La ripartizione dell’onere probatorio nella responsabilità medica
La Corte di Cassazione è recentemente tornata a pronunciarsi in materia di responsabilità medica e, precisamente, in merito alla ripartizione dell’onere della prova tra il creditore-danneggiato e la struttura sanitaria e/o il sanitario, chiarendo che è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica (o l’insorgenza di nuove patologie) e l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre è onere della debitrice – ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio – dimostrare la causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione.
È quanto statuito con la sentenza n. 27151 del 22 settembre 2023, con cui i Giudici di legittimità hanno chiarito che, nell’ipotesi in cui il paziente dimostri di aver subito un danno in conseguenza dell’attività svolta dal medico, in esecuzione dell’obbligazione contrattuale assunta dalla struttura sanitaria con il paziente, “…tanto la responsabilità della struttura quanto quella del medico vanno qualificate in termini di responsabilità contrattuale…”, con ciò che ne consegue in termini di riparto dell’onere probatorio.
Osserva la Suprema Corte – con la citata sentenza – come la responsabilità della struttura sanitaria debba essere inquadrata nella cornice degli artt. 1218 e 1228 c.c. “…in quanto conseguente all’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto atipico di spedalità o di assistenza sanitaria, che la stessa deve adempiere personalmente (rispondendone ex art. 1218 c.c.) o mediante il personale sanitario (rispondendone ex art. 1228 c.c.)…”.
Nel caso di specie, anche la responsabilità del sanitario – secondo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione – deve essere ricondotta all’ambito della responsabilità contrattuale “…in quanto conseguente alla violazione di un obbligo di comportamento fondato sulla buona fede e funzionale a tutelare l’affidamento sorto in capo al paziente in seguito al contatto sociale avuto con il medico…”.
Conseguentemente, dall’inquadramento del rapporto in ambito contrattuale discende che il danneggiato dovrà provare l’esistenza del c.d. contratto di spedalità (o contatto sociale), l’insorgenza o l’aggravamento della patologia e allegare l’inadempimento o l’inesatto adempimento del medico idoneo a provocare il danno lamentato; spettando invece alla controparte la prova dell’esatto adempimento della prestazione o la mancanza del nesso causale tra l’inadempimento e l’evento dannoso.
La sentenza della Suprema Corte ci offre lo spunto per confrontare il diverso regime di operatività dell’onere probatorio nell’ambito della responsabilità medica, tanto della struttura sanitaria quanto dei singoli professionisti, alla luce della riforma operata in tale ambito dalla legge n. 24 dell’8 marzo 2017 (c.d. Gelli-Bianco) attualmente in vigore.
La legge n. 24 del 2017 c.d. Gelli-Bianco
Il legislatore, con la legge n. 24 dell’8 marzo 2017 denominata anche legge Gelli-Bianco, ha varato un’importante riforma della responsabilità derivante dall’esercizio di attività sanitaria, introducendo un sistema a doppio binario.
Se da un lato, infatti, la responsabilità della struttura sanitaria (pubblica o privata) è stata inquadrata nell’ambito contrattuale, in ragione del c.d. contratto atipico di spedalità, con cui la stessa – a fronte dell’accettazione del paziente – si impegna a fornire una serie di prestazioni, mettendo a disposizione di quest’ultimo il proprio personale sanitario nonché le attrezzature e le cure necessarie; dall’altro, la responsabilità del medico per i danni cagionati ai pazienti a seguito della propria condotta colposa è stata inquadrata nell’ambito dell’art. 2043 c.c., assumendo natura extracontrattuale, fatta eccezione per le prestazioni rese in regime di libera professione c.d. intra moenia, come nel caso oggetto della sentenza su indicata.
La circostanza che la natura della responsabilità del sanitario sia di tipo extracontrattuale o aquiliana ha importanti conseguenze sia in termini di allocazione degli oneri probatori che di prescrizione.
E infatti, il danneggiato che vuole agire – oltre che nei confronti della struttura sanitaria – anche nei confronti del medico, ha un maggiore onere probatorio, in quanto dovrà dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie illecita e quindi, non solo la causalità materiale, ma anche l’inosservanza delle regole di diligenza professionale da parte del professionista e il suo diritto sarà assoggettato al termine prescrizionale di cinque anni e non di dieci come nel caso di azione promossa nei confronti della struttura sanitaria.
Conclusioni
Si può affermare che la legge Gelli-Bianco ha ridefinito i contorni della responsabilità medica, decontrattualizzando la responsabilità del medico (dipendente o meno dalla struttura sanitaria) che abbia cagionato un danno o un peggioramento delle condizioni del paziente nell’esercizio della sua attività.
Ciò che ha comportato maggiori oneri probatori a carico del danneggiato, il quale non potrà limitarsi a dimostrare che il danno o l’aggravamento delle proprie condizioni di salute sia eziologicamente collegato all’inadempimento della prestazione da parte del sanitario ma dovrà provare tutti gli elementi della fattispecie illecita ai sensi dell’art. 2043 c.c. e quindi, anche l’inosservanza delle regole di diligenza professionale da parte del medico, con evidente minor rischio di condanna di quest’ultimo.
Rimane ferma, invece, la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, sia essa pubblica o privata, che risponderà dei danni cagionati personalmente che per fatto dei propri dipendenti in virtù del c.d. contratto di spedalità o contatto sociale instauratosi a seguito dell’accettazione del paziente all’interno della stessa.