Ragionevole durata del procedimento sanzionatorio ex L.689/1981
E’ illegittimo il provvedimento sanzionatorio (ex lege 689/1981) che intervenga a notevole distanza dall’illecito amministrativo contestato e non dia neanche conto, in motivazione, delle ragioni del tempo occorso alla definizione dell’iter sanzionatorio, giacchè “l’azione amministrativa, anche se indirizzata alla repressione di condotte illecite, non si sottrae ai principi economicità, adeguatezza ed efficacia allo scopo perseguito sanciti dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990, che si riflettono sulla ragionevole durata del procedimento“.
In questi termini si è da ultimo espressa la VII Sezione del Consiglio di Stato la quale, con la decisione del 14.02.2022 n.1081, ha affermato alcuni importanti principi di civiltà giuridica, all’insegna delle ineludibili esigenze di certezza e di prevedibilità e contiguità temporale dei procedimenti sanzionatori di competenza delle Pubbliche Amministrazioni.
La fattispecie che ha originato il contenzioso e l’esito di primo grado
La vicenda decisa con la sentenza in rassegna, scaturiva da un accertamento effettuato dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (già AAMS) presso un pubblico esercizio, nel corso del quale si rinvenivano dei tabacchi lavorati, “posti in vendita senza la prescritta autorizzazione dell’AAMS“.
L’Agenzia perveniva quindi a sanzionare un tale comportamento, mediante un provvedimento – notificato all’interessato a distanza di ben 26 mesi dall’accertamento – con cui si disponeva la chiusura del pubblico esercizio, per cinque giorni, ai sensi dell’art. 5 della legge 50/1994, in materia di repressione del contrabbando di tabacchi lavorati.
Il Tribunale amministrativo adito in prime cure, accoglieva il ricorso proposto dal titolare dell’esercizio pubblico, e per l’effetto annullava il provvedimento sanzionatorio, ritenendo applicabile al relativo procedimento il termine generale stabilito per la conclusione dei procedimenti amministrativi dall’art. 2 L. 241/1990, piuttosto che quello prescrizionale (quinquennale) di cui all’art. 28 della legge 689/1981.
La decisione del Giudice d’Appello sulla applicabilità o meno, ai procedimenti sanzionatori ex lege 689/1981, del termine di conclusione del procedimento amministrativo
Chiamata a decidere sull’appello dell’Agenzia delle Dogane, la VII Sezione del Consiglio di Stato con la decisione in rassegna, lo respinge e conferma la sentenza di primo grado, ma con una diversa motivazione.
La prima e principale questione controversa, rileva il Supremo Consesso, “è se possa ritenersi applicabile al caso di specie il termine generale di conclusione del procedimento di cui alla L. 241/90 ovvero se debba applicarsi tout court il termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 28 L. 689/81“.
E sul tema, la Sezione reputa di sposare le tesi sostenute in atti dall’Amministrazione appellante, dichiarando di condividere l’orientamento giurisprudenziale – ritenuto maggioritario – per il quale in effetti “non (sono) applicabili al procedimento sanzionatorio i princìpi generali della L. 241/1990 (tra le più recenti Cass., Sez. II, 3 novembre 2021, n. 31239, secondo cui il procedimento preordinato alla irrogazione di sanzioni amministrative sfugge all’ambito di applicazione della L. 241 del 1990, in quanto, per la sua natura sanzionatoria, è compiutamente retto dai principi sanciti dalla L. 689 del 1981)”.
Il Supremo Consesso dunque esclude che i procedimenti sanzionatori ex lege 689/1981 siano soggetti al (breve) termine di conclusione dei procedimenti amministrativi previsto dall’art. 2 della legge generale sul procedimento amministrativo.
Sull’opposta tesi dell’applicabilità, a detti procedimenti sanzionatori, del solo termine e limite della prescrizione quinquennale (ex art. 28 della legge 689/1981)
Il Supremo Consesso, tuttavia, non condivide neanche l’opposta e radicale tesi – anche in tal caso sostenuta dall’appellante – secondo cui, non avendo la L. 689/1981 previsto un termine finale per la conclusione del procedimento sanzionatorio, lo stesso possa anche “ingiustificatamente protrarsi sine die“, con l’unico limite della prescrizione quinquennale del diritto a riscuotere la sanzione di cui all’art. 28 della L. 689/1981.
