Permesso di costruire annullato e risarcimento del danno

La Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con la sentenza del 17 novembre 2023, ha riconosciuto la co-responsabilità dell’Amministrazione comunale e del progettista incaricato dal privato, per aver entrambi erroneamente ignorato l’esistenza dei vincoli sull’area oggetto d’intervento.

Il caso concreto

Nell’anno 2012 l’Amministrazione comunale rilasciava ai richiedenti un permesso di costruire per l’installazione di un manufatto in legno su area confinante con tratto autostradale, ma dopo la rispettiva realizzazione, a fronte del successivo parere (obbligatorio) negativo di Autostrade per l’Italia S.p.a., disponeva l’annullamento del titolo abilitativo e la demolizione dell’opera.

Avverso tali provvedimenti gli istanti, i quali avevano fatto legittimo affidamento al permesso ottenuto, proponevano ricorso al Giudice amministrativo di primo grado, chiedendo anche il risarcimento del danno, perché l’Amministrazione comunale non aveva provveduto ad acquisire il prescritto parere dell’Ente gestore della strada e non aveva adeguatamente svolto la necessaria istruttoria.

La decisione del Giudice di prime cure

Il T.A.R. competente in parte lo dichiarava inammissibile e lo rigettava sotto il profilo risarcitorio, poiché il progettista dei ricorrenti, attestando la conformità dell’intervento alla normativa edilizia/urbanistica e di sicurezza vigente al momento della presentazione della relativa domanda, non aveva dato conto dell’esistenza del vincolo, così contribuendo al deficit istruttorio in violazione del principio di leale collaborazione.

Il consolidamento delle posizioni contrapposte e i motivi del ricorso in appello

Per l’Amministrazione comunale, dunque, l’errore era soltanto rimproverabile al progettista.

I soccombenti invece, di tutt’altro avviso, proponevano ricorso in appello al Consiglio di Stato, per le seguenti ragioni.

D’un canto, invero, non si ritenevano direttamente co-responsabili dell’errore che aveva determinato il rilascio del titolo abilitativo poi ritirato, poiché, ai fini della presentazione dell’istanza, si erano affidati in buona fede al loro progettista, mentre, dall’altro, consideravano la condotta comunale colposamente negligente e non conforme al canone della buona amministrazione.

Ciò, considerato che fino al rinnovo del Piano Generale del Traffico Urbano del 2014 e dei relativi elaborati allegati, il tratto in questione risultava classificato come strada “Extraurbana principale di tipo B” anziché come “Autostrada di tipo A”, benché nel 2010 la Giunta Comunale avesse già deliberato la correzione di tale errore materiale.

Tale circostanza avrebbe consentito agli appellanti di addebitare al Comune il mancato adeguamento della cartografia allegata agli strumenti urbanistici e il travisamento relativo all’effettiva natura del tratto di strada confinante con il lotto d’intervento, considerando ciò un evidente caso di negligenza e cattiva amministrazione, sufficiente a fondare la colpa del Comune e il connesso obbligo risarcitorio.

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto l’appello, ripartendo tuttavia le responsabilità fra l’Amministrazione e gli appellanti.

Difatti – in ordine alla sussistenza del vincolo in questione – ha riconosciuto sia l’obiettiva negligenza degli Uffici sia la co-responsabilità degli appellanti nell’indurre il Comune in errore.

Sul rilievo degli appellanti circa la presentazione dell’istanza da parte del progettista

Secondo la Sezione decidente “…non può attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che la richiesta del titolo edilizio non sia stata predisposta e presentata dagli stessi, ma dal loro tecnico di fiducia…”.

E ciò perché «…ai sensi dell’art. 29 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, “Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo”…».

Sull’elemento soggettivo della colpa e sulla distribuzione delle connesse co-responsabilità

In ordine alla posizione del Comune.

