Responsabilità civile della Pubblica Amministrazione per omessa esecuzione di provvedimenti dell'autorità giudiziaria
La discrezionalità della p.a. non può mai spingersi, se non stravolgendo ogni fondamento dello Stato di diritto, a stabilire se dare o non dare esecuzione ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria, a maggior ragione quando questo abbia ad oggetto la tutela di un diritto riconosciuto dalla Costituzione o dalla CEDU.
Ad affermarlo, con estrema forza, è stata la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la Sentenza 4 ottobre 2018 numero 24198 la quale ha precisato che l’omessa attuazione, da parte degli organi di polizia o delle amministrazioni a ciò preposte, dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria costituisce un fatto illecito in sede civile, e può costituire un delitto in sede penale.
In specie, i ricorrenti lamentavano l’inerzia delle forze dell’ordine – prolungatasi addirittura sei anni – nello sgombero di alcuni immobili di loro proprietà abusivamente occupati, nonostante la Procura della Repubblica avesse tempestivamente provveduto ad emettere gli ordini di sgombero, chiedendo di essere risarciti dei danni patiti in conseguenza della colpevole e protratta inerzia delle amministrazioni convenute nel dare esecuzione all’ordine di sgombero, che aveva così lungamente compresso il loro diritto di proprietà.
La Corte d’appello – nel riformare la sentenza di accoglimento di primo grado, in accoglimento del gravame interposto dall’Amministrazione – aveva ritenuto non colposa la condotta della pubblica amministrazione, rilevando come la scelta “attendista” di ritardare l’esecuzione degli sgomberi fosse stata “adottata per evitare disordini e tutelare l’ordine pubblico“.
Ben diverse sono le conclusioni cui è pervenuta la Terza Sezione della Corte di Cassazione con la decisione in commento.
E ciò, anche alla luce di alcuni precedenti, anche delle Sezione Unite, secondo cui “..il rifiuto di assistenza della forza pubblica all’esecuzione dei provvedimenti del giudice, che sia determinato da valutazioni sull’opportunità dell’esecuzione medesima (…), costituisce un comportamento illecito lesivo del diritto alla prestazione e come tale generatore di responsabilità alla parte della pubblica amministrazione (…) l’autorità amministrativa (…) non è chiamata ad esercitare una potestà amministrativa, bensì a prestare i mezzi per l’attuazione in concreto della sanzione…” (Sentenza del 01 agosto 1962 numero 2299) e traendone il corollario che “l’eventuale impossibilità di adempiere deve essere valutata con particolare rigore” (Sezioni Unite, Sentenza del 18 marzo 1988 numero 2478), successivamente precisando che all’autorità di polizia può riconoscersi “esclusivamente un margine di discrezionalità tecnica nella scelta del momento concreto in cui prestare la propria assistenza” (Sezione Unite, Sentenza del 26 maggio 1998 numero 5233; cfr. anche Cassazione, Sez. 3, Sentenza n. 3873 del 26 febbraio 2004).
Di talché, “la negazione dell’assistenza della forza pubblica per la realizzazione coattiva di un diritto giudizialmente riconosciuto..” finirebbe per integrare, “…nello stato di diritto, una situazione addirittura paradossale, essendo inconcepibile che l’ordinamento per un verso contempli, imponendo al privato di avvalersene per poter realizzare il proprio interesse secundum ius, gli strumenti necessari alla tutela della sua posizione giuridica soggettiva (il processo, gli organi preposti a consentirne lo svolgimento, l’efficacia esecutiva del titolo che ne costituisce l’esito) e, per altro verso, non faccia in modo che l’interesse del singolo sia coattivamente soddisfatto in sede esecutiva con la forza che solo lo Stato è autorizzato a dispiegare; ovviamente predisponendo mezzi adeguati alla bisogna. L’apprestamento di tali mezzi da parte della pubblica amministrazione è, pertanto, assolutamente doveroso, non essendo revocabile in dubbio che la legalità costituisce uno dei fondamentali aspetti della struttura dell’ordinamento giuridico ed il principale tra i criteri cui deve ispirarsi ogni attività rivolta appunto ad assicurarne il rispetto”.
La Corte ha quindi proseguito, affermando che “..l’obbligo della p.a. di dare incondizionata attuazione ai provvedimenti giudiziari… è stato ribadito altresì dal giudice delle leggi e dagli organi giurisdizionali sovranazionali…” (cfr. articolo 6 della CEDU; Corte Costituzionale, 24 luglio 1998 numero 321; Corte EDU 5.6.2007, Delle Cave c. Italia, in causa 14626/03; Corte EDU 19.3.1997, Hornsby c. Grecia; Corte EDU 7.6.2005, Fouklev c. Ucraina; Corte EDU 19.11.2013, Sekul c. Croazia).
Sulla scorta di tali coordinate, la Corte ha concluso per la illiceità oggettiva della condotta censurata da parte ricorrente, affermando come “..che si tratti di dare esecuzione ad un ordine di ripristino dei segni di confine tra fondi miserrimi, o di assicurare alla giustizia il più spietato boss d’una cosca sanguinaria, la discrezionalità amministrativa cessa: altrimenti, per dirla con Blaise Pascal, «non rendendo forte la Giustizia, si finirebbe per rendere giusta la Forza». La circostanza che il provvedimento giudiziario cui la p.a. è chiamata a dare attuazione non abbia ad oggetto diritti inviolabili della persona o diritti fondamentali consacrati della Costituzione o da trattati internazionali non attenuta l’obbligo della p.a. di darvi esecuzione. Quando, però, il provvedimento giudiziario sia stato – come nel caso di specie – emanato a tutela di diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU, la violazione da parte della p.a. dell’obbligo di dare esecuzione ai provvedimenti giudiziari rafforza la responsabilità della p.a., perché quella violazione non solo espone il funzionario o l’amministrazione di appartenenza a responsabilità verso il singolo secondo le regole della lex Aquilia, ma esporrebbe altresì lo Stato nel suo complesso all’obbligo di riparazione verso i titolari dei diritti conculcati, per mancato apprestamento di adeguata tutela a quei diritti”.
Quindi, la Terza Sezione si è data anche carico di “…valutare se fu corretta in iure la valutazione della Corte d’appello, secondo cui la scelta “attendista” della p.a. fu nella specie giustificata da esigenze (che la sentenza impugnata non precisa altrimenti) “di ordine pubblico”..”, pervenendo anche in tal caso ad una risposta negativa. E ciò, in quanto, “..l’unica discrezionalità di cui la p.a. gode, quando sia chiamata a dare attuazione ad un provvedimento giudiziario, è verificare se quel provvedimento esista davvero…”, senza che possa darsi alcuna comparazione o bilanciamento fra contrapposti interessi.
In conclusione, la Corte di Cassazione, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, affermando il seguente principio di diritto:
“la discrezionalità della p.a. non può mai spingersi, se non stravolgendo ogni fondamento dello Stato di diritto, a stabilire se dare
o non dare esecuzione ad un provvedimento dell’autorità giudiziaria, a maggior ragione quando questo abbia ad oggetto la tutela di un
diritto riconosciuto dalla Costituzione o dalla CEDU, come nel caso del diritto di proprietà, tutelato dall’art. 41 Cost. e dagli artt. 6 CEDU ed 1 del Primo Protocollo addizionale CEDU. E’ pertanto colposa la condotta dell’amministrazione dell’interno che, a fronte dell’ordine di
sgombero di un immobile abusivamente occupato vi aut clam, trascuri per sei anni di dare attuazione al provvedimento di sequestro
con contestuale ordine di sgombero impartito dalla Procura della Repubblica“.