A supporto di una tale importante notazione, la Sezione ritiene di richiamare e fa proprie le articolate considerazioni espresse dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 151 del 12 luglio 2021.
Con tale recente pronuncia, rammenta la Sezione, la Suprema Corte era stata chiamata a pronunciarsi sulla conformità a costituzione della mancata previsione di un termine finale per l’esercizio della potestà sanzionatoria (avuto particolare riguardo all’emissione dell’ordinanza-ingiunzione di cui all’art. 18 della medesima L. 689/81) ed aveva avuto modo di osservare come “Nel procedimento sanzionatorio, riconducibile nel paradigma dell’agere della pubblica amministrazione, ma con profili di specialità rispetto al procedimento amministrativo generale, rappresentando la potestà sanzionatoria – che vede l’amministrazione direttamente contrapposta all’amministrato – la reazione autoritativa alla violazione di un precetto con finalità di prevenzione, speciale e generale, e non lo svolgimento, da parte dell’autorità amministrativa, di un servizio pubblico (Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 15 luglio 2014, n. 15825), l’esigenza di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, da parte dei consociati, delle conseguenze derivanti dall’esercizio dei pubblici poteri, assume una rilevanza del tutto peculiare, proprio perché tale esercizio si sostanzia nella inflizione al trasgressore di svantaggi non immediatamente correlati alla soddisfazione dell’interesse pubblico pregiudicato dalla infrazione”.
Ed ancora come “in materia di sanzioni amministrative, il principio di legalità non solo impone la predeterminazione ex lege di rigorosi criteri di esercizio del potere, della configurazione della norma di condotta la cui inosservanza è soggetta a sanzione, della tipologia e della misura della sanzione stessa e della struttura di eventuali cause esimenti (Corte cost. n. 5/2021), ma deve necessariamente modellare anche la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell’esercizio del potere. Ciò in quanto la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell’esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell’interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale“.
Ed inoltre che “la fissazione di un termine per la conclusione del procedimento non particolarmente distante dal momento dell’accertamento e della contestazione dell’illecito, consentendo all’incolpato di opporsi efficacemente al provvedimento sanzionatorio, garantisce un esercizio effettivo del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost. ed è coerente con il principio di buon andamento ed imparzialità della PA di cui all’art. 97 Cost“.
Sicchè, rammenta la Sezione con la decisione in rassegna, già secondo il Giudice delle leggi, “alla peculiare finalità del termine per la formazione del provvedimento nel modello procedimentale sanzionatorio corrisponde una particolare connotazione funzionale del termine stesso”: mentre infatti “nel procedimento amministrativo il superamento del limite cronologico prefissato dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990 per l’esercizio da parte della pubblica amministrazione delle proprie attribuzioni non incide ex se, in difetto di espressa previsione, sul potere (sentenze n. 176 del 2004, n. 262 del 1997), in quanto il fine della cura degli interessi pubblici perdura nonostante il decorso del termine”, ben diversa si presenta la fattispecie in esame.
Ed infatti, “la predefinizione legislativa di un limite temporale per la emissione della ordinanza-ingiunzione il cui inutile decorso produca la consumazione del potere stesso risulta coessenziale ad un sistema sanzionatorio coerente con i parametri costituzionali sopra richiamati”.
Con l’ulteriore conseguenza che, “a fronte della specifica esigenza di contenere nel tempo lo stato di incertezza inevitabilmente connesso alla esplicazione di una speciale prerogativa pubblicistica, quale è quella sanzionatoria, capace di incidere unilateralmente e significativamente sulla situazione giuridica soggettiva dell’incolpato, non risulta adeguata la sola previsione del termine di prescrizione del diritto alla riscossione delle somme dovute per le violazioni amministrative, previsto dall’art. 28 L. 689/1981″. Ciò in quanto “l’ampiezza di detto termine, di durata quinquennale e suscettibile di interruzione, lo rende inidoneo a garantire, di per sé solo, la certezza giuridica della posizione dell’incolpato e l’effettività del suo diritto di difesa, che richiedono contiguità temporale tra l’accertamento dell’illecito e l’applicazione della sanzione”.