Il Giudice d’appello, anche richiamando precedenti della propria Sezione, ha spiegato che “…il comune non poteva ignorare l’esistenza del vincolo, e anzi sicuramente non la ignorava, tenuto conto che con delibera n. 649/2010 aveva stabilito di procedere alla correzione degli elaborati grafici allegati allo strumento urbanistico che, per l’appunto, classificavano erroneamente il tratto autostradale confinante con il lotto d’intervento, per cui è indubbio il grave difetto di istruttoria sulla base del quale è stato rilasciato il permesso di costruire n. 356/2012, circostanza, questa, che, tenuto conto dell’inescusabilità dell’errore commesso, induce il Collegio a ritenere integrato l’elemento psicologico della colpa (Cons. Stato, Sez. VI, 8/9/2020, n. 5409; Sez. IV, 4/2/2020, n. 909)…”.

In ordine, poi, alla posizione degli appellanti.

La Sezione decidente ha evidenziato che “…la richiesta di permesso di costruire reca l’asseverazione del progettista incaricato in ordine alla conformità del manufatto alla normativa edilizia urbanistica in vigore, comprendente, nello specifico, anche la dichiarazione di assenza di vincoli impeditivi dell’edificazione, il che, per l’appunto, determina il rilevato concorso di responsabilità nel provocare l’errore che ha portato al rilascio del titolo edilizio…”.

Sin qui, senza discostarsi radicalmente dalle evidenze rassegnate dal Giudice di prime cure.

Sulle conseguenze concrete di tali evidenze

In tale contesto, secondo il Consiglio di Stato, «…avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1227, comma 1, del cod. civ., in base al quale: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”».

Ciò, peraltro, atteso che anche nella materia amministrativa, «…Alla luce di quanto più sopra esposto in punto di fatto, e in considerazione del principio espresso dalla trascritta norma del codice civile (che è ripresa e sviluppata dall’art. 30, comma 3, c.p.a., in particolare attraverso la precisazione secondo cui “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”), deve ritenersi che la condotta della parte privata e quella del comune abbiano avuto la medesima incidenza causale nel determinare il rilascio del titolo edilizio illegittimo successivamente annullato…».

Derivandone che “…il comune dev’essere condannato, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., a risarcire la metà del danno subito…” ai ricorrenti.

Per incidens, sulla natura e l’an della responsabilità in questione e sul concorso del fatto colposo degli appellanti

A tal proposito, il Giudice d’appello ha poi precisato che il danno richiesto dagli appellanti (consistente nella liquidazione delle spese sostenute per la costruzione del manufatto e di quelle necessarie alla demolizione e rimessione in pristino) fosse “…in linea con la natura precontrattuale della responsabilità configurabile nella fattispecie…”.

Tuttavia, «…ai sensi dell’art. 1227, comma 2, del cod. civ. secondo cui “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”…», il Collegio decidente non ha inteso riconoscere agli appellanti il rimborso delle spese “…che riguardano l’attività edilizia posta in essere successivamente al giorno 13/3/2013, data da cui risulta checonoscessero l’esistenza del vincolo autostradale gravante sull’area occupata dal manufatto assentito col permesso di costruirecome si ricava dal fatto che, con nota del medesimo giorno, costoro avevano chiesto, alla società Autostrade per l’Italia, un parere a sanatoria per il posizionamento del detto manufatto…”.

E, per la stessa disposizione normativa richiamata, neppure le spese di demolizione “…atteso che, dalle non smentite affermazioni dell’amministrazione comunalela struttura è, tuttora, esistente, non essendo stata demolita…”.

Riconoscendo invece “…quanto speso per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione…”.

In conclusione

Il Consiglio di Stato ha quindi accolto parzialmente l’appello dei ricorrenti, dando rilievo ancora una volta al criterio “guida” dell’inescusabilità dell’errore.

