Vincoli conformativi ed espropriativi: presupposti e regime giuridico

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con la recente sentenza n. 298 del 09.03.2022, ha affrontato il tema dei limiti al diritto di proprietà derivanti dalle prescrizioni urbanistiche, soffermandosi in particolare sulla distinzione tra vincoli di natura conformativa e vincoli di natura espropriativa.

La vicenda da cui è scaturito il contenzioso

La controversia decisa in appello concerneva l’annullamento da parte di un’autorità comunale di una concessione edilizia formatasi tacitamente, ai sensi dell’art. 2 della legge regionale siciliana n. 17 del 94, per un intervento edilizio da realizzarsi – in massima parte – in una zona di Piano Regolatore “S.P” di tipo “c/P” (nello specifico destinata a “Servizi di quartiere” di tipo c/P, aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e per lo sport” e per la quale le Norme di attuazione prevedevano che “le aree destinate a servizi pubblici di quartiere dovranno essere acquisite dal Comune”).

L’autorità comunale, in particolare, ricevuta la comunicazione di avvio dei lavori, dapprima li sospendeva e, quindi, annullava la concessione edilizia tacita.

Ciò, principalmente sostenendo che l’ubicazione dell’intervento in detta zona “Sp (Servizi di quartiere) di tipo c/P”, era con esso incompatibile, trattandosi d’una zonizzazione da cui discendeva un vincolo conformativo, e – in tesi – non espropriativo, pertanto “non soggetto pertanto a limiti temporali  e rispetto al quale non sarebbe applicabile l’indice residuo di zona bianca di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 327 del 2001 (indice volumetrico di 0.003 mc/mq all’esterno del centro abitato)“. Indice che era stato, invece, considerato dal privato, al momento di presentare istanza di permesso di costruire, sul diverso ed opposto presupposto che si trattava d’un vincolo espropriativo, ormai decaduto col decorso del relativo termine di legge.

La decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa

Adito dal ricorrente, rimasto soccombente in prime cure, il CGA con la decisione in rassegna, ha alla fine ritenuto illegittimo l’annullamento del titolo edilizio, qualificando il vincolo sussistente sull’area di intervento come espropriativo e non conformativo.

In particolare, il Supremo Consesso, nell’esaminare la questione sottoposta al suo esame, ha ritenuto dirimente la qualificazione del vincolo in termini conformativi o espropriativi, in quanto solo nel primo caso sussiste il limite temporale di efficacia, alla cui scadenza sarebbe applicabile l’indice residuo di zona bianca.

Rammentato che la distinzione fra vincoli espropriativi e conformativi “…intercetta una linea di discrimine che ha un fondamento costituzionale nell’art. 42 Cost., che distingue l’espropriazione (terzo comma) dai limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma)…”, il CGA ha quindi ed in primo luogo ribadito come “i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata”, laddove “la caratteristica del vincolo conformativo è invece data dal fatto che con esso si provvede a una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche”.

Dunque, ha sottolineato il Collegio, solo i vincoli di natura espropriativa svuotano sostanzialmente di contenuto il diritto di proprietà su di un determinato bene”.

Al contrario, non hanno carattere ablatorio i “vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale”, come ad esempio “il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, in quanto tali ultime conformazioni non azzerano il contenuto del diritto di proprietà limitandosi a finalizzarlo a un interesse generale”,  sicché è consentito – in via di principio – “uno sfruttamento economico privatistico armonico con la destinazione impressa”

Il Collegio ha quindi ricordato altresì che “il potere di pianificazione urbanistica del territorio non è .. circoscritto alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e ai limiti edificatori delle stesse”, specificando che “esso si misura con un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale”.

Detto ciò in termini generali,  il Collegio ha ritenuto che nella specifica vicenda oggetto di scrutinio, risultasse dirimente la disciplina contenuta nelle Norme di attuazione, la quale, come anticipato, prescriveva che “le aree destinate a servizi pubblici di quartiere dovranno essere acquisite dal Comune”.

