Gravi illeciti professionali (in attesa della pronunzia della CGUE)

Published On: 10 Giugno 2019Categories: Appalti Pubblici e Concessioni, Europa, Normativa, Tutele

Il TAR Abruzzo – Pescara, con la decisione del 5 giugno 2019 n.149, ha disposto la sospensione impropria del giudizio dinanzi a sè pendente, avente ad oggetto la tematica dei “gravi illeciti professionali” di cui all’art. 80, comma 5, lettera c) del Codice dei contratti pubblici, in attesa della pronunzia della Corte di Giustizia sulla questione interpretativa rimessale dal Consiglio di Stato con le ordinanze n. 5033 del 2018 e 2639 del 2018.

Il giudizio sospeso, in particolare, nasceva dall’esclusione della concorrente (poi ricorrente dinanzi al TAR) da una gara indetta per la conclusione di un accordo quadro, disposta dalla Stazione appaltante in ragione della sua omessa dichiarazione di una precedente risoluzione contrattuale per inadempimento, contestata in sede giurisdizionale (ed ancora sub iudice al momento della partecipazione), sotto la vigenza dell’art. 80, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nel testo antecedente alle modifiche di cui al d.l. n. 135 del 2018, convertito in legge n. 12 del 2019 (ed a norma del quale la stazione appaltante poteva escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico, qualora “… c) … dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità; e che tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio … il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione…”).

Il Collegio, in un tale contesto, ha anzitutto rammentato come il Consiglio di Stato, con le citate ordinanze n. 5033 del 2018 n .2639 del 2018 (così come il Tar Napoli, con ordinanza collegiale 5893 del 2017), ha da ultimo sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una questione pregiudiziale chiedendo chiarirsi se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento, ostino ad una normativa nazionale, come l’art. 80, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, vigente ratione temporis, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabiliva poi che, nel caso di illecito professionale determinante la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore poteva essere escluso solo se la risoluzione non fosse stata contestata o fosse poi stata confermata all’esito dell’eventuale giudizio.

Secondo il Consiglio di Stato, rammenta ancora il Collegio, “…a differenza di quanto previsto dal legislatore nazionale con l’articolo 80 comma 5 cit. (nella formulazione ante modifica di cui all’articolo 5 del d.l. n. 135 del 2018, convertito in legge n. 12 del 2019, che ha sostanzialmente recepito tali dubbi del giudice amministrativo d’appello, eliminando ogni riferimento preclusivo alla circostanza della pendenza del giudizio sulla risoluzione), dal combinato disposto dell’articolo art. 57, par. 4, della Direttiva 2014/24/UE e del Considerando 101 della medesima Direttiva, emergerebbe che dovrebbe essere comunque sempre consentito alla Stazione appaltante di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale, assumendosene la relativa responsabilità, anche prima dell’adozione di una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori; e inoltre la scelta operata dal legislatore nazionale con la normativa previgente di cui si è detto non era adeguata allo scopo perseguito (nel senso che la tutela del concorrente da arbitri dell’Amministrazione poteva essere comunque assicurata dall’onere motivazionale e dalla possibilità di ricorrere al sindacato del giudice amministrativo; mentre attendere l’esito del giudizio non apparirebbe compatibile con le esigenze di celerità delle gare pubbliche e inoltre in tal modo all’operatore economico inadempiente sarebbe bastato contestare in giudizio la risoluzione per ottenere comunque di partecipare a una nuova procedura, dovendo nelle more l’Amministrazione attendere appunto l’esito del giudizio per poter legittimamente procedere alla sua esclusione)…”.

Il Collegio, quindi, ha rilevato l’evidente incidenza nel giudizio dinanzi a sè pendente dell’attesa pronuncia della Corte di Giustizia, muovendo dall’osservazione per cui “…deve ritenersi sussistente l’obbligo dei concorrenti di segnalare tutte le circostanze e gli elementi che possono considerarsi astrattamente ostativi alla partecipazione alle pubbliche gare (cfr. Tar Milano sentenza 766 del 2019; ma anche Consiglio di Stato sentenza 827 del 2019, sebbene resa in merito a una gara espletata durante la vigenza dell’articolo 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, quindi in epoca antecedente all’introduzione della lettera c) dell’articolo 80 del d.lgs. 50 del 2016, che tra le carenze valutabili in merito al giudizio di affidabilità del concorrente ha escluso quelle che hanno causato la risoluzione anticipata di un precedente contratto, ove contestata in giudizio), onde permettere alla stazione appaltante di compiere le valutazioni discrezionali come specificato nella succitata ordinanza del Consiglio di Stato (cfr. anche Consiglio di Stato sentenza 2430 del 2019)…”.