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Permesso di costruire annullato e risarcimento del danno

Published On: 4 Dicembre 2023

La Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con la sentenza del 17 novembre 2023, ha riconosciuto la co-responsabilità dell’Amministrazione comunale e del progettista incaricato dal privato, per aver entrambi erroneamente ignorato l’esistenza dei vincoli sull’area oggetto d’intervento.

Il caso concreto

Nell’anno 2012 l’Amministrazione comunale rilasciava ai richiedenti un permesso di costruire per l’installazione di un manufatto in legno su area confinante con tratto autostradale, ma dopo la rispettiva realizzazione, a fronte del successivo parere (obbligatorio) negativo di Autostrade per l’Italia S.p.a., disponeva l’annullamento del titolo abilitativo e la demolizione dell’opera.

Avverso tali provvedimenti gli istanti, i quali avevano fatto legittimo affidamento al permesso ottenuto, proponevano ricorso al Giudice amministrativo di primo grado, chiedendo anche il risarcimento del danno, perché l’Amministrazione comunale non aveva provveduto ad acquisire il prescritto parere dell’Ente gestore della strada e non aveva adeguatamente svolto la necessaria istruttoria.

La decisione del Giudice di prime cure

Il T.A.R. competente in parte lo dichiarava inammissibile e lo rigettava sotto il profilo risarcitorio, poiché il progettista dei ricorrenti, attestando la conformità dell’intervento alla normativa edilizia/urbanistica e di sicurezza vigente al momento della presentazione della relativa domanda, non aveva dato conto dell’esistenza del vincolo, così contribuendo al deficit istruttorio in violazione del principio di leale collaborazione.

Il consolidamento delle posizioni contrapposte e i motivi del ricorso in appello

Per l’Amministrazione comunale, dunque, l’errore era soltanto rimproverabile al progettista.

I soccombenti invece, di tutt’altro avviso, proponevano ricorso in appello al Consiglio di Stato, per le seguenti ragioni.

D’un canto, invero, non si ritenevano direttamente co-responsabili dell’errore che aveva determinato il rilascio del titolo abilitativo poi ritirato, poiché, ai fini della presentazione dell’istanza, si erano affidati in buona fede al loro progettista, mentre, dall’altro, consideravano la condotta comunale colposamente negligente e non conforme al canone della buona amministrazione.

Ciò, considerato che fino al rinnovo del Piano Generale del Traffico Urbano del 2014 e dei relativi elaborati allegati, il tratto in questione risultava classificato come strada “Extraurbana principale di tipo B” anziché come “Autostrada di tipo A”, benché nel 2010 la Giunta Comunale avesse già deliberato la correzione di tale errore materiale.

Tale circostanza avrebbe consentito agli appellanti di addebitare al Comune il mancato adeguamento della cartografia allegata agli strumenti urbanistici e il travisamento relativo all’effettiva natura del tratto di strada confinante con il lotto d’intervento, considerando ciò un evidente caso di negligenza e cattiva amministrazione, sufficiente a fondare la colpa del Comune e il connesso obbligo risarcitorio.

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha parzialmente accolto l’appello, ripartendo tuttavia le responsabilità fra l’Amministrazione e gli appellanti.

Difatti – in ordine alla sussistenza del vincolo in questione – ha riconosciuto sia l’obiettiva negligenza degli Uffici sia la co-responsabilità degli appellanti nell’indurre il Comune in errore.

Sul rilievo degli appellanti circa la presentazione dell’istanza da parte del progettista

Secondo la Sezione decidente “…non può attribuirsi alcun rilievo alla circostanza che la richiesta del titolo edilizio non sia stata predisposta e presentata dagli stessi, ma dal loro tecnico di fiducia…”.

E ciò perché «…ai sensi dell’art. 29 del D.P.R. 6/6/2001, n. 380, “Il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili, ai fini e per gli effetti delle norme contenute nel presente capo, della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo”…».

Sull’elemento soggettivo della colpa e sulla distribuzione delle connesse co-responsabilità

In ordine alla posizione del Comune.

