Il DDL Zan e i limiti alla libertà di espressione

Published On: 4 Agosto 2021

L’ attenzione mediatica al disegno di legge noto come “DdL Zan”, approvato ormai otto mesi fa alla Camera dei Deputati e attualmente in discussione al Senato, è sintomo di una moltitudine di questioni ad esso sottese.
Nonostante il risalto dato dai detrattori all’utilizzo della pena quale strumento di condizionamento dei comportamenti dei cittadini (cd. diritto penale promozionale), va sottolineato che tale funzione “simbolica” affianca la volontà di proteggere il bene giuridico della dignità dei soggetti che hanno subito e subiscono discriminazioni non più accettabili (correttamente paragonate alla xenofobia dal Parlamento Europeo).
Tale disegno di legge inoltre, va inquadrato in una tendenza europea al ricorso alla legislazione penale al fine di fronteggiare tali manifestazioni di odio omolesbotransbifobico (l’Italia infatti, è l’unico paese fondatore a non essersi ancora dotato di tale strumento), a cui gli stati membri sono comunque vincolati dalla Direttiva 2012/29/UE (sinora rimasta lettera morta).
Al fine di mitigare le preoccupazioni di coloro che temono per la libertà di pensiero e opinione, dovrebbe essere posto al centro del dibattito giuridico e politico la circostanza che, anche in questo caso, la creazione di nuovi “reati di opinione” esula dalla volontà del legislatore.
Il testo infatti, amplia l’ambito di applicazione del solo reato di istigazione e non quello del reato di propaganda, al fine di escludere ogni polemica giuridica circa il diverso contemperamento degli interessi in gioco, tentando inoltre l’inserimento di una clausola di esclusione della punibilità al tanto famigerato articolo 4.
Ed è proprio la formulazione monca di tale articolo che può generare critiche da parte dell’attento giurista, nonostante questo non abbia in effetti ricadute in sede dibattimentale sull’applicazione degli articoli 604bis e ter, poiché la libera manifestazione del pensiero è comunque tutelata dall’articolo 21 della Costituzione (e la giurisprudenza formatasi negli ultimi trent’anni sulla cd. Legge Mancino scongiuri il rischio di derive autoritarie).
Il disegno di legge in discussione pertanto, nonostante pecchi di ingenuità nella formulazione, non presenta di certo i paventati pericoli e, anzi, troverà scarsissima applicazione nelle aule, stante la dovuta rilevanza data all’elemento soggettivo, così difficile da provare.
La reale importanza di tale intervento si riscontra, invero, nella volontà di dichiarare ai cittadini che lo Stato italiano condanna e punisce coloro che si sentono in diritto di poter agire violentemente – fisicamente e verbalmente – sull’esclusivo presupposto di una differenza che differenza non è, nel tentativo di far acquisire (nel più breve tempo possibile) quei sentimenti di consapevolezza e riconoscimento nei confronti dell’altro.
Dott. Francesco Giuseppe Marino

About the Author: Redazione

Condividi

Il DDL Zan e i limiti alla libertà di espressione

Published On: 4 Agosto 2021

L’ attenzione mediatica al disegno di legge noto come “DdL Zan”, approvato ormai otto mesi fa alla Camera dei Deputati e attualmente in discussione al Senato, è sintomo di una moltitudine di questioni ad esso sottese.
Nonostante il risalto dato dai detrattori all’utilizzo della pena quale strumento di condizionamento dei comportamenti dei cittadini (cd. diritto penale promozionale), va sottolineato che tale funzione “simbolica” affianca la volontà di proteggere il bene giuridico della dignità dei soggetti che hanno subito e subiscono discriminazioni non più accettabili (correttamente paragonate alla xenofobia dal Parlamento Europeo).
Tale disegno di legge inoltre, va inquadrato in una tendenza europea al ricorso alla legislazione penale al fine di fronteggiare tali manifestazioni di odio omolesbotransbifobico (l’Italia infatti, è l’unico paese fondatore a non essersi ancora dotato di tale strumento), a cui gli stati membri sono comunque vincolati dalla Direttiva 2012/29/UE (sinora rimasta lettera morta).
Al fine di mitigare le preoccupazioni di coloro che temono per la libertà di pensiero e opinione, dovrebbe essere posto al centro del dibattito giuridico e politico la circostanza che, anche in questo caso, la creazione di nuovi “reati di opinione” esula dalla volontà del legislatore.
Il testo infatti, amplia l’ambito di applicazione del solo reato di istigazione e non quello del reato di propaganda, al fine di escludere ogni polemica giuridica circa il diverso contemperamento degli interessi in gioco, tentando inoltre l’inserimento di una clausola di esclusione della punibilità al tanto famigerato articolo 4.
Ed è proprio la formulazione monca di tale articolo che può generare critiche da parte dell’attento giurista, nonostante questo non abbia in effetti ricadute in sede dibattimentale sull’applicazione degli articoli 604bis e ter, poiché la libera manifestazione del pensiero è comunque tutelata dall’articolo 21 della Costituzione (e la giurisprudenza formatasi negli ultimi trent’anni sulla cd. Legge Mancino scongiuri il rischio di derive autoritarie).
Il disegno di legge in discussione pertanto, nonostante pecchi di ingenuità nella formulazione, non presenta di certo i paventati pericoli e, anzi, troverà scarsissima applicazione nelle aule, stante la dovuta rilevanza data all’elemento soggettivo, così difficile da provare.
La reale importanza di tale intervento si riscontra, invero, nella volontà di dichiarare ai cittadini che lo Stato italiano condanna e punisce coloro che si sentono in diritto di poter agire violentemente – fisicamente e verbalmente – sull’esclusivo presupposto di una differenza che differenza non è, nel tentativo di far acquisire (nel più breve tempo possibile) quei sentimenti di consapevolezza e riconoscimento nei confronti dell’altro.
Dott. Francesco Giuseppe Marino

About the Author: Redazione