Per l’Adunanza Plenaria sono validi i titoli di abilitazione al sostegno conseguiti in altri Paesi UE
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze del 28 e 29 dicembre 2022 numeri 18 e 19, si è pronunciata sulla riconoscibilità nel nostro ordinamento dei titoli di abilitazione e specializzazione relativi al “sostegno” conseguiti in altri paesi dell’Unione Europea.
Il Collegio, prendendo in particolare in esame le situazioni relative ai titoli ottenuti in Romania e Bulgaria, ha confermato la tesi già sostenuta dal TAR Roma in primo grado, secondo cui le istanze presentate debbano correttamente essere valutate alla luce delle competenze ottenute, ritenendo invece illegittima la scelta del Ministero dell’Università e della Ricerca di richiedere un tirocinio biennale compensativo obbligatorio.
La vicenda da cui è scaturito il contenzioso
Nella fattispecie esaminata dall’Adunanza con la sentenza n. 19 del 29 dicembre 2022, una dottoressa laureata in Italia ha conseguito il titolo di formazione professionale relativo al ciclo di studi post-secondari presso un’Università rumena, ai fini dell’esercizio della professione di docente in Romania.
Del titolo conseguito, denominato “Programului de studi psichopedagogice, Nivel I e Nivel II” e accessibile solo dopo il riconoscimento della laurea italiana da parte del competente Ministero rumeno, è stato poi richiesto il riconoscimento al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca.
Il Ministero tuttavia, con la impugnata nota n. 5636 del 2 aprile 2019, ha comunicato che i suddetti titoli ottenuti in Romania “…non soddisfano i requisiti giuridici per il riconoscimento della qualifica professionale di docente ai sensi della Direttiva 2205/36/CE e successive modifiche, e pertanto le istanze di riconoscimento presentate sulla base dei suddetti titoli sono da considerarsi rigettate…“.
Con la medesima nota, il Ministero ha spiegato che il presupposto per il riconoscimento dei titoli consiste nella dimostrazione di possedere una qualifica professionale che, in base alle norme del Paese ove è stata conseguita, consenta l’esercizio della professione di docente abilitato.
Il Ministero dunque, nel respingere tutte le istanze di riconoscimenti ricevute, ha fondato la decisione sulla circostanza che quel medesimo titolo non avrebbe consentito nemmeno l’insegnamento in Romania.
La decisione di primo grado
L’interessata, essendosi vista respingere l’istanza di riconoscimento, ha impugnato tutte le note del Ministero innanzi il TAR Roma, il quale ha accolto il ricorso e annullato i provvedimenti con la sentenza n. 5144 del 14 maggio 2020.
Il Tribunale di primo grado, richiamando un consolidato orientamento della Sesta Sezione del Consiglio di Stato, ha rilevato che il diniego del Ministero non fosse fondato su una reale valutazione delle competenze acquisite dalla ricorrente con il titolo di abilitazione rumeno, ma sull’errato presupposto che quel titolo non bastasse ad abilitare all’insegnamento in Romania.
Secondo alcune note dell’autorità rumena, infatti, i laureati in un paese europeo con successiva abilitazione rumena avrebbero avuto necessità di un ulteriore titolo, a differenza di coloro in possesso di un titolo di studio rumeno.
In particolare per il Tribunale “…una volta acquisita la documentazione che attesta il possesso del certificato conseguito in Romania, non può negarsi il riconoscimento dell’operatività in Italia per il mancato riconoscimento del diploma di laurea conseguito in Italia e l’eventuale errore delle autorità rumene sul punto non vincolare l’autorità italiana…“.
Gli argomenti dedotti in appello e l’ordinanza di rimessione
Il Ministero ha proposto appello avverso la sentenza del TAR Roma, lamentandone l’erroneità sul presupposto che “…a differenza di quanto accade in Italia, in cui per ottenere l’abilitazione sono necessari la laurea e un corso di formazione post universitaria (laurea + corso postuniversitario), in Romania la laurea rumena è già di per sé titolo abilitante (purché conseguita sempre in Romania all’esito degli studi universitari). In sostanza, per un cittadino italiano che, una volta laureato, voglia abilitarsi all’insegnamento in Romania, non è sufficiente l’avere conseguito corsi di formazione psico-pedagogica (i c.d. “Programului de studii psihopedagogice, Nivelul I e Nivelul II”), ma egli deve avere svolto gli studi universitari in detto Paese (anche solo questi, visto che è la laurea rumena che abilita all’insegnamento)…“.
In sintesi, il corso formativo rumeno che, secondo il TAR, dovrebbe risultare abilitativo in Italia, in realtà non ha questo effetto nemmeno in Romania, poiché in quel paese non esisterebbero altri corsi abilitativi al di fuori della laurea rumena.
La Settima Sezione del Consiglio di Stato, nel rimettere la controversia all’esame dell’Adunanza Plenaria e discostandosi dalla giurisprudenza precedente della Sesta Sezione, ha rilevato che il riconoscimento del valore abilitativo in Italia del corso rumeno “…finirebbe per riconoscere, in base alla normativa UE in tema di mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali e di libera circolazione dei lavoratori, valore abilitante ai fini dell’insegnamento a un titolo di formazione straniero che nel Paese di origine quel valore abilitante non ha, disapplicando atti amministrativi di un ordinamento straniero asseritamente contrastanti con il diritto dell’Unione, ciò che neppure il giudice nazionale di un altro Stato membro può fare per assicurare la primazia di tale diritto…“.
La Sezione rimettente ha dunque posto i seguenti quesiti:
“a) se, ai sensi della Direttiva 2005/36/CE, sul riconoscimento delle qualifiche professionali (recepita nell’Ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 206 del 2007) e in particolare ai fini dell’accesso in Italia alla professione regolamentata di insegnante nelle scuole primaria e secondaria, sia necessario riconoscere in modo sostanzialmente automatico in Italia un percorso di formazione seguito da un cittadino dell’UE (nel caso in esame, italiano) presso altro Paese membro dell’UE (nel caso in esame, in Romania), soltanto previa verifica della durata complessiva, del livello e della qualità della formazione ivi ricevuta (e fatta salva la possibilità per le autorità italiane di disporre a tal fine specifiche misure compensative).
b) in particolare, se tale riconoscimento sia doveroso (o anche solo possibile) laddove: – nel Paese membro di origine (i.e.: nel Paese in cui il percorso di formazione si è svolto – nel caso in esame, in Romania –) il completamento di tale percorso formativo non assume di per sé carattere abilitante ai fini dell’accesso all’insegnamento, ma presuppone altresì in via necessaria che l’interessato abbia conseguito nel Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) sia studi di istruzione superiore o post-secondaria, sia studi universitari; – all’esito di tale percorso di formazione le Autorità del Paese di origine (nel caso in esame: la Romania) non abbiano rilasciato un attestato di competenza o un titolo di formazione ai sensi dell’articolo 13, par. 1 della Direttiva 2005/36/CE…”.
La decisione dell’Adunanza Plenaria
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato – discostandosi dall’ordinanza di rimessione – ha respinto l’appello, ritenendolo infondato.
Il Supremo Collegio, infatti, ha innanzitutto ritenuto infondati i presupposti di fatto valutati dalla Settima Sezione, poiché le autorità rumene hanno già più volte riconosciuto “…il diritto di insegnare in Romania a livello di istruzione preuniversitaria in capo a coloro che […] titolari di diploma/master conseguito all’estero e riconosciuto in Romania, abbiano frequentato e superato appositi corsi di formazione psicopedagogica, complementari di diploma, in settori e specializzazione conformi al curriculum dell’istruzione preuniversitaria…“.
Sarebbe addirittura già maturato il giudicato sull’illegittimità della nota ministeriale impugnata – pronunciata dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 4227 del 3 giugno 2021 – poiché fondata su un equivoco derivante da una inadeguata lettura degli atti amministrativi rumeni.
È dunque risultato che, in Romania, una laurea conseguita in Italia, riconosciuta equivalente in Romania, è titolo per la frequentazione dei corsi di formazione degli insegnanti e, l’attestato conclusivo di tali corsi, dà la possibilità di insegnare.
Non v’è motivo, dunque, per ritenere il titolo ottenuto dalla ricorrente non riconoscibile ai sensi della Direttiva 2005/36/CE.
Il competente Ministero italiano deve limitarsi a “…valutare la corrispondenza del corso di studi effettuato, e dell’eventuale tirocinio, con quello italiano…” e all’esito dell’istruttoria può poi disporre il riconoscimento o misure compensative (tirocinio o esame).
Conclusione
Sulla scorta di tali considerazioni l’Adunanza Plenaria, in continuità con la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, ha respinto l’appello e affermato il seguente principio di diritto “…spetta al Ministero competente verificare se, e in quale misura, si debba ritenere che le conoscenze attestate dal diploma rilasciato da altro Stato o la qualifica attestata da questo, nonché l’esperienza ottenuta nello Stato membro in cui il candidato chiede di essere iscritto, soddisfino, anche parzialmente, le condizioni per accedere all’insegnamento in Italia, salva l’adozione di opportune e proporzionate misure compensative ai sensi dell’art. 14 della Direttiva 2005/36/CE…“.
Su presupposti simili, ovviamente adattati al caso di specie, l’Adunanza plenaria ha riconosciuto anche la valutabilità dei titoli di specializzazione ottenuti in Bulgaria (sentenza del 28 dicembre 2022 n. 18).