Voto minimo di laurea: è legittimo quale requisito di ammissione ad un pubblico concorso ?
Il TAR Lazio di Roma, con la decisione del 15 febbraio 2019 n. 2112, ha ritenuto illegittima la clausola del bando di concorso che richiedeva, quale requisito di ammissione alla procedura selettiva indetta per la copertura d’un profilo professionale di ottava qualifica funzionale, un voto minimo di laurea (nella specie, 105/110).
A tali conclusioni, il TAR romano è pervenuto osservando preliminarmente come, il d.P.R. n. 487/1994, avente ad oggetto il “Regolamento recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi”, all’articolo 2 (rubricato “Requisiti generali”), disponge testualmente al comma 6, che “per l’accesso a profili professionali di ottava qualifica funzionale è richiesto il solo diploma di laurea” e al precedente comma 2 che “per l’ammissione a particolari profili professionali di qualifica o categoria gli ordinamenti delle singole amministrazioni possono prescrivere ulteriori requisiti”.
Rilevata ancora la incontestata riferibilità del citato comma 6 al profilo professionale oggetto della vicenda concreta (nella specie, “Ingegnere Professionista”) “in ragione della sua assimilabilità alla qualifica funzionale ivi indicata (l’ottava)”, il Collegio ha ritenuto di verificare, in via preliminare, “…se da quanto stabilito al comma 6 possa effettivamente trarsi il principio, invocato dalla ricorrente, di inammissibilità, in linea generale, della previsione di un voto minimo di laurea ai fini dell’accesso alla partecipazione ad un concorso pubblico nonché, in caso affermativo, la riconducibilità alla deroga di cui al comma 2 della contestata disposizione del bando di concorso impugnato…”
Quanto alla prima questione, il Collegio ha ritenuto che “..indubbiamente, il disposto di cui al comma 6 dell’articolo 2, nella parte in cui prevede che “è richiesto il solo diploma di laurea”, non possa che essere interpretato se non nel senso che il possesso del titolo della laurea sia di per sé requisito sufficiente ai fini della partecipazione al concorso ivi disciplinato indipendentemente dal voto finale riportato e, che, pertanto, il comma 6 esprima effettivamente un principio di ordine generale in subiecta materia…”.
E ciò precisandosi inoltre “..anche in ragione del tenore testuale delle disposizioni richiamate, che – in generale – la previsione di un voto minimo di laurea ai fini dell’accesso alla procedura concorsuale effettivamente finisca per interferire con detto principio, conformemente a quanto già affermato dalla giurisprudenza di questo T.A.R. secondo cui “il possesso del titolo della laurea con un punteggio minimo è evidentemente diverso dal mero possesso del titolo della laurea e, proprio in quanto il voto minimo di laurea si aggiunge al requisito generale, questo finisce per acquisire la valenza di requisito ulteriore” (Sezione II, sentenze n. 1491/2015 e n. 1493/2015)…”.
Quanto alla seconda questione (“se, in concreto, un siffatto requisito possa legittimamente essere previsto nel concorso per cui è causa in ragione della sua riconducibilità al citato comma 2”), il Collegio ha in via preliminare precisato come “..la deroga ivi prevista, operando in relazione ad un principio di valenza generale, trovi – dunque – applicazione solo nei ristretti e circoscritti limiti nei quali è prevista, con la conseguenza che la “particolarità” del profilo professionale di qualifica o di categoria debba essere necessariamente intesa ed interpretata in senso non ampliativo…”.
Nello specifico, il Collegio – respingendo gli argomenti sostenuti in giudizio dall’ente resistente (ENAC) – ha ritenuto non sussistente “effettivamente ed in pieno” la predetta particolarità, osservando, innanzi tutto, come “..manc(asse) in seno al bando impugnato e negli atti ad esso presupposti ogni, seppur minimo, riferimento puntuale alla specificità delle funzioni che i vincitori della procedura saranno chiamati a svolgere a seguito della loro assunzione nel profilo professionale in questione…”.
E ciò, precisandosi come “..la discrezionalità dell’amministrazione di richiedere il conseguimento di un determinato punteggio di laurea ai fini dell’accesso ad una procedura concorsuale per l’assunzione in un profilo professionale quale quello di cui si discorre, pari o assimilabile all’ottava qualifica funzionale, incontri un limite nella necessità di giustificare la razionalità di uno sbarramento preselettivo di tale fatta, attraverso un’adeguata motivazione a supporto della disposta deroga al principio generale di cui al richiamato art. 2, comma 6, del d.P.R. n. 487/1994, vigente in materia (in tal senso, sempre questo Tribunale, Sezione I, n. 13180/2015)…”.
Né, la pretesa particolarità del profilo professionale in questione, può nello specifico ricondursi – come sostenuto in atti dall’Amministrazione resistente – genericamente a “l’importanza e la delicatezza del ruolo che i professionisti esplicano attraverso la prestazione degli apporti specialistici secondo la rispettiva professione da essi garantita all’ente a garanzia della correttezza del quotidiano operare” (come previsto a pag. 79 del relativo C.C.N.L. per il personale dirigente E.N.A.C. 2002/2005), considerato che la prestazione di apporti specialistici a garanzia della correttezza del quotidiano operare dell’ente consegue ordinariamente al rapporto di impiego con un ente, quale l’ENAC, deputato allo svolgimento di attività che tutte devono essere intese come di particolare rilievo.
Neanche detta circostanza, quindi, ad avviso del Collegio, può di per sé giustificare la previsione di un ulteriore requisito di accesso alla relativa procedura selettiva, “…integrando essa – come visto – una deroga al principio generale, vigente in materia, sancito al citato art. 2, comma 6, del d.P.R. n. 487/1994, che non può dunque fondarsi sulla semplice volontà dell’ente di limitare preventivamente il numero dei partecipanti al concorso (in senso conforme, T.A.R. Lazio, Sezione II, sentenze n. 1491/2015 e n. 1493/201 – già citate – entrambe rese nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze)…”
In conclusione quindi il TAR romano ha ritenuto che ENAC, tramite la clausola del bando che richiedeva un voto minimo di laurea, avesse “…inteso introdurre un illegittimo indice selettivo, correlato ad un predeterminato obiettivo di preparazione culturale degli aspiranti concorrenti, con il fine precipuo di escludere dalla partecipazione al concorso i soggetti che abbiano ottenuto risultati meno brillanti nel corso degli studi universitari, per di più adottando un parametro (il voto di laurea) che, a ben vedere, potrebbe non rappresentare un indice attendibile di preparazione del candidato, dipendendo esso da un rilevante numero di variabili (tra gli altri, il tipo di laurea conseguito e presso quale Università)…” (come sostenuto in atti da parte ricorrente).
Da ciò, l’accoglimento del ricorso, con l’annullamento del bando di concorso impugnato, “..nei soli limiti dell’interesse dedotto in giudizio, con conseguente ammissione in via definitiva ..” di parte ricorrente alla procedura concorsuale per cui è causa.