Sicché, osserva ancora il Collegio “… solo ove la Corte di Giustizia affermasse appunto la possibilità (anche secondo la normativa previgente e qui applicabile ratione temporis) della stazione appaltante di valutare discrezionalmente anche le risoluzioni per inadempimento seppure sub iudice, come ritenuto dal Consiglio di Stato nel quesito sottopostole, ne deriverebbe sia il rilievo della omissione nella dichiarazione sia la possibilità dell’Amministrazione di valutare detta risoluzione ai fini della esclusione, benché contestata in giudizio; nel caso in cui si ritenesse invece che detta valutazione discrezionale non potrebbe comunque essere effettuata (stante appunto la previsione di cui all’art. 80, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, vigente ratione temporis, perché la risoluzione anticipata è stata contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio), ne conseguirebbe sia l’irrilevanza della omissione di tale elemento perché comunque ininfluente già in astratto e per legge (cfr. in proposito Consiglio di Stato, sentenza 2063 del 2018, in cui, poco tempo prima di rimettere la questione alla Corte di Giustizia, la medesima sezione ha invece ritenuto detta disciplina compatibile con la normativa comunitaria: “nel caso di specie non può condividersi la tesi dell’omissione di informazioni dovute, per l’assorbente motivo che nessun onere di segnalazione poteva dirsi sussistente in capo a Cosmopol rispetto ad un episodio risolutivo che, in quanto ancora sub iudice e non avente dunque i connotati della definitività, per espressa previsione di legge non può costituire elemento idoneo a mettere in dubbio, nemmeno astrattamente, l’integrità o affidabilità dell’impresa concorrente”) sia l’impossibilità della stazione appaltante, sempre per legge, di tener conto di tale risoluzione in modo discrezionale (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 28 dicembre 2017, n.575)…”.

Da ciò, la decisione del Tribunale di disporre la c.d. sospensione impropria del giudizio principale per la pendenza di una questione incidentale su di una norma applicabile in tale procedimento, seppur sollevata in una diversa causa (cfr. Consiglio di Stato adunanza plenaria, ordinanza n. 28 del 15 ottobre 2014; Sez. V, ordinanza 27 settembre 2011, n. 5387; Sez. IV, ordinanza 11 luglio 2002, n. 3926), ritenendosi ciò opportuno “…al fine di poter rendere una decisione assunta sulla base di normativa conforme al diritto europeo (cfr. Tar Potenza ordinanza n. 584 del 18 agosto 2017)..”.

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Gravi illeciti professionali (in attesa della pronunzia della CGUE)

Published On: 10 Giugno 2019

Il TAR Abruzzo – Pescara, con la decisione del 5 giugno 2019 n.149, ha disposto la sospensione impropria del giudizio dinanzi a sè pendente, avente ad oggetto la tematica dei “gravi illeciti professionali” di cui all’art. 80, comma 5, lettera c) del Codice dei contratti pubblici, in attesa della pronunzia della Corte di Giustizia sulla questione interpretativa rimessale dal Consiglio di Stato con le ordinanze n. 5033 del 2018 e 2639 del 2018.

Il giudizio sospeso, in particolare, nasceva dall’esclusione della concorrente (poi ricorrente dinanzi al TAR) da una gara indetta per la conclusione di un accordo quadro, disposta dalla Stazione appaltante in ragione della sua omessa dichiarazione di una precedente risoluzione contrattuale per inadempimento, contestata in sede giurisdizionale (ed ancora sub iudice al momento della partecipazione), sotto la vigenza dell’art. 80, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, nel testo antecedente alle modifiche di cui al d.l. n. 135 del 2018, convertito in legge n. 12 del 2019 (ed a norma del quale la stazione appaltante poteva escludere dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico, qualora “… c) … dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità; e che tra questi rientrano: le significative carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto o di concessione che ne hanno causato la risoluzione anticipata, non contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio … il fornire, anche per negligenza, informazioni false o fuorvianti suscettibili di influenzare le decisioni sull’esclusione, la selezione o l’aggiudicazione ovvero l’omettere le informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione…”).

Il Collegio, in un tale contesto, ha anzitutto rammentato come il Consiglio di Stato, con le citate ordinanze n. 5033 del 2018 n .2639 del 2018 (così come il Tar Napoli, con ordinanza collegiale 5893 del 2017), ha da ultimo sottoposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea una questione pregiudiziale chiedendo chiarirsi se il diritto dell’Unione europea e, precisamente, l’art. 57 par. 4 della Direttiva 2014/24/UE sugli appalti pubblici, unitamente al Considerando 101 della medesima Direttiva e al principio di proporzionalità e di parità di trattamento, ostino ad una normativa nazionale, come l’art. 80, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, vigente ratione temporis, che, definita quale causa di esclusione obbligatoria di un operatore economico il “grave illecito professionale”, stabiliva poi che, nel caso di illecito professionale determinante la risoluzione anticipata di un contratto d’appalto, l’operatore poteva essere escluso solo se la risoluzione non fosse stata contestata o fosse poi stata confermata all’esito dell’eventuale giudizio.

