’ipotesi di danno del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio la corresponsione di un’equa indennità – la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art 32 Costituzione.
Questa è stata la posizione che la Corte costituzionale ha assunto con la prima decisione in materia, la sentenza n. 307 del 1990 con la quale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale della L. 4 febbraio 1966, n. 51 sull’obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica.
In questa sentenza, la si afferma che “la vaccinazione antipoliomielitica per bambini entro il primo anno di vita, come regolata dalla norma denunciata, che ne fa obbligo ai genitori, ai tutori o agli affidatari, comminando agli obbligati l’ammenda per il caso di inosservanza, costituisce uno di quei trattamenti sanitari obbligatori cui fa riferimento l’art. 32 della Costituzione. Tale precetto nel primo comma definisce la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività; nel secondo comma, sottopone i detti trattamenti a riserva di legge e fa salvi, anche rispetto alla legge, i limiti imposti dal rispetto della persona umana ….; ed inoltre che, la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’articolo 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto a migliorare o a preservare lo Stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale”.
In altri termini, la Corte Costituzionale ha enunciato una serie di principi che disciplinano il bilanciamento del diritto alla salute, con la libertà personale e l’autodeterminazione, operando una valutazione sulla base della dimensione collettiva di tale diritto e del principio di solidarietà, ricavabile dall’articolo 2 della Costituzione, con cui ha giustificato l’imposizione del trattamento sanitario e la compressione del diritto all’autodeterminazione.
La stessa linea è stata seguita sia con la con sentenza n. 218 del 02.06.1994, con cui si è stabilito che la tutela della salute implica anche il “dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza del principio generale che vede il diritto di ciascuno trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri; sia ancora  più di recente, con la sentenza n. 268/2017 che ha stabilito che gli obblighi di vaccinazioni obbligatorie possono essere considerati necessari in una società democratica.
E da ultimo, con la sentenza numero n. 5 del 2018, relativa alla legittimità costituzionale del D.L. n. 73 del 2017, convertito dalla L. n. 119 del 2017, in materia di vaccinazioni obbligatorie per i minori fino a 16 anni di età in seguito al quesito sottoposto alla Corte dalla Regione Veneto.
Anche in tale occasione, la Consulta ha sottolineato che, ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione che pone accanto al diritto della salute l’interesse della collettività,  la scelta di imporre come obbligatori determinati trattamenti vaccinali, poiché volta a tutelare la salute individuale e collettiva, fondata sul dovere di solidarietà nel prevenire e limitare la diffusione di alcune malattie, non è una scelta illegittima o irragionevole.
Rimane ferma in ogni caso la necessità, prevista dal Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2021/953 del 14.06.2021, al punto 36, di “evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti Covid -19 è attualmente somministrato o consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate”.
La pandemia ci ha mostrato che ciascuno, potendo influenzare gli altri e la loro vita solamente respirando, non è un’entità isolata e a sé stante ed ha fatto emergere l’esigenza di una ridefinizione delle nostre libertà sul nostro corpo e sui doveri morali che siamo tenuto a considerare verso noi stessi e gli altri.
Se è vero poi, che la pandemia da Covid-19 costituisce una grave emergenza sanitaria e che i vaccini sono efficaci e sicuri, allora dal punto di vista etico è doveroso vaccinarsi, perché ciascuno di noi ha il diritto di tutelare la propria vita e la propria salute ed il dovere di non mettere a rischio quella degli altri (traendo il dovere morale della vaccinazione fondamento proprio dal principio di tutela della salute e della vita come valori assoluti).
L’aumento delle conoscenze ed il controllo che le scienze mediche stanno via via assumendo sul controllo delle malattie e della vita porta a far sì che, l’autonomia individuale allarghi l’ambito delle responsabilità personali e assuma una dimensione sociale e socializzante ed in tale nuovo contesto di autonomia socializzata non può che ammettersi che, sul piano etico e morale, vaccinarsi è giusto e doveroso e non il contrario.
 

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