I liberi professionisti possono essere destinatari di un’informativa antimafia?
Con la recente sentenza del 2 marzo 2023 numero 2212, il Consiglio di Stato ha dettato importanti princìpi in materia di esclusione soggettiva dall’ambito applicativo dell’istituto dell’informativa antimafia a contenuto interdittivo.
Il giudizio di primo grado
La vicenda trae origine da un’informativa antimafia emessa dalla Prefettura di Reggio Calabria nei confronti di un libero professionista, in relazione a un incarico di architetto conferitogli da un Comune.
Il professionista, con ricorso al TAR Calabria, ha impugnato l’interdittiva chiedendone l’annullamento per insussistenza dei presupposti, deducendo di essere stato colpito dall’interdittiva non già come imprenditore, bensì quale persona fisica e libero professionista, nell’esercizio della sua attività di architetto.
I Giudici calabresi hanno accolto il ricorso, condividendo la prospettazione del ricorrente, per l’appunto negando che un libero professionista – che non riveste la qualità di titolare di impresa o di società – possa essere colpito da un’informativa antimafia.
Il giudizio innanzi al Consiglio di Stato
La decisione del TAR Calabrese è stata impugnata innanzi al Consiglio di Stato da parte del Ministero dell’Interno e dell’Ufficio Territoriale di Governo di Reggio Calabria.
Le amministrazioni, in particolare, non ritenevano condivisibile l’assunto secondo cui non sarebbe possibile adottare un provvedimento antimafia a contenuto interdittivo nei confronti di un soggetto giuridico che non eserciti attività d’impresa.
A detta delle amministrazioni appellanti, infatti, la disciplina delle esclusioni soggettive dall’ambito applicativo dell’istituto dell’informazione antimafia andrebbe coordinata con la disciplina dell’acquisizione, da parte dell’ente locale che sia stato sottoposto alla procedura di scioglimento ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 267/2000, di detta informazione prima della stipula di qualsiasi atto negoziale.
Ciò in quanto, l’articolo 100 del succitato decreto legislativo dispone l’obbligo dell’ente locale sciolto per infiltrazione mafiosa di acquisire l’informazione in relazione a qualsiasi contratto o subcontratto, senza distinguerne la natura o l’oggetto e indipendentemente dal valore, a differenza degli artt. 83 e 91.
Il Consiglio di Stato ha tuttavia respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado, evidenziando in primo luogo, come la questione di fondo sia costituita dalla esatta perimetrazione dell’ambito applicativo dell’istituto dell’interdittiva, occorrendo pertanto verificare se la categoria dei liberi professionisti sia o meno assoggettabile alla disciplina dell’istituto dell’informativa posto che “…prima di potersene affermare l’esclusione in determinati casi, occorre aver risolto positivamente il quesito – logicamente presupposto – relativo all’astratta inclusione…”.
Orbene, il Supremo Consesso ha rilevato che la normativa primaria individua tassativamente le categorie di soggetti che possono essere attinti dal provvedimento limitativo della loro capacità giuridica speciale, non ricomprendendovi nel novero i liberi professionisti che non siano organizzati in forma d’impresa.
Sicché, in virtù del “…principio di tassatività che deve regolare l’esercizio del potere (in punto di ricognizione dei possibili destinatari del provvedimento interdittivo)…”, va escluso che “…l’incapacità giuridica relativa recata dal provvedimento afflittivo di cui si tratta possa essere – per soggetti non contemplati come destinatari dalla disposizione attributiva del potere – un effetto non espressamente previsto dalla legge, ma desunto per implicito da un’interpretazione sistematica (peraltro, come si dirà, ancorata a parametri disomogenei, quali il valore e l’oggetto dei contratti) che comporti la conseguenza dell’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della stessa…”.
Sul punto, il Consiglio di Stato ha precisato inoltre che il succitato principio di legalità “…impone che nell’esegesi di una simile disposizione il dato letterale non venga superato, in senso afflittivo e limitativo delle libertà dei soggetti interessati, da un’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione non espressamente contemplata dal legislatore…”.
Sicché, alcun dubbio può sussistere circa l’impossibilità che un libero professionista venga attinto da un’informativa antimafia, a ciò non ostando l’eventuale elevato valore del contratto concluso col professionista né l’oggetto dello stesso, in quanto “…il fattore ostativo che, a monte, impedisce di accedere ad una simile prospettazione è dato dalla radicale esclusione dei soggetti che non siano imprenditori da tale ambito applicativo (quale che sia, evidentemente, il valore o l’oggetto del contratto)…”.
Sulla scorta di tali condivisibili assunti, il Consiglio di Stato ha respinto l’appello e confermato la sentenza di primo grado.