Trasferimento del dipendente con figli fino a tre anni: la norma al vaglio della Consulta

Published On: 14 Giugno 2024Categories: Normativa, Tutele

La Corte costituzionale, con la recente sentenza numero 99 depositata il 4 giugno 2024, si è espressa in merito alla legittimità costituzionale dell’articolo 42˗bis, comma 1, del decreto legislativo numero 151 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto “…ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa…”, anziché ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa.

La fattispecie da cui trae origine la pronuncia

Il caso trae origine dal ricorso al TAR promosso da una Vigile del Fuoco la quale, avendo un figlio di minore di tre anni residente in una regione differente dalla propria sede di servizio, aveva richiesto all’amministrazione di essere temporaneamente trasferita presso la citta di residenza del proprio nucleo familiare.

L’amministrazione denegava il trasferimento in ragione, tra l’altro, del fatto che il coniuge dell’interessata prestava servizio in una regione differente da quella della sede in cui era stato richiesto il trasferimento.

Il Tribunale Amministrativo, rigettando la tesi dell’amministrazione, accoglieva il ricorso ritenendo, per quanto di interesse, non ostativo all’accoglimento dell’istanza il fatto che il coniuge della ricorrente prestasse servizio in una regione diversa da quella della sede presso cui era stato richiesto il trasferimento, posto che, nella medesima provincia di tale sede, era stata fissata la residenza del nucleo familiare.

Ad avviso del giudice di primo grado, infatti, l’art. 42˗bis, comma 1, del decreto legislativo numero 151 del 2001 – laddove prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto “…ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa…” –  non andrebbe interpretato “…in senso strettamente letterale a pena di avallare situazioni palesemente irragionevoli come quella in cui il coniuge lavori a pochi chilometri dalla sede in cui viene richiesto il trasferimento ma questa si trovi oltre il confine di una diversa regione…”, pena l’irragionevolezza della norma.

La decisione veniva appellata dall’amministrazione innanzi al Consiglio di Stato che ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale del succitato articolo 42-bis del decreto legislativo 151 del 2001 nella parte in cui subordina la possibilità di ottenere il trasferimento temporaneo al fatto che “…il coniuge del richiedente abbia la propria attività lavorativa (e non l’attività lavorativa o la residenza del nucleo familiare, ove le nozioni non coincidano) nella stessa Provincia o Regione ove è ubicata la sede di servizio presso la quale si domanda il trasferimento…”.

Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, in relazione a tale disposizione non sarebbe possibile accogliere l’interpretazione adeguatrice seguita dal TAR, posto che la stessa, “…pur muovendo da premesse pienamente condivisibili…”, sarebbe “…impedita dal chiaro tenore letterale della disposizione…” censurata.

Pertanto, proprio in ragione dell’impossibilità di dare alla norma un’interpretazione costituzionalmente orientata, secondo il giudice rimettente la sua applicazione letterale condurrebbe, nel caso in esame, ad un esito irragionevole e, dunque, contrario all’articolo 3 della Costituzione, nonché contrastante con la tutela costituzionale della famiglia, della genitorialità e dell’infanzia, ai sensi degli articoli 29, 30 e 31 della Carta Costituzionale.

La pronuncia della Corte Costituzionale

La Consulta, al fine di esprimersi sulla legittimità costituzionale della succitata norma, con la decisione in rassegna, ha in primo luogo definito il perimetro dello scrutinio di costituzionalità delle disposizioni normative, chiarendo che “…le scelte del legislatore concernenti i criteri selettivi per il riconoscimento di benefici pubblici devono essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza … Ciò è stato affermato anche in relazione a disposizioni che limitavano, in maniera irragionevole, l’ambito soggettivo di applicazione di permessi o congedi straordinari per l’assistenza di familiari (sentenze n. 232 del 2018 e n. 213 del 2016)…”.