Il Giudice d’appello, anche richiamando precedenti della propria Sezione, ha spiegato che “…il comune non poteva ignorare l’esistenza del vincolo, e anzi sicuramente non la ignorava, tenuto conto che con delibera n. 649/2010 aveva stabilito di procedere alla correzione degli elaborati grafici allegati allo strumento urbanistico che, per l’appunto, classificavano erroneamente il tratto autostradale confinante con il lotto d’intervento, per cui è indubbio il grave difetto di istruttoria sulla base del quale è stato rilasciato il permesso di costruire n. 356/2012, circostanza, questa, che, tenuto conto dell’inescusabilità dell’errore commesso, induce il Collegio a ritenere integrato l’elemento psicologico della colpa (Cons. Stato, Sez. VI, 8/9/2020, n. 5409; Sez. IV, 4/2/2020, n. 909)…”.

In ordine, poi, alla posizione degli appellanti.

La Sezione decidente ha evidenziato che “…la richiesta di permesso di costruire reca l’asseverazione del progettista incaricato in ordine alla conformità del manufatto alla normativa edilizia urbanistica in vigore, comprendente, nello specifico, anche la dichiarazione di assenza di vincoli impeditivi dell’edificazione, il che, per l’appunto, determina il rilevato concorso di responsabilità nel provocare l’errore che ha portato al rilascio del titolo edilizio…”.

Sin qui, senza discostarsi radicalmente dalle evidenze rassegnate dal Giudice di prime cure.

Sulle conseguenze concrete di tali evidenze

In tale contesto, secondo il Consiglio di Stato, «…avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 1227, comma 1, del cod. civ., in base al quale: “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”».

Ciò, peraltro, atteso che anche nella materia amministrativa, «…Alla luce di quanto più sopra esposto in punto di fatto, e in considerazione del principio espresso dalla trascritta norma del codice civile (che è ripresa e sviluppata dall’art. 30, comma 3, c.p.a., in particolare attraverso la precisazione secondo cui “Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”), deve ritenersi che la condotta della parte privata e quella del comune abbiano avuto la medesima incidenza causale nel determinare il rilascio del titolo edilizio illegittimo successivamente annullato…».

Derivandone che “…il comune dev’essere condannato, ex art. 1227, comma 1, cod. civ., a risarcire la metà del danno subito…” ai ricorrenti.

Per incidens, sulla natura e l’an della responsabilità in questione e sul concorso del fatto colposo degli appellanti

A tal proposito, il Giudice d’appello ha poi precisato che il danno richiesto dagli appellanti (consistente nella liquidazione delle spese sostenute per la costruzione del manufatto e di quelle necessarie alla demolizione e rimessione in pristino) fosse “…in linea con la natura precontrattuale della responsabilità configurabile nella fattispecie…”.

Tuttavia, «…ai sensi dell’art. 1227, comma 2, del cod. civ. secondo cui “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”…», il Collegio decidente non ha inteso riconoscere agli appellanti il rimborso delle spese “…che riguardano l’attività edilizia posta in essere successivamente al giorno 13/3/2013, data da cui risulta checonoscessero l’esistenza del vincolo autostradale gravante sull’area occupata dal manufatto assentito col permesso di costruirecome si ricava dal fatto che, con nota del medesimo giorno, costoro avevano chiesto, alla società Autostrade per l’Italia, un parere a sanatoria per il posizionamento del detto manufatto…”.

E, per la stessa disposizione normativa richiamata, neppure le spese di demolizione “…atteso che, dalle non smentite affermazioni dell’amministrazione comunalela struttura è, tuttora, esistente, non essendo stata demolita…”.

Riconoscendo invece “…quanto speso per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione…”.

In conclusione

Il Consiglio di Stato ha quindi accolto parzialmente l’appello dei ricorrenti, dando rilievo ancora una volta al criterio “guida” dell’inescusabilità dell’errore.

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