Limiti alla riproponibilità della domanda di risarcimento dei danni

Il Tribunale Amministrativo Regionale di Parma, con la sentenza del 15 ottobre 2018 numero 253, ha ribadito il principio per cui deve essere dichiarata inammissibile la domanda di risarcimento danni riproposta in via autonoma, dopo essere stata respinta da una precedente sentenza per mancanza di prova.
I Giudici emiliani, hanno in primo luogo evidenziato che “..in tema di azioni di risarcimento del danno, il pregiudizio subito deve essere non solo allegato, ma anche provato, e la circostanza che la prova non sia stata fornita equivale, da un punto di vista sostanziale – e con riferimento al medesimo approfondimento di merito operato dal Giudice sulla questione a lui sottoposta – ad un esito negativo delle risultanze probatorie offerte..”.
Il Tar ha poi sottolineato come, in tali casi, anche nel processo amministrativo “..si verifica il medesimo meccanismo di preclusione processuale previsto dal combinato disposto di cui all’art. 324 c.p.c. (giudicato formale) e art. 2909 c.c. (giudicato sostanziale), secondo cui, una volta che sia stata pronunciata in via definitiva la regola di giudizio tra due o più parti su una specifica controversia giuridica, il dictum del Giudice non può più essere messo in discussione da quelle stesse parti o dai loro eredi o aventi causa…”.
In particolare, al fine di poter stabilire se una determinata domanda è stata già oggetto di accertamento giurisdizionale (e pertanto non può essere nuovamente decisa), occorre fare riferimento ai limiti oggettivi che sono segnati dai suoi elementi, come tali rilevanti per l’identificazione dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si fonda, costituiti dal titolo della stessa azione (causa petendi) e dal bene della vita che ne forma l’oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato (petitum immediato).

Entro questi limiti, infatti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, restando salva e impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove “…che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o quantomeno,  che non fossero deducibili nel giudizio in cui il giudicato si è formato…”.

Sul punto, il Collegio precisa inoltre che “..il “deducibile” può considerarsi tale se e in quanto ne fosse possibile l’allegazione nel giudizio coperto da giudicato; invero, il giudicato non preclude la possibilità di far valere danni non obiettivamente accertabili nell’ambito di una ragionevole previsione, così che non possono comprendersi nella cosa giudicata i danni non ancora manifestatisi e non prevedibili, mentre devono essere ricompresi i danni che, pur esplicando i propri effetti in futuro, derivano da un postumo presente all’epoca del primo processo non ignoto alla parte, o comunque colpevolmente ignorato (e dunque non allegato) dalla parte stessa…”.

In conclusione pertanto il Tar – rilevata l’impossibilità di esame del merito dell’azione risarcitoria proposta nel caso in esame, per la preclusione processuale e sostanziale rappresentata dalla formazione del giudicato in precedenti giudizi promossi dai ricorrenti con medesimo petitum e causa petendi – ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni proposta in ricorso.

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Limiti alla riproponibilità della domanda di risarcimento dei danni

Published On: 26 Ottobre 2018

Il Tribunale Amministrativo Regionale di Parma, con la sentenza del 15 ottobre 2018 numero 253, ha ribadito il principio per cui deve essere dichiarata inammissibile la domanda di risarcimento danni riproposta in via autonoma, dopo essere stata respinta da una precedente sentenza per mancanza di prova.
I Giudici emiliani, hanno in primo luogo evidenziato che “..in tema di azioni di risarcimento del danno, il pregiudizio subito deve essere non solo allegato, ma anche provato, e la circostanza che la prova non sia stata fornita equivale, da un punto di vista sostanziale – e con riferimento al medesimo approfondimento di merito operato dal Giudice sulla questione a lui sottoposta – ad un esito negativo delle risultanze probatorie offerte..”.
Il Tar ha poi sottolineato come, in tali casi, anche nel processo amministrativo “..si verifica il medesimo meccanismo di preclusione processuale previsto dal combinato disposto di cui all’art. 324 c.p.c. (giudicato formale) e art. 2909 c.c. (giudicato sostanziale), secondo cui, una volta che sia stata pronunciata in via definitiva la regola di giudizio tra due o più parti su una specifica controversia giuridica, il dictum del Giudice non può più essere messo in discussione da quelle stesse parti o dai loro eredi o aventi causa…”.
In particolare, al fine di poter stabilire se una determinata domanda è stata già oggetto di accertamento giurisdizionale (e pertanto non può essere nuovamente decisa), occorre fare riferimento ai limiti oggettivi che sono segnati dai suoi elementi, come tali rilevanti per l’identificazione dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si fonda, costituiti dal titolo della stessa azione (causa petendi) e dal bene della vita che ne forma l’oggetto (petitum mediato), a prescindere dal tipo di sentenza adottato (petitum immediato).

Entro questi limiti, infatti, il giudicato copre il dedotto e il deducibile, restando salva e impregiudicata soltanto la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove “…che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o quantomeno,  che non fossero deducibili nel giudizio in cui il giudicato si è formato…”.

Sul punto, il Collegio precisa inoltre che “..il “deducibile” può considerarsi tale se e in quanto ne fosse possibile l’allegazione nel giudizio coperto da giudicato; invero, il giudicato non preclude la possibilità di far valere danni non obiettivamente accertabili nell’ambito di una ragionevole previsione, così che non possono comprendersi nella cosa giudicata i danni non ancora manifestatisi e non prevedibili, mentre devono essere ricompresi i danni che, pur esplicando i propri effetti in futuro, derivano da un postumo presente all’epoca del primo processo non ignoto alla parte, o comunque colpevolmente ignorato (e dunque non allegato) dalla parte stessa…”.

In conclusione pertanto il Tar – rilevata l’impossibilità di esame del merito dell’azione risarcitoria proposta nel caso in esame, per la preclusione processuale e sostanziale rappresentata dalla formazione del giudicato in precedenti giudizi promossi dai ricorrenti con medesimo petitum e causa petendi – ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento dei danni proposta in ricorso.

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