Sennonchè, la stessa Corte, nella decisione 151/2021 richiamata, ha anche rilevato come “la omissione legislativa denunciata dal rimettente non può essere sanata da questa Corte, essendo rimessa alla valutazione del legislatore l’individuazione di termini che siano idonei ad assicurare un’adeguata protezione agli evocati principi costituzionali, se del caso prevedendo meccanismi che consentano di modularne l’ampiezza in relazione agli specifici interessi di volta in volta incisi”.
Derivando da ciò, la declaratoria di inammissibilità delle questioni in quel caso sollevate, “in ragione del doveroso rispetto della prioritaria valutazione del legislatore in ordine alla individuazione dei mezzi più idonei al conseguimento di un fine costituzionalmente necessario (cfr. sentenza n. 23 del 2013)” e fermo restando “che il protrarsi della segnalata lacuna normativa rende ineludibile, per le ragioni dianzi poste in evidenza, un tempestivo intervento legislativo. Tale lacuna, infatti, colloca l’autorità titolare della potestà punitiva in una posizione ingiustificatamente privilegiata che, nell’attuale contesto ordinamentale, si configura come un anacronistico retaggio della supremazia speciale della pubblica amministrazione”.
La soluzione del caso concreto, sulla scorta delle coordinate ermeneutiche stabilite dalla Corte Costituzionale e dei principi generali che reggono l’agire amministrativo
Ebbene, è proprio sulla scorta delle “coordinate ermeneutiche” stabilite dal Giudice delle leggi nella sentenza n.151/2021, diffusamente richiamata anche nella decisione in rassegna, che la Sezione ritiene di risolvere la questione sottoposta al suo esame.
Il Legislatore, infatti e dal canto suo, “nonostante le riferite sollecitazioni“, non è ancora intervenuto a colmare il vuoto normativo stigmatizzato dalla Consulta.
Sicchè, osserva la Sezione, non resta che muovere – “de jure condito” – dai princìpi generali di economicità, di efficacia, di buon andamento ed imparzialità che devono sempre presidiare l’attività amministrativa.
“L’applicazione dei suddetti principi“, rileva quindi la Sezione, “postula che l’amministrazione (pur in assenza della predeterminazione legale del termine massimo per la conclusione del procedimento sanzionatorio) agisca comunque in modo tempestivo, rispettando l’esigenza del cittadino di certezza, nella specifica accezione di prevedibilità temporale, delle conseguenze derivanti dall’esercizio dei pubblici poteri, e che, ove protragga in modo ingiustificato l’esercizio del potere, dia puntuale motivazione delle ragioni che le hanno, in ipotesi, impedito di applicare la sanzione in contiguità temporale con l’accertamento dell’illecito”.
Ciò che nel caso di specie era stato del tutto pretermesso dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli la quale, sanzionando l’illecito accertato, a distanza di ben 26 mesi, neanche aveva addotto alcuna ragione giustificatrice del lungo tempo impiegato per irrogare la sanzione amministrativa, avendo per di più tardato, per quasi due anni, nel compimento delle attività di notifica all’interessato, ponendo in essere una condotta che si era rivelata “incurante delle esigenze di certezza giuridica della posizione dell’incolpato e dell’effettività del suo diritto di difesa“, e che è stata ritenuta tale da evocare proprio “quella anacronistica «posizione ingiustificatamente privilegiata» dell’autorità titolare della potestà punitiva, stigmatizzata dalla Corte nella citata pronuncia, e che appare ictu oculi contrastante non solo con i principi di economicità, di efficacia e di buon andamento ma, prima ancora, con il canone della ragionevolezza“.
“Principio, quest’ultimo, immanente dell’ordinamento, che la giurisprudenza ritiene applicabile trasversalmente in tutti i settori dell’ordinamento: è stato, infatti, affermato che l’azione amministrativa, anche se indirizzata alla repressione di condotte illecite, non si sottrae ai principi economicità, adeguatezza ed efficacia allo scopo perseguito sanciti dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990, che si riflettono sulla ragionevole durata del procedimento (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 13 marzo 2015, n. 1330 in tema di durata del procedimento preistruttorio dell’AGCom)“.
In conclusione, quindi, la Sezione è dell’avviso che, ai procedimenti sanzionatori soggetti alla legge 689/1981 non si applichi il termine breve per la conclusione dei procedimenti amministrativi, ma la loro durata deve essere comunque ragionevole.
E “ragionevole durata” non v’è allorquando l’Amministrazione procedente reputi di potersi muovere entro il più lungo perimetro temporale segnato dalla prescrizione quinquennale.