Localizzazione, installazione e modifica degli impianti di telefonia mobile
Con l’ordinanza del 27.03.2019 n.2033, il Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione afferente alla compatibilità col diritto dell’Unione europea della normativa nazionale (come quella di cui all’articolo 8 comma 6 legge 22 febbraio 2001. n. 36) intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali di stabilire criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressione sotto forma di divieto, quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia.
La controversia da cui è sorta la rimessione ha avuto ad oggetto l’impugnativa, da parte delle imprese licenziatarie del servizio pubblico di telefonia fissa e mobile sul territorio nazionale, delle disposizioni contenute nel “Regolamento per la localizzazione, l’installazione e la modifica degli impianti di telefonia mobile” approvato con la Delibera dell’Assemblea del Comune di Roma n. 26 del 14.5.2015, in quanto asseritamene contrastante con il Codice delle telecomunicazioni e con la legge quadro n. 36/01 sull’elettromagnetismo nonché praticamente preclusivo delle attività di pianificazione dello sviluppo della rete.
In particolare, l’art. 8, comma 6, l. 36 cit. prevede che “I comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l’esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
La disciplina in oggetto è stata intesa dalla prevalente giurisprudenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 13 marzo 2018 n. 1592), nel senso che alle Regioni ed ai Comuni è consentito – nell’ambito delle proprie e rispettive competenze – individuare criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile (anche espressi sotto forma di divieto) quali ad esempio il divieto di collocare antenne su specifici edifici (ospedali, case di cura ecc.) mentre non è loro consentito introdurre limitazioni alla localizzazione, consistenti in criteri distanziali generici ed eterogenei (prescrizione di distanze minime, da rispettare nell’installazione degli impianti, dal perimetro esterno di edifici destinati ad abitazioni, a luoghi di lavoro o ad attività diverse da quelle specificamente connesse all’esercizio degli impianti stessi, di ospedali, case di cura e di riposo, edifici adibiti al culto, scuole ed asili nido nonché di immobili vincolati ai sensi della legislazione sui beni storico-artistici o individuati come edifici di pregio storico-architettonico, di parchi pubblici, parchi gioco, aree verdi attrezzate ed impianti sportivi).
E ciò, considerato che in materia assume rilievo altresì la disciplina di cui al decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il codice delle comunicazioni elettroniche, intesa dalla giurisprudenza (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 3 agosto 2017 n. 3891) come applicabile alla materia e fonte di un particolare favor per la realizzazione di reti e servizi di comunicazione elettronica ad uso pubblico, posto che l’articolo 86 di tale d.lgs., prevede, al comma 3, che «Le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione, di cui agli articoli 87 e 88, e le opere di infrastrutturazione per la realizzazione delle reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica…sono assimilate ad ogni effetto alle opere di urbanizzazione primaria di cui all’art. 16, comma 7 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, pur restando di proprietà dei rispettivi operatori, e ad esse si applica la normativa vigente in materia».
Orbene, in materia è emersa, anche alla luce della disciplina di maggior dettaglio, la necessità di un bilanciamento fra opposte esigenze ed interessi primari.
La disciplina europea ha contribuito infatti a far emergere una serie di contrapposti interessi: da un lato, il diritto all’informazione dei cittadini e quello del cittadino di effettuare e ricevere chiamate telefoniche (e comunicazioni di dati) in ogni luogo, senza, quindi, limitazioni di carattere spaziale-territoriale (cfr. altresì art. 4 direttiva servizio universale); dall’altro, i diritti alla tutela dell’ambiente, della salute e del corretto assetto del territorio, i quali richiederebbero che non vi fosse alcuna emissione elettromagnetica artificiale e pertanto nessun apparato/antenna idonea a produrlo; ancora, l’interesse al corretto assetto del territorio di modo che non vi siano pali, tralicci o altre strutture più o meno impattanti; ed infine, il diritto alla salute imporrebbe, sulla scorta del principio di precauzione, di evitare qualsiasi tipo di emissione elettromagnetica in quanto potenzialmente dannosa.
In virtù della necessità di individuare un bilanciamento, e vista la condivisa interpretazione della disciplina nazionale in materia, il Consiglio di Stato, con l’ordinanza in rassegna, ha deciso di sottoporre tale assetto normativo a verifica di compatibilità con la normativa europea vigente, ponendo il seguente quesito pregiudiziale “se il diritto dell’Unione europea osti a una normativa nazionale (come quella di cui all’articolo 8 comma 6 legge 22 febbraio 2001. n. 36) intesa ed applicata nel senso di consentire alle singole amministrazioni locali criteri localizzativi degli impianti di telefonia mobile, anche espressi sotto forma di divieto, quali il divieto di collocare antenne in determinate aree ovvero ad una determinata distanza da edifici appartenenti ad una data tipologia”.