Occupazione “sine titulo” per pubblica utilità di area in comproprietà
Il T.A.R. Catania – Sez. Seconda, con la recente sentenza n. 3430 del 18 ottobre 2024, ha riaffermato importanti princìpi in materia di occupazione sine titulo ad opera di un Comune, attuata in spregio alla normativa disciplinante la procedura ablatoria, in relazione ad aree in comproprietà, e sulle iniziative che può assumere a propria tutela il singolo privato comproprietario.
La fattispecie
Il comproprietario di un appezzamento di terreno ha subìto da un Comune l’occupazione sine titulo della proprietà, per la realizzazione di una strada ad uso pubblico, in mancanza tuttavia dei provvedimenti necessari per il corretto esercizio del potere ablatorio e la determinazione dell’indennità di occupazione ed espropriazione spettante ai proprietari.
Il ricorrente, quindi, ha diffidato e messo in mora l’Amministrazione comunale invitandola ad avviare il procedimento di acquisizione sanante ex articolo 42 bis d.P.R. 327/2001, previa corresponsione dell’indennizzo, oppure provvedere alla restituzione del bene, previa riduzione in pristino, oltre al risarcimento del danno.
Il Comune, però, ha opposto diniego a dette richieste, sul presupposto che l’area oggetto di occupazione, destinata alla viabilità di zona, era stata inserita nei Piani di lottizzazione, proposti da alcuni comproprietari e da tempo approvati dalla stessa amministrazione comunale.
Conseguentemente tale provvedimento di diniego è stato impugnato dal proprietario dell’immobile in quanto ritenuto illegittimo e adottato in violazione dei basilari princìpi previsti dalla normativa vigente in materia.
La parte resistente, istauratosi il giudizio, ha formulato a propria difesa due eccezioni: a) difetto di legittimazione processuale attiva del ricorrente essendo comproprietario del bene; b) l’acquisto per usucapione delle aree oggetto della controversia.
Il “decisum”
Il Collegio, esaminando preliminarmente l’eccezione di difetto di legittimazione processuale attiva del ricorrente, ha statuito – sulla base di consolidata giurisprudenza – che “se il bene appartiene a più proprietari, ciascuno è da ritenersi legittimato attivamente (oltre che passivamente) rispetto a tutte le azioni a tutela della proprietà comune, senza bisogno dell’intervento in giudizio degli altri comproprietari, pur riguardando tutti costoro la lesione lamentata (cfr., a titolo esemplificativo, Cass.14/05/1979 n. 2800; Cass. 28/4/1993, n. 5000; Cass. 16/07/1994, n. 6699; Cass. 28/08/1998 n. 8546; Cass. 22/10/1999 n. 10478; Cass. 28/06/2001 n. 8842; Cass. 15/07/2002, n. 10219)…”.
E ciò in quanto ricorre “un diritto di ciascuno dei proprietari della cosa comune di compiere nell’interesse degli altri, e senza il loro consenso, atti di straordinaria amministrazione, quali la proposizione di domande giudiziali (così Cass. 27/03/1980, n. 2035)” ; ciò, sulla scorta del “principio della rappresentanza reciproca fondata sulla comunione di interessi (Cass. 19/05/2003, n. 7827)” e dell’ulteriore “principio di carattere generale che legittima il singolo contitolare ad agire in giudizio per la tutela del diritto nella sua interezza (Cass. 16/04/2013, n. 9158)”.
Secondo il Collegio, quindi, ne discende che “la pronuncia sul diritto comune fatto valere dal singolo comproprietario dispieghi i propri effetti nei riguardi di tutte le parti interessate, senza necessità di integrare il contraddittorio nei loro confronti” poiché il singolo agisce “a tutela di un interesse comune, che appartiene indifferenziatamente anche ai restanti contitolari del diritto”.
Sicché, a detta del Collegio, in questi casi si ravvisa “una forma di rappresentanza reciproca, attributiva a ciascuno d’una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non può tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri: (in termini Cass. 21/06/1993, n. 6856; cfr. nel medesimo senso anche Cass. 27/01/1997, n. 826; Cass. 19/05/2003, n. 7827; Cass. 19/07/2004, n. 13332)”; in altre parole: si ritiene che “ciascuno dei contitolari del diritto reale, dal punto di vista processuale, sia titolare di una legittimazione attiva sostitutiva” [Cass. civ., Sez. III, sentenza 14 novembre 2019, n. 29506].
Pertanto, stando così le cose, il Tribunale ha respinto l’eccezione formulata dall’Amministrazione comunale, relativamente alla richiesta restitutoria di parte ricorrente, posto che “essa costituisce effettivamente una azione a tutela della proprietà comune” e quindi in linea con i princìpi esposti.
A conclusioni diverse e opposte, il Collegio è però pervenuto quanto: a) alla richiesta di risarcimento del danno presuntivamente subìto dal proprietario, atteso che “l’interesse a conseguire il ristoro …costituisce un diritto di natura personale”; e b) alla sollecitazione dei poteri di acquisizione sanante ex articolo 42-bis del D.P.R. n. 380/2001, stante che “il loro esercizio determinerebbe la perdita della proprietà del bene in capo al soggetto comproprietario” non configurandosi quale forma di “tutela della proprietà comune”.
I Giudici di poi sono passati ad analizzare l’ulteriore eccezione, sollevata sempre dalla difesa dell’Amministrazione comunale, di intervenuta usucapione sulle aree occupate (ciò su cui il Giudice Amministrativo è titolare di un potere di cognizione meramente incidentale).
Sul punto, hanno osservato che “secondo un pacifico orientamento della giurisprudenza amministrativa, nel caso di occupazione illegittima di un’area da parte della Pubblica Amministrazione per fini di pubblica utilità, il mero decorso del tempo non rileva ai fini dell’usucapione (sul punto, cfr., ad esempio, C.G.A.R.S., 6 maggio 2022, n. 535; Cons. Stato, Sez. IV, n. 4833/2009 e n. 676/2011; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 12 maggio 2022, n. 5915, nonché, fra le tante, T.A.R. Catania, Sez. II, 11 aprile 2023, n. 1173; 6 ottobre 2023, n. 2872; 31 ottobre 2023, n. 3226)”, a meno che non sia riscontrabile l’obiettiva e inequivocabile “volontà dell’Amministrazione di esercitare sull’area stessa ogni facoltà caratteristica della situazione proprietaria”.
Ciò posto, il Comune, nella fattispecie analizzata dal T.A.R. Catania, non ha mai provato in giudizio di avere acquisito a titolo gratuito le aree (destinate a strade e piazze) nel contesto del richiamato piano di lottizzazione, posto che “le particelle di cui si tratta non risultano comprese, secondo quanto emerge dalla documentazione in atti, in tale piano”.
Per conseguenza, è risultato che il provvedimento impugnato era fondato sull’erronea considerazione di una circostanza di fatto, venendo pertanto ritenuto illegittimo e annullato.