Informative antimafia: motivazione e partecipazione in sede di riesame
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con la recente sentenza n. 152 del 31.01.2022, torna a pronunziarsi in tema di informative antimafia, affermando importanti principi in ordine all’obbligo di motivazione rafforzata e partecipazione procedimentale nel caso di istanza di revisione e/o aggiornamento di precedenti interdittive prefettizie.
In particolare, il Supremo Consesso della Giustizia Amministrativa siciliana riafferma come il provvedimento che rigetta un’istanza di revisione o aggiornamento di precedenti informative antimafia interdittive “necessita di una motivazione particolarmente rafforzata” e “adeguata”, derivando tale esigenza “dall’assunto che l’informazione antimafia dal contenuto interdittivo è soggetta al limite temporale di validità di mesi dodici”, ai sensi dell’art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 (a norma del quale “l’informazione antimafia, acquisita dai soggetti di cui all’articolo 83, commi 1 e 2, con le modalità di cui all’articolo 92, ha una validità di dodici mesi dalla data dell’acquisizione”).
Sul carattere della “temporaneità” dei provvedimenti prefettizi antimafia – ricorda ancora il Collegio – si è in particolare pronunziata l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 3 del 2018, e da ultimo la Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 13 dicembre 2021, n. 8309 (che abbiamo analizzato qui).
In tale arresto, condiviso dal Collegio giudicante nella decisione in rassegna, è stato invero già evidenziato come “il decorso del termine annuale ex art. 86, comma 2, d.lgs. n. 159/2011 non produce ex se la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, il quale, una volta spirato il termine suindicato, dovrebbe considerarsi tamquam non esset, ma produce l’effetto (strumentale e procedimentale) di imporre all’Autorità prefettizia il riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distillato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva. Tale conclusione interpretativa, del resto, è l’unica coerente con l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario”; sicchè – conclude, sul punto, la sentenza richiamata – “al decorso del suddetto termine annuale non può essere attribuito l’effetto di determinare automaticamente la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, ma quella di legittimare il soggetto interdetto a presentare un’istanza volta a sollecitare il riesame del provvedimento medesimo, alla luce delle circostanze sopravvenute alla sua adozione e tali da giustificare la rivalutazione da parte della Prefettura dei relativi presupposti, ovvero consentire recta via alla Prefettura di procedere alla attualizzazione della prognosi infiltrativa, laddove sia venuta a conoscenza di circostanze suscettibili di estinguere o attenuare il pericolo di condizionamento mafioso”.
Il Consiglio di Giustizia, inoltre, puntualizza come la necessità di “una motivazione più approfondita e che prenda in considerazione gli elementi forniti dalla parte nell’istanza ”, derivi anche dal mutamento della posizione soggettiva dell’istante.
Infatti, rileva il Collegio, “nel contestare il provvedimento interdittivo si è in presenza di un interesse legittimo oppositivo”, laddove invece “con la richiesta di riesame del precedente provvedimento l’interesse legittimo si converte in pretensivo”.
Chiarito tale primo aspetto, concernente la corretta motivazione del provvedimento prefettizio che decide sulla istanza di riesame, il Collegio coglie infine l’occasione per soffermarsi sulla partecipazione procedimentale, pervenendo all’affermazione secondo cui l’iter di revisione/aggiornamento delle informative antimafia, in quanto “procedimento ad istanza di parte”, soggiace ai principi ed alle regole poste dalla legge 241/1990.
Ciò, anche avuto riguardo all’ art. 10 bis l. n. 241/1990, con la conseguente necessità per la Prefettura procedente di “instaurare ..un vero e proprio contraddittorio con l’interessato, in grado di condizionare i contenuti del provvedimento finale”, “necessità della partecipazione del privato al procedimento” oggi peraltro “riconosciuta .. dal legislatore fin dalla fase antecedente all’adozione della primigenia informazione interdittiva ai sensi dell’art. 48 d.l. n. 152/2021 come convertito dalla legge n. 233/2021”.
Sulla scorta di tali coordinate, quindi, il Consiglio di Giustizia – nel confermare l’esito di primo grado – ha ritenuto illegittimo il provvedimento prefettizio impugnato che aveva denegato il riesame di una precedente informativa antimafia, limitandosi a valorizzare “gli stessi elementi posti a fondamento del primigenio provvedimento interdittivo che viene formalmente trascritto nella parte motiva”.