Artificioso frazionamento temporale degli appalti di servizi
La Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con la decisione del 27.07.2021 n.5561, ha affermato alcuni concisi ma interessanti principi in tema di artificioso frazionamento temporale degli appalti pubblici di servizi (di cui oggi all’art. 35, comma 6, del decreto legislativo 50/2016).
In primo luogo, il Supremo Consesso – nel riformare la decisione di prime cure che aveva respinto il ricorso dell’operatore economico e gestore uscente, interessato a partecipare ad una procedura competitiva ed evidenziale “aperta” – ha ritenuto che la procedura negoziata indetta per l’affidamento, con durata di venti mesi, d’un servizio di vigilanza di locali pubblici (uffici giudiziari) oggetto d’impugnazione fosse in effetti viziata, a monte, per la mancanza di una previa programmazione (biennale) degli acquisti da parte della Stazione appaltante.
Ciò osservandosi come, pur in mancanza d’una giurisprudenza consolidata sulla efficacia della programmazione degli acquisiti e dunque sulle conseguenze della sua eventuale assenza, è “..indubbio che l’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 ne enuclea una portata obbligatoria, con un’evidente finalità di pianificazione e di trasparenza”.
Di talchè, ed “anche a postularne un’efficacia di mera programmazione, di strumento di pianificazione della spesa, con carattere cogente nei soli confronti dell’amministrazione (in termini Cons. Stato, IV, 18 febbraio 2016, n. 651), non può negarsi l’incidenza della stessa sotto il profilo dell’impiego razionale delle risorse, e dunque, per coerenza, ammettersi che la carenza di programmazione possa riflettersi sulla frammentazione degli affidamenti”, con conseguente fondatezza dei rilievi al riguardo riproposti in appello dall’operatore economico (come detto, soccombente in prime cure).
Una pregnanza ancora maggiore è poi stata ravvisata dal Collegio in relazione all’ulteriore motivo del ricorso di primo grado (anch’esso respinto in prime cure), con cui si era dedotto l’artificioso frazionamento temporale dell’appalto, siccome bandito “con durata di soli venti mesi, onde rimanere al di sotto della soglia di rilevanza comunitaria (per soli 11.000 euro), in violazione di quanto prescritto dall’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, mentre sarebbero bastati dieci giorni in più per superare la predetta soglia” e tanto più in quanto “se il bisogno è biennale, la durata del contratto deve essere almeno biennale; in ogni caso, ai sensi dell’art. 35, comma 6, del d.lgs. n. 50 del 2016, il frazionamento deve essere correlato a «ragioni oggettive», che non sono invece esternate nella deliberazione a contrarre” in quel caso impugnata.
Proprio tale ultimo aspetto è stato quello maggiormente valorizzato dal Collegio ai fini dell’accoglimento dell’appello e del ricorso di primo grado.
Rilevandosi, in punto di fatto come, nella fattispecie controversa, “la determinazione a contrarre non contiene alcuna esternazione delle ragioni idonee a giustificare il frazionamento dell’appalto su base temporale, limitandosi a rappresentare la necessità del rispetto del principio di rotazione e di garantire la continuità del servizio”, il Collegio ha ritenuto e concluso – in punto di diritto – come “in assenza di motivazione sulle ragioni del frazionamento, l’artificiosità del medesimo può essere dimostrata in via indiziaria; a tale dimostrazione concorre la prefissazione della durata del contratto a venti mesi, implicante il raggiungimento di un importo che «lambisce» la soglia comunitaria, non coerente con la programmazione biennale, e soprattutto con l’affermazione che «i servizi di vigilanza degli Uffici giudiziari sono necessari ed irrinunciabili in quanto funzionali al mantenimento di adeguati livelli di sicurezza pubblica ed all’ordinato svolgimento delle attività giudiziarie», sì da risultare illogica una durata limitata nel tempo, se non con lo scopo di non superare la soglia comunitaria, che appare dunque l’obiettivo, non dichiarato apertis verbis, ma evidentemente strumentale, che domina la determinazione gravata”.
Da ciò l’illegittimità degli atti gravati per violazione dell’art. 35, comma 6 del decreto legislativo 50/2016 che appunto sancisce il noto (ma forse troppo spesso eluso) divieto di artificioso frazionamento degli appalti pubblici, laddove volto ad “evitare l’applicazione delle norme del presente codice” e fatto salvo il solo “caso in cui ragioni oggettive lo giustifichino”.