Limitazioni all’esercizio della proprietà individuale introdotte con regolamento condominiale
La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 14377 del 23 maggio 2024, si è recentemente pronunciata sulla legittimità delle delibere condominiali non votate all’unanimità che pongono limitazioni all’esercizio della proprietà individuale.
La vicenda
Due condomini, allegando di essere proprietari pro indiviso di un compendio immobiliare (costituito da una villa e due autorimesse), circondato da un ampio giardino, parte del Condominio convenuto – agiscono in giudizio contestando l’introduzione, da parte di due delibere condominiali, di una nuova disposizione al regolamento condominiale (l’art.3-bis), la quale prevedeva orari per lo svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione in tale giardino (nello specifico, consentendoli solo dal lunedì al sabato in determinate fasce orarie e vietati nei giorni festivi).
Tanto il Giudice di prime cure quanto la Corte d’appello, successivamente adita, respingono l’azione.
In particolare, la decisione di secondo grado rileva come il contestato nuovo articolo del regolamento condominiale, «pur collocato all’interno della disciplina destinata all’uso delle parti comuni prevede specifici divieti o comunque limitazioni ai condomini che risultano obiettivamente riferibili anche alle porzioni di proprietà esclusiva, fra cui battere tappeti e coperte, eseguire lavori rumorosi, arrecare molestia con rumori provocati da macchine o motori nonché da autoveicoli e motocicli e quant’altro fuori dagli orari stabiliti dall’assemblea, in tal modo demandando a quest’ultima il potere appunto di stabilire gli orari per l’esercizio delle predette attività, potere che l’assemblea aveva legittimamente esercitato approvando il nuovo articolo 3-bis».
I due condomini, quindi, a tutela dei propri diritti, ritengono di proporre ricorso per cassazione.
I motivi di ricorso in cassazione
Il ricorso in cassazione è stato affidato a cinque motivi.
- Col primo motivo, si è denunciata l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli Articoli 832 e 1372 del Codice Civile in merito alla corretta interpretazione della disposizione del regolamento di condominio oggetto della vertenza; ciò, sostenendosi che il Giudice dell’Appello – nel confermare la legittimità della delibera assembleare che a maggioranza semplice ha introdotto fasce orarie per l’esercizio di attività rumorose all’interno delle proprietà esclusive – avesse violato le norme e i princìpi dettati in tema di quorum deliberativi necessari per la modifica di una clausola regolamentare di natura contrattuale relativa alle facoltà di uso e godimento delle parti di proprietà esclusiva; il tutto, sull’asserito presupposto che la disposizione regolamentare contestata era priva di una formulazione chiara ed esplicita e che i regolamenti condominiali di origine contrattuale possono porre limiti all’utilizzo dei beni di proprietà esclusiva quando vi sono espressioni non equivoche (occorrendo che una limitazione al diritto di proprietà derivi da una precisa volontà del predisponente il regolamento, al fine di evitare che il condomino subisca restrizioni sulla proprietà esclusiva non volute e non prevedibili al momento dell’acquisto dell’immobile).
- Col secondo motivo, si è dedotta l’illegittimità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. in merito all’applicabilità alle parti esclusive della disposizione regolamentare contestata, sostenendosi che la Corte d’appello avesse interpretato estensivamente la clausola del regolamento contrattuale, così derogando la comune volontà delle parti al momento della sua formulazione.
- Col terzo motivo, si è lamentata l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 1136 c.c., in merito alle maggioranze richieste per le delibere che incidono sui diritti dei condomini inerenti alla proprietà esclusiva, sostenendosi che le delibere assembleari che incidono sui diritti e le facoltà dei condomini sulle proprietà esclusive devono essere adottate con l’unanimità dei consensi.
- Col quarto motivo, si è denunciata l’illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame di un punto controverso e decisivo, consistente nell’esame dei motivi d’appello della sentenza in tema di errata e falsa applicazione delle norme di legge in relazione all’introduzione di fasce orarie per lo svolgimento di attività rumorose, con il quale i ricorrenti censuravano la carenza di chiarezza dell’art. 3 del regolamento condominiale e l’inapplicabilità dell’articolo medesimo alle parti di proprietà esclusiva, nonché l’eccesso di potere realizzato dall’assemblea.
- Col quinto e ultimo motivo, si è denunciata la violazione degli artt. 112, 131 e 132 c.p.c. circa i motivi d’appello riferiti all’introduzione di fasce orarie per lo svolgimento di attività rumorose, sostenendosi che il Giudice di appello si fosse limitato in maniera generica a riprendere le argomentazioni già espresse dalla sentenza del Tribunale di primo grado, senza che fosse dato comprendere per quale motivo l’art. 3 del regolamento di Condominio era stato ritenuto chiaro e applicabile alle parti di proprietà esclusiva e senza minimamente pronunciarsi in ordine all’eccezione inerente all’eccesso di potere realizzato dall’assemblea.
La decisione della Suprema Corte
La Suprema Corte, con la decisione in rassegna, ha in parte accolto il ricorso per cassazione, ritenendo in particolare fondati e convincenti i primi tre motivi di ricorso (e disponendo l’assorbimento dei restanti due).
Ad avviso della Suprema Corte, i condomini ricorrenti hanno giustamente e fondatamente sottolineato – conformemente a quanto ritenuto da precedenti pacifiche elaborazioni della stessa Corte di Cassazione – come la delibera che aveva introdotto un nuovo articolo, il 3-bis nel regolamento condominiale il quale imponeva determinati orari per lo svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione, come taglio erba, giardinaggio e manutenzioni della casa, durante la settimana, con divieto di eseguirli nei giorni festivi e incide così sulla utilizzabilità di parti dell’edificio di proprietà esclusiva, avrebbe dovuto “…essere approvata dall’assemblea all’unanimità, dovendo in caso contrario considerarsi nulla perché eccedente i limiti dei poteri dell’assemblea” (ex multis: Cass. n. 7630/1990; Cass. n. 4632/1994).
Inoltre, il Supremo Consesso ha affermato di non ritenere convincente l’iter motivazionale seguito dalla Corte d’appello precedentemente adita, secondo cui tale incisione dell’utilizzabilità della proprietà esclusiva troverebbe la propria fonte nell’art. 3 del regolamento il quale poneva il divieto di eseguire lavori rumorosi e arrecare molestia con rumori provocati da macchine o motori, nonché da autoveicoli e motocicli, fuori dagli orari stabiliti dall’assemblea senza, da un lato, indicare il quorum necessario per l’individuazione degli orari e senza, dall’altro lato, porre un precetto sovrapponibile a quello di cui all’art. 3-bis (che parla di svolgimento di lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione senza fare riferimento alla rumorosità ovvero alla molestia arrecata dai medesimi).
La Corte, quindi, richiamando la propria precedente giurisprudenza formatasi in materia, ha ribadito come “…il regolamento contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condomini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà, sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare, ma la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rilevatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze; pertanto, l’individuazione della regola dettata dal regolamento condominiale di origine contrattuale, nella parte in cui impone detti limiti e divieti, va svolta rifuggendo da interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto concerne l’ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, sia per quanto attiene ai beni alle stesse soggetti” (Cassazione Civile, sentenza n. 21307/2016).
Sulla scorta di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione – nel rinviare la decisione alla Corte d’appello – ha ritenuto l’illegittimità delle delibere condominiali che ponendo limitazioni all’esercizio della proprietà individuale, non sono state votate all’unanimità.