Sulla base di ciò, il Collegio ha quindi evidenziato che “se l’Amministrazione non solo conforma le regole edificatorie…ma decide di acquisirne la proprietà viene .. meno il presupposto minimo del vincolo conformativo, cioè la titolarità del bene in capo al privato. Non può quindi affermarsi che esso costituisca un vincolo conformativo con validità a tempo indeterminato e senza obbligo di indennizzo in quanto il regime imposto dall’Amministrazione non determina solo la classificazione quale area destinata ai servizi pubblici, per la quale è previsto un particolare canone di realizzabilità delle opere, ma è preordinato a far venir meno la stessa titolarità del bene in capo al privato modo pieno ed esclusivo del diritto di proprietà (anche se conformato)”.

Dunque nel caso di specie – ha concluso il Collegio – “il bene non rimane nella titolarità del proprietario, così determinandosi una valenza espropriativa del vincolo, alla cui scadenza operano gli indici della zona bianca proprio in ragione della necessaria definizione temporale del vincolo espropriativo”.

Infine, il Supremo Consesso, nel tracciare la distinzione delle previsioni urbanistiche conformative ed espropriative, ha ritenuto di richiamare “la insuperata giurisprudenza costituzionale”, in materia di cd. “espropriazione di valore” (sentenze 20 gennaio 1966 n. 6 e 29 maggio 1968 n. 55).

In particolare, si legge nella decisione in commento che “i principi costituzionali impongano l’enunciazione di un’ampia nozione di espropriazione, rispetto a quella tradizionalmente affermata: questa non consiste soltanto nella ablazione del diritto di proprietà o nella imposizione di un diritto reale in re aliena, come quello di servitù, ma deriva anche da un provvedimento amministrativo che determina un sostanziale annientamento delle facoltà giuridiche del proprietario e il consequenziale deprezzamento del bene sul mercato (sentenza n. 6 del 1966)”; mentre sarebbero “…al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, «che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene» (Corte cost., 20 maggio 1979 n. 179)”.

Conclusioni

Sulla scorta di tali considerazioni, il Consiglio di Giustizia Amministrativa – nel riformare la decisione di primo grado – ha accolto l’appello proposto dal privato ed ha annullato il provvedimento impugnato, siccome fondato su una errata qualificazione della prescrizione urbanistica contenuta nelle Norme di attuazione applicabili.

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Vincoli conformativi ed espropriativi: presupposti e regime giuridico

Published On: 14 Marzo 2022

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, con la recente sentenza n. 298 del 09.03.2022, ha affrontato il tema dei limiti al diritto di proprietà derivanti dalle prescrizioni urbanistiche, soffermandosi in particolare sulla distinzione tra vincoli di natura conformativa e vincoli di natura espropriativa.

La vicenda da cui è scaturito il contenzioso

La controversia decisa in appello concerneva l’annullamento da parte di un’autorità comunale di una concessione edilizia formatasi tacitamente, ai sensi dell’art. 2 della legge regionale siciliana n. 17 del 94, per un intervento edilizio da realizzarsi – in massima parte – in una zona di Piano Regolatore “S.P” di tipo “c/P” (nello specifico destinata a “Servizi di quartiere” di tipo c/P, aree per spazi pubblici attrezzati a parco e per il gioco e per lo sport” e per la quale le Norme di attuazione prevedevano che “le aree destinate a servizi pubblici di quartiere dovranno essere acquisite dal Comune”).

L’autorità comunale, in particolare, ricevuta la comunicazione di avvio dei lavori, dapprima li sospendeva e, quindi, annullava la concessione edilizia tacita.

Ciò, principalmente sostenendo che l’ubicazione dell’intervento in detta zona “Sp (Servizi di quartiere) di tipo c/P”, era con esso incompatibile, trattandosi d’una zonizzazione da cui discendeva un vincolo conformativo, e – in tesi – non espropriativo, pertanto “non soggetto pertanto a limiti temporali  e rispetto al quale non sarebbe applicabile l’indice residuo di zona bianca di cui all’art. 9 del d.P.R. n. 327 del 2001 (indice volumetrico di 0.003 mc/mq all’esterno del centro abitato)“. Indice che era stato, invece, considerato dal privato, al momento di presentare istanza di permesso di costruire, sul diverso ed opposto presupposto che si trattava d’un vincolo espropriativo, ormai decaduto col decorso del relativo termine di legge.

La decisione del Consiglio di Giustizia Amministrativa

Adito dal ricorrente, rimasto soccombente in prime cure, il CGA con la decisione in rassegna, ha alla fine ritenuto illegittimo l’annullamento del titolo edilizio, qualificando il vincolo sussistente sull’area di intervento come espropriativo e non conformativo.

In particolare, il Supremo Consesso, nell’esaminare la questione sottoposta al suo esame, ha ritenuto dirimente la qualificazione del vincolo in termini conformativi o espropriativi, in quanto solo nel primo caso sussiste il limite temporale di efficacia, alla cui scadenza sarebbe applicabile l’indice residuo di zona bianca.

Rammentato che la distinzione fra vincoli espropriativi e conformativi “…intercetta una linea di discrimine che ha un fondamento costituzionale nell’art. 42 Cost., che distingue l’espropriazione (terzo comma) dai limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma)…”, il CGA ha quindi ed in primo luogo ribadito come “i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata”, laddove “la caratteristica del vincolo conformativo è invece data dal fatto che con esso si provvede a una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche”.

Dunque, ha sottolineato il Collegio, solo i vincoli di natura espropriativa svuotano sostanzialmente di contenuto il diritto di proprietà su di un determinato bene”.

Al contrario, non hanno carattere ablatorio i “vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale”, come ad esempio “il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, in quanto tali ultime conformazioni non azzerano il contenuto del diritto di proprietà limitandosi a finalizzarlo a un interesse generale”,  sicché è consentito – in via di principio – “uno sfruttamento economico privatistico armonico con la destinazione impressa”

Il Collegio ha quindi ricordato altresì che “il potere di pianificazione urbanistica del territorio non è .. circoscritto alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e ai limiti edificatori delle stesse”, specificando che “esso si misura con un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale”.

Detto ciò in termini generali,  il Collegio ha ritenuto che nella specifica vicenda oggetto di scrutinio, risultasse dirimente la disciplina contenuta nelle Norme di attuazione, la quale, come anticipato, prescriveva che “le aree destinate a servizi pubblici di quartiere dovranno essere acquisite dal Comune”.

Sulla base di ciò, il Collegio ha quindi evidenziato che “se l’Amministrazione non solo conforma le regole edificatorie…ma decide di acquisirne la proprietà viene .. meno il presupposto minimo del vincolo conformativo, cioè la titolarità del bene in capo al privato. Non può quindi affermarsi che esso costituisca un vincolo conformativo con validità a tempo indeterminato e senza obbligo di indennizzo in quanto il regime imposto dall’Amministrazione non determina solo la classificazione quale area destinata ai servizi pubblici, per la quale è previsto un particolare canone di realizzabilità delle opere, ma è preordinato a far venir meno la stessa titolarità del bene in capo al privato modo pieno ed esclusivo del diritto di proprietà (anche se conformato)”.

Dunque nel caso di specie – ha concluso il Collegio – “il bene non rimane nella titolarità del proprietario, così determinandosi una valenza espropriativa del vincolo, alla cui scadenza operano gli indici della zona bianca proprio in ragione della necessaria definizione temporale del vincolo espropriativo”.

Infine, il Supremo Consesso, nel tracciare la distinzione delle previsioni urbanistiche conformative ed espropriative, ha ritenuto di richiamare “la insuperata giurisprudenza costituzionale”, in materia di cd. “espropriazione di valore” (sentenze 20 gennaio 1966 n. 6 e 29 maggio 1968 n. 55).

In particolare, si legge nella decisione in commento che “i principi costituzionali impongano l’enunciazione di un’ampia nozione di espropriazione, rispetto a quella tradizionalmente affermata: questa non consiste soltanto nella ablazione del diritto di proprietà o nella imposizione di un diritto reale in re aliena, come quello di servitù, ma deriva anche da un provvedimento amministrativo che determina un sostanziale annientamento delle facoltà giuridiche del proprietario e il consequenziale deprezzamento del bene sul mercato (sentenza n. 6 del 1966)”; mentre sarebbero “…al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l’alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, «che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene» (Corte cost., 20 maggio 1979 n. 179)”.

Conclusioni

Sulla scorta di tali considerazioni, il Consiglio di Giustizia Amministrativa – nel riformare la decisione di primo grado – ha accolto l’appello proposto dal privato ed ha annullato il provvedimento impugnato, siccome fondato su una errata qualificazione della prescrizione urbanistica contenuta nelle Norme di attuazione applicabili.

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