Secondo il Consiglio di Stato, rammenta ancora il Collegio, “…a differenza di quanto previsto dal legislatore nazionale con l’articolo 80 comma 5 cit. (nella formulazione ante modifica di cui all’articolo 5 del d.l. n. 135 del 2018, convertito in legge n. 12 del 2019, che ha sostanzialmente recepito tali dubbi del giudice amministrativo d’appello, eliminando ogni riferimento preclusivo alla circostanza della pendenza del giudizio sulla risoluzione), dal combinato disposto dell’articolo art. 57, par. 4, della Direttiva 2014/24/UE e del Considerando 101 della medesima Direttiva, emergerebbe che dovrebbe essere comunque sempre consentito alla Stazione appaltante di dimostrare la sussistenza di un grave illecito professionale, assumendosene la relativa responsabilità, anche prima dell’adozione di una decisione definitiva e vincolante sulla presenza di motivi di esclusione obbligatori; e inoltre la scelta operata dal legislatore nazionale con la normativa previgente di cui si è detto non era adeguata allo scopo perseguito (nel senso che la tutela del concorrente da arbitri dell’Amministrazione poteva essere comunque assicurata dall’onere motivazionale e dalla possibilità di ricorrere al sindacato del giudice amministrativo; mentre attendere l’esito del giudizio non apparirebbe compatibile con le esigenze di celerità delle gare pubbliche e inoltre in tal modo all’operatore economico inadempiente sarebbe bastato contestare in giudizio la risoluzione per ottenere comunque di partecipare a una nuova procedura, dovendo nelle more l’Amministrazione attendere appunto l’esito del giudizio per poter legittimamente procedere alla sua esclusione)…”.

Il Collegio, quindi, ha rilevato l’evidente incidenza nel giudizio dinanzi a sè pendente dell’attesa pronuncia della Corte di Giustizia, muovendo dall’osservazione per cui “…deve ritenersi sussistente l’obbligo dei concorrenti di segnalare tutte le circostanze e gli elementi che possono considerarsi astrattamente ostativi alla partecipazione alle pubbliche gare (cfr. Tar Milano sentenza 766 del 2019; ma anche Consiglio di Stato sentenza 827 del 2019, sebbene resa in merito a una gara espletata durante la vigenza dell’articolo 38, comma 1, lett. f) d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, quindi in epoca antecedente all’introduzione della lettera c) dell’articolo 80 del d.lgs. 50 del 2016, che tra le carenze valutabili in merito al giudizio di affidabilità del concorrente ha escluso quelle che hanno causato la risoluzione anticipata di un precedente contratto, ove contestata in giudizio), onde permettere alla stazione appaltante di compiere le valutazioni discrezionali come specificato nella succitata ordinanza del Consiglio di Stato (cfr. anche Consiglio di Stato sentenza 2430 del 2019)…”.

Sicché, osserva ancora il Collegio “… solo ove la Corte di Giustizia affermasse appunto la possibilità (anche secondo la normativa previgente e qui applicabile ratione temporis) della stazione appaltante di valutare discrezionalmente anche le risoluzioni per inadempimento seppure sub iudice, come ritenuto dal Consiglio di Stato nel quesito sottopostole, ne deriverebbe sia il rilievo della omissione nella dichiarazione sia la possibilità dell’Amministrazione di valutare detta risoluzione ai fini della esclusione, benché contestata in giudizio; nel caso in cui si ritenesse invece che detta valutazione discrezionale non potrebbe comunque essere effettuata (stante appunto la previsione di cui all’art. 80, comma 5, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, vigente ratione temporis, perché la risoluzione anticipata è stata contestata in giudizio, ovvero confermata all’esito di un giudizio), ne conseguirebbe sia l’irrilevanza della omissione di tale elemento perché comunque ininfluente già in astratto e per legge (cfr. in proposito Consiglio di Stato, sentenza 2063 del 2018, in cui, poco tempo prima di rimettere la questione alla Corte di Giustizia, la medesima sezione ha invece ritenuto detta disciplina compatibile con la normativa comunitaria: “nel caso di specie non può condividersi la tesi dell’omissione di informazioni dovute, per l’assorbente motivo che nessun onere di segnalazione poteva dirsi sussistente in capo a Cosmopol rispetto ad un episodio risolutivo che, in quanto ancora sub iudice e non avente dunque i connotati della definitività, per espressa previsione di legge non può costituire elemento idoneo a mettere in dubbio, nemmeno astrattamente, l’integrità o affidabilità dell’impresa concorrente”) sia l’impossibilità della stazione appaltante, sempre per legge, di tener conto di tale risoluzione in modo discrezionale (cfr. Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd., 28 dicembre 2017, n.575)…”.

Da ciò, la decisione del Tribunale di disporre la c.d. sospensione impropria del giudizio principale per la pendenza di una questione incidentale su di una norma applicabile in tale procedimento, seppur sollevata in una diversa causa (cfr. Consiglio di Stato adunanza plenaria, ordinanza n. 28 del 15 ottobre 2014; Sez. V, ordinanza 27 settembre 2011, n. 5387; Sez. IV, ordinanza 11 luglio 2002, n. 3926), ritenendosi ciò opportuno “…al fine di poter rendere una decisione assunta sulla base di normativa conforme al diritto europeo (cfr. Tar Potenza ordinanza n. 584 del 18 agosto 2017)..”.

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