Pertanto, in tali casi, il vaglio di costituzionalità “…va operato all’interno della specifica disposizione, al fine di verificare se vi sia una ragionevole correlazione tra la condizione prevista per l’ammissibilità al beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio…” e deve svolgersi “…secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto (sentenza n. 44 del 2020)…”.

Poste tali premesse metodologiche, la Consulta ha osservato come nel caso in esame, il legislatore statale, nel consentire ai dipendenti pubblici di ottenere il trasferimento temporaneo solo “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”, abbia introdotto un requisito “…che condiziona il concreto ambito di applicazione dell’istituto, anche sul piano soggettivo. In base a tale previsione, infatti, è stata esclusa in radice la possibilità di accedere al beneficio del trasferimento per quei dipendenti pubblici che hanno deciso di fissare la residenza familiare (ove vive il figlio minore) in una regione o provincia diversa da quelle in cui lavorano entrambi i genitori…”.

Orbene, proprio alla luce della sopramenzionata premessa metodologica fatta propria dalla costante giurisprudenza costituzionale, la Consulta ha ritenuto che “…una simile restrizione legale dell’ambito di applicazione dell’istituto non risulta essere ragionevole rispetto alla finalità, anche di rilievo costituzionale, che il trasferimento temporaneo mira ad assolvere…”.

E ciò, in quanto il trasferimento temporaneo dei dipendenti pubblici è “…chiaramente preordinato alla realizzazione dell’obiettivo costituzionale di sostegno e promozione della famiglia, dell’infanzia e della parità dei genitori nell’accudire i figli…”, essendo indubbio che la ratio di tale istituto è quella di favorire la ricomposizione dei nuclei familiari nei primissimi anni di vita dei figli, nel caso in cui i genitori si trovino a vivere separati per esigenze lavorative.

Invero, il trasferimento temporaneo “«…ha la funzione di agevolare la cura dei minori nella primissima infanzia», proteggendo quindi «i valori della famiglia, e più in generale della genitorialità, tutelati dall’art. 30 della Costituzione […] e dal successivo art. 31 […]» (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 16 febbraio 2021, n. 1418)…”.

A fronte di una simile ratio dell’istituto, non risulta dunque ragionevole consentire il trasferimento temporaneo del genitore che sia dipendente pubblico solo nella provincia o regione in cui lavora l’altro genitore: tale limitazione, infatti, si fonda sul presupposto per cui il figlio minore da accudire si trovi necessariamente nella medesima provincia o regione in cui è fissata la sede lavorativa dell’altro genitore.

Una simile presunzione non tiene peraltro adeguatamente conto “…della maggiore complessità ed eterogeneità che viene oggi a caratterizzare l’organizzazione della vita familiare, alla luce delle trasformazioni che hanno investito sia le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, grazie anche alle nuove tecnologie, sia i sistemi di trasporto”.

La Consulta dunque ha rilevato che “…proprio in virtù di tali trasformazioni, la disposizione censurata, nel consentire l’assegnazione temporanea del dipendente pubblico solo ad una sede che si trova nella provincia o regione in cui lavora l’altro genitore, non assicura una tutela adeguata in favore di quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano in regioni diverse da quelle in cui è stata fissata la residenza familiare: situazione che, nella realtà, è divenuta sempre meno rara…”.

È dunque proprio in relazione a tali casi che appare rispondente alla finalità dell’istituto “…consentire almeno a uno dei genitori di lavorare, sia pur nel primo triennio di vita del minore, in una sede che si trova nella regione o nella provincia in cui è stata fissata la residenza della famiglia e, quindi, in cui è domiciliato il minore (ai sensi dell’art. 45, comma secondo, del codice civile)…”.

Sulla scorta delle superiori concorrenti ragioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42bis, comma 1, del decreto legislativo numero 151 del 2001, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”, anziché “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa”.

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Published On: 14 Giugno 2024

La Corte costituzionale, con la recente sentenza numero 99 depositata il 4 giugno 2024, si è espressa in merito alla legittimità costituzionale dell’articolo 42˗bis, comma 1, del decreto legislativo numero 151 del 2001 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto “…ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa…”, anziché ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa.

La fattispecie da cui trae origine la pronuncia

Il caso trae origine dal ricorso al TAR promosso da una Vigile del Fuoco la quale, avendo un figlio di minore di tre anni residente in una regione differente dalla propria sede di servizio, aveva richiesto all’amministrazione di essere temporaneamente trasferita presso la citta di residenza del proprio nucleo familiare.

L’amministrazione denegava il trasferimento in ragione, tra l’altro, del fatto che il coniuge dell’interessata prestava servizio in una regione differente da quella della sede in cui era stato richiesto il trasferimento.

Il Tribunale Amministrativo, rigettando la tesi dell’amministrazione, accoglieva il ricorso ritenendo, per quanto di interesse, non ostativo all’accoglimento dell’istanza il fatto che il coniuge della ricorrente prestasse servizio in una regione diversa da quella della sede presso cui era stato richiesto il trasferimento, posto che, nella medesima provincia di tale sede, era stata fissata la residenza del nucleo familiare.

Ad avviso del giudice di primo grado, infatti, l’art. 42˗bis, comma 1, del decreto legislativo numero 151 del 2001 – laddove prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto “…ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa…” –  non andrebbe interpretato “…in senso strettamente letterale a pena di avallare situazioni palesemente irragionevoli come quella in cui il coniuge lavori a pochi chilometri dalla sede in cui viene richiesto il trasferimento ma questa si trovi oltre il confine di una diversa regione…”, pena l’irragionevolezza della norma.

La decisione veniva appellata dall’amministrazione innanzi al Consiglio di Stato che ha ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale del succitato articolo 42-bis del decreto legislativo 151 del 2001 nella parte in cui subordina la possibilità di ottenere il trasferimento temporaneo al fatto che “…il coniuge del richiedente abbia la propria attività lavorativa (e non l’attività lavorativa o la residenza del nucleo familiare, ove le nozioni non coincidano) nella stessa Provincia o Regione ove è ubicata la sede di servizio presso la quale si domanda il trasferimento…”.

Ad avviso del Consiglio di Stato, infatti, in relazione a tale disposizione non sarebbe possibile accogliere l’interpretazione adeguatrice seguita dal TAR, posto che la stessa, “…pur muovendo da premesse pienamente condivisibili…”, sarebbe “…impedita dal chiaro tenore letterale della disposizione…” censurata.

Pertanto, proprio in ragione dell’impossibilità di dare alla norma un’interpretazione costituzionalmente orientata, secondo il giudice rimettente la sua applicazione letterale condurrebbe, nel caso in esame, ad un esito irragionevole e, dunque, contrario all’articolo 3 della Costituzione, nonché contrastante con la tutela costituzionale della famiglia, della genitorialità e dell’infanzia, ai sensi degli articoli 29, 30 e 31 della Carta Costituzionale.

La pronuncia della Corte Costituzionale

La Consulta, al fine di esprimersi sulla legittimità costituzionale della succitata norma, con la decisione in rassegna, ha in primo luogo definito il perimetro dello scrutinio di costituzionalità delle disposizioni normative, chiarendo che “…le scelte del legislatore concernenti i criteri selettivi per il riconoscimento di benefici pubblici devono essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio di ragionevolezza … Ciò è stato affermato anche in relazione a disposizioni che limitavano, in maniera irragionevole, l’ambito soggettivo di applicazione di permessi o congedi straordinari per l’assistenza di familiari (sentenze n. 232 del 2018 e n. 213 del 2016)…”.

Pertanto, in tali casi, il vaglio di costituzionalità “…va operato all’interno della specifica disposizione, al fine di verificare se vi sia una ragionevole correlazione tra la condizione prevista per l’ammissibilità al beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio…” e deve svolgersi “…secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto (sentenza n. 44 del 2020)…”.

Poste tali premesse metodologiche, la Consulta ha osservato come nel caso in esame, il legislatore statale, nel consentire ai dipendenti pubblici di ottenere il trasferimento temporaneo solo “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”, abbia introdotto un requisito “…che condiziona il concreto ambito di applicazione dell’istituto, anche sul piano soggettivo. In base a tale previsione, infatti, è stata esclusa in radice la possibilità di accedere al beneficio del trasferimento per quei dipendenti pubblici che hanno deciso di fissare la residenza familiare (ove vive il figlio minore) in una regione o provincia diversa da quelle in cui lavorano entrambi i genitori…”.

Orbene, proprio alla luce della sopramenzionata premessa metodologica fatta propria dalla costante giurisprudenza costituzionale, la Consulta ha ritenuto che “…una simile restrizione legale dell’ambito di applicazione dell’istituto non risulta essere ragionevole rispetto alla finalità, anche di rilievo costituzionale, che il trasferimento temporaneo mira ad assolvere…”.

E ciò, in quanto il trasferimento temporaneo dei dipendenti pubblici è “…chiaramente preordinato alla realizzazione dell’obiettivo costituzionale di sostegno e promozione della famiglia, dell’infanzia e della parità dei genitori nell’accudire i figli…”, essendo indubbio che la ratio di tale istituto è quella di favorire la ricomposizione dei nuclei familiari nei primissimi anni di vita dei figli, nel caso in cui i genitori si trovino a vivere separati per esigenze lavorative.

Invero, il trasferimento temporaneo “«…ha la funzione di agevolare la cura dei minori nella primissima infanzia», proteggendo quindi «i valori della famiglia, e più in generale della genitorialità, tutelati dall’art. 30 della Costituzione […] e dal successivo art. 31 […]» (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 16 febbraio 2021, n. 1418)…”.

A fronte di una simile ratio dell’istituto, non risulta dunque ragionevole consentire il trasferimento temporaneo del genitore che sia dipendente pubblico solo nella provincia o regione in cui lavora l’altro genitore: tale limitazione, infatti, si fonda sul presupposto per cui il figlio minore da accudire si trovi necessariamente nella medesima provincia o regione in cui è fissata la sede lavorativa dell’altro genitore.

Una simile presunzione non tiene peraltro adeguatamente conto “…della maggiore complessità ed eterogeneità che viene oggi a caratterizzare l’organizzazione della vita familiare, alla luce delle trasformazioni che hanno investito sia le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, grazie anche alle nuove tecnologie, sia i sistemi di trasporto”.

La Consulta dunque ha rilevato che “…proprio in virtù di tali trasformazioni, la disposizione censurata, nel consentire l’assegnazione temporanea del dipendente pubblico solo ad una sede che si trova nella provincia o regione in cui lavora l’altro genitore, non assicura una tutela adeguata in favore di quei nuclei familiari in cui entrambi i genitori lavorano in regioni diverse da quelle in cui è stata fissata la residenza familiare: situazione che, nella realtà, è divenuta sempre meno rara…”.

È dunque proprio in relazione a tali casi che appare rispondente alla finalità dell’istituto “…consentire almeno a uno dei genitori di lavorare, sia pur nel primo triennio di vita del minore, in una sede che si trova nella regione o nella provincia in cui è stata fissata la residenza della famiglia e, quindi, in cui è domiciliato il minore (ai sensi dell’art. 45, comma secondo, del codice civile)…”.

Sulla scorta delle superiori concorrenti ragioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42bis, comma 1, del decreto legislativo numero 151 del 2001, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, nella parte in cui prevede che il trasferimento temporaneo del dipendente pubblico, con figli minori fino a tre anni di età, possa essere disposto “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l’altro genitore esercita la propria attività lavorativa”, anziché “ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale è fissata la residenza della famiglia o nella quale l’altro genitore eserciti la propria attività lavorativa”.

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