Delocalizzazione del fabbricato, nel medesimo lotto, con mantenimento di sagoma e volume: nuova costruzione o ristrutturazione edilizia?
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio di Roma, con la recentissima sentenza del 13 giugno 2022, n. 7774, nel pronunciarsi sulla delocalizzazione di un fabbricato, si è soffermato sulla non sempre agevole distinzione tra interventi edilizi inquadrabili nella categoria della “nuova costruzione” e interventi edilizi qualificabili alla stregua di “ristrutturazioni edilizie”.
La vicenda da cui è scaturito il contenzioso
La controversia trae origine dal provvedimento con cui un’Amministrazione regionale ha negato l’autorizzazione paesaggistica (ai sensi dell’art. 146 del D. Lgs. n. 42/2004) per la realizzazione di un intervento consistente nella variazione di ubicazione di un fabbricato già regolarmente esistente in prossimità della riva del lago di Bolsena, previa sua demolizione e ricostruzione all’interno del medesimo lotto, ma in un punto significativamente diverso e discosto (oltre 22 metri dall’originaria area di sedime), col mantenimento della sagoma e del volume.
In particolare, il diniego è stato motivato dalla Regione sul rilievo per cui l’intervento realizzando doveva essere qualificato come una “nuova costruzione” (ai sensi dell’art. 3, c. 1 lett e) d.P.R. n. 380/2001) – anziché, come sostenuto dal ricorrente, come “ristrutturazione edilizia” (ai sensi dell’art. 3, co. 1, lett. d), d.P.R. n. 380/2001) – risultando a tal punto incompatibile con la normativa edilizia e vincolistica vigente.
La decisione del Tribunale Amministrativo Regionale
Il TAR, nel ritenere legittimo il provvedimento impugnato, ha preso le mosse dalla definizione contenuta all’art. 3 c.1, lett. d) del Testo Unico sull’edilizia, secondo la quale, sono “interventi di ristrutturazione edilizia” quelli “…rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente…”, e tra questi sono ricompresi – per effetto della modifica legislativa del D. Lgs. n. 301 del 2002 – “…anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica…”.
Il Collegio poi, dopo aver premesso che “…la citata formulazione è frutto delle modifiche apportate dal D. Lgs. 27 dicembre 2002, n. 301 all’originaria definizione normativa, che inquadrava nella categoria di cui trattasi gli interventi di demolizione e «fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente»…”, ha evidenziato come nella citata disposizione normativa risulti oggi “…espunto il riferimento letterale all’identità dell’area di sedime…” (oltre che alle caratteristiche dei materiali utilizzati).
Ebbene, in tema – rammenta il Collegio – sono intervenuti i “chiarimenti interpretativi” forniti con la circolare 7 agosto 2003, n. 4174 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la c.d. «Circolare Lunardi», la quale ha precisato come l’eliminazione del richiamo al concetto di area di sedime di cui alla “novellata definizione di ristrutturazione edilizia”, non valga a “…consentire la ricostruzione dell’edificio in altro sito, ovvero posizionarlo all’interno dello stesso lotto in maniera del tutto discrezionale. La prima ipotesi è esclusa dal fatto che, comunque, si tratta di un intervento incluso nelle categorie del recupero, per cui una localizzazione in altro ambito risulterebbe palesemente in contrasto con tale obiettivo; quanto alla seconda ipotesi si ritiene che debbono considerarsi ammissibili, in sede di ristrutturazione edilizia, solo modifiche di collocazione rispetto alla precedente area di sedime, sempreché rientrino nelle varianti non essenziali… Resta in ogni caso possibile, nel diverso posizionamento dell’edificio, adeguarsi alle disposizioni contenute nella strumentazione urbanistica vigente per quanto attiene allineamenti, distanze e distacchi…”.
La Circolare Lunardi – continua il Collegio – “…ha dunque escluso che, nonostante l’intervenuta modifica normativa, la delocalizzazione di un fabbricato possa comunque essere inquadrata nel novero degli interventi di ristrutturazione edilizia…”.
Il Collegio ha poi richiamato la prevalente giurisprudenza sul punto secondo la quale “…lo spostamento della collocazione del manufatto costituisce una nuova costruzione e non un intervento sull’esistente…”; e ciò “…muovendo da un’interpretazione restrittiva del concetto di ristrutturazione edilizia, ossia da una lettura che valorizza la circostanza secondo cui sarebbe a tal fine coessenziale la conservazione del preesistente manufatto…”.
Invero, tra i vari precedenti, il Collegio ha richiamato in particolar modo la decisione del Consiglio di Stato del 16 dicembre 2008, n. 6214 secondo cui “…«ciò che contraddistingue (…) la ristrutturazione dalla nuova edificazione è la già avvenuta trasformazione del territorio, attraverso una edificazione di cui si conservi la struttura fisica (sia pure con la sovrapposizione di un insieme sistematico di opere, che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente), ovvero la cui stessa struttura fisica venga del tutto sostituita, ma – in quest’ultimo caso – con ricostruzione, se non fedele (termine espunto dall’attuale disciplina), comunque rispettosa della volumetria e della sagoma della costruzione preesistente (cfr. per il principio, comunque pacifico, Cons. St., sez. IV, 28.7.2005, n. 4011; Cons. St., sez. VI, 9.9.2005, n. 4668; Cons. St., sez. V, 29.5.2006, n. 3229; Cons. St., sez. V, 30.8.2006, n. 5061; Cons. St. sez. IV, 26.2.2008, n. 681; Cons. St., sez. V, 4.3.2008, n. 918; Cons. St., sez. IV, 16.6.2008, n. 2981)»…”. Dunque – rileva la decisione richiamata – “…«si è ammessa la possibilità di ristrutturare anche con integrale rifacimento dell’immobile stesso, quando al mutamento strutturale, imposto da motivi tecnici, corrispondesse un intento sostanzialmente conservativo. Ogni spostamento dai limiti indicati dalla giurisprudenza (poi tradotta in precetto normativo) non può, dunque, che implicare quella più profonda trasformazione del territorio, cui corrisponde la nozione di nuova edificazione»)…”.
Il Collegio ha poi osservato che “…tale orientamento giurisprudenziale fa leva sul persistente richiamo legislativo alla necessità di mantenere inalterata la «sagoma» del fabbricato…”, dovendosi intendere per “sagoma” “…la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro, considerato in senso verticale e orizzontale…”.
Infine, ha rilevato come “…«la lettura in senso restrittivo della nozione di ristrutturazione urbanistica (rectius, edilizia), così sostenuta, ha ricevuto poi un avallo autorevolissimo dalla giurisprudenza costituzionale, dove si legge (Corte Costituzionale, 23 novembre 2011 n. 309) in maniera assolutamente lineare e condivisibile che «in base alla normativa statale di principio, quindi, un intervento di demolizione e ricostruzione che non rispetti la sagoma dell’edificio preesistente – intesa quest’ultima come la conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale – configura un intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione edilizia». Pertanto, la nozione di sagoma di cui all’art. 3, comma 1 lett. d) del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 comprende l’intera conformazione planivolumetrica della costruzione e il suo perimetro considerato in senso verticale e orizzontale e, consequenzialmente, anche il rispetto della pregressa area di sedime. Inoltre, proprio il riferimento alla conformazione planovolumetrica e alla prevalenza delle definizioni di cui al testo unico dell’edilizia, elementi contenuti nella pronuncia della Corte costituzionale sopra citata, consente di ritenere superate le voci difformi alla lettura restrittiva qui proposta…» (cfr. Cons. St., Sez. IV, 22.01.2013, n. 365)…”.
Conclusioni
Sulla scorta di tali premesse normative e giurisprudenziali il Collegio ha ritenuto legittimo il provvedimento dell’Amministrazione che ha qualificato l’intervento consistente in una delocalizzazione del fabbricato esistente all’interno del medesimo lotto, come una “nuova costruzione”, rigettando pertanto